Tartarughe nascoste in un ripostiglio, una denuncia

Gioia Tauro - Detenzione a scopo di vendita o per fini commerciali, senza la prevista documentazione e falso. Queste le accuse, con le quali i carabinieri hanno denunciato il titolare di un negozio di animali di Gioia Tauro (Rc).

In particolare, durante un controllo nell'esercizio commerciale dell'uomo, i militari della locale Compagnia ed i colleghi forestali di Reggio Calabria, hanno rinvenuto in un ripostiglio, tre  tartarughe "testudo hermanni".

I rettili sono stati sequestrati e affidati al Centro di recupero di animali selvatici di Messina.

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Tartarughe in via d'estinzione messe in vendita allo svincolo di Vazzano, 2 denunciati

I militari del Nucleo investigativo di polizia ambientale, agroalimentare e forestale di Vibo Valentia, supportati da colleghi del Nucleo carabinieri Cites di Reggio Calabria e del Reparto biodiversità di Mongiana, hanno posto sotto sequestro due esemplari di testuggine, perchè appartenenti ad una specie protetta dalla convenzione di Washington sul commercio internazionale degli animali selvatici minacciati d'estinzione.

Accertata l’esposizione per la vendita on line di tartarughe di interesse Cites su un noto sito e-commerce italiano, i militari del Nipaaf di Vibo Valentia hanno sorpreso un uomo, nei pressi dello svincolo di Vazzano dell'autostrada A2 del Mediterraneo, mentre esponeva, ai fini della vendita, due esemplari di testuggine.

Una volta accertato che i rettili non erano provvisti della necessaria documentazione Cites, i militari hanno proceduto al sequestro ed al loro affidamento in custodia al Centro recupero animali selvatici di Catanzaro.

I responsabili dell’attività illecita sono stati segnalati all’autorità giudiziaria, in concorso, per i reati di esposizione ai fini della vendita di specie animali protette. 

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Riparte il progetto "La tartaruga va a scuola"

Dopo il successo dello scorso anno è ripartito il progetto di educazione ambientale “La Tartaruga va a Scuola”.

Un'iniziativa ideata dal Reparto carabinieri biodiversità di Cosenza, in collaborazione con i Lions Club di Castrovillari, Corigliano Thurium, Cosenza Rovito Sila Grande, Rossano Sybaris e l’Oasi Wwf Policoro Herakleia.

Il progetto, rivolto alle classi terze, coinvolge sette istituti comprensivi nei comuni di Castrovillari, Cosenza, Corigliano, Rossano e Rovito.

Saranno circa 200 i bambini della scuola primaria che parteciperanno all’iniziativa che ha visto, nei giorni scorsi, la consegna di tartarughe di terra (Testudo Hermanni) date in affidamento temporaneo e custodite in alcuni terrari costruiti per l’occasione.

Il progetto avallato dal Servizio Cites territoriale dei carabinieri forestale di Reggio Calabria, punta alla sensibilizzazione dei più piccoli nei rapporti con gli animali ed in  particolare con le tartarughe.

Nei prossimi mesi personale del Reparto biodiversità dei carabinieri si recherà nelle scuole per tenere alcune lezioni legate all’ambiente e alla conoscenza di questi splendidi animali.

Al progetto è legato un concorso che avrà come scopo un viaggio premio, offerto dai Lions, presso l’Oasi Wwf Policoro Herakleia da tempo impegnata nel Progetto Tartarughe Marine.

“La tartaruga va a scuola”, domani la consegna dei primi esemplari

Nella giornata di domani (19 novembre 2018) verranno affidate temporaneamente  delle Tartarughe (Testudo Hermanni) di terra in alcune scuole di Cosenza.

L’iniziativa rientra in un progetto ideato dal Reparto carabinieri biodiversità di Cosenza e vede coinvolti i club di servizio Lions di Castrovillari e Cosenza Rovito Sila Grande.

Il progetto verte a sensibilizzare i bambini della scuola primaria nei rapporti con gli animali ed in questo particolare caso con le tartarughe di terra in possesso dei carabinieri forestale presso il Centro visita "Cupone" nel comune di Spezzano Sila (Cs).

Le tartarughe verranno date in affidamento temporaneo a sette scuole che hanno aderito al progetto.

Tre scuole di Cosenza (Istituto comprensivo statale "Spirito Santo", Istituto comprensivo “B.Zumbini” e Istituto comprensivo “Don Milani De Matera”), una di Cropalati (Istituto comprensivo "Cropalati") e tre di Castrovillari (Istituto "Vittorio Veneto", Direzione didattica "Castrovillari 1" e Direzione didattica "Castrovillari 2") a cui sono state già state consegnate la scorsa settimana e sono.

Domani verranno consegnate alle ore 10.30  alla scuola “Don Milani De Matera” di via Aldo Moro e alle 11.30 alla Scuola “B.Zumbini” di Via Milelli.

Il 21 novembre in occasione della “Giornata dell’Albero”verranno consegnate a Cropalati e il 22 infine nell’ Istituto Comprensivo statale "Spirito Santo" di Cosenza.

Il progetto, che prevede una serie di incontri/lezione con il personale dei carabinieri forestali durante l’anno, vede coinvolte le classi IV di questi istituti e prevede un concorso finale. La classe vincitrice verrà premiata dai Lions con un viaggio presso l’Oasi Wwf Policoro Herakleia da tempo impegnato nel progetto tartarughe marine.

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Mongiana ed il misterioso “delitto dell’amuleto"/ PARTE II

Il pezzo che segue è la prosecuzione un articolo pubblicato ieri al quale è possibile accedere cliccando qui:

Le indagini si muovono in tutte le direzioni. Gli inquirenti iniziano a scavare nel passato della vittima e scoprono che vent’anni prima Demasi era stato condannato ad otto anni di galera per aver ucciso con un colpo di fucile una donna, Carmela Gallace. La pista, però, si rivela piuttosto inconsistente. Demasi, infatti, aveva sempre sostenuto di aver sparato alla cieca tra gli alberi per intimorire quelli che pensava fossero ladri. Oltre ai giudici che comminano una pena piuttosto mite, credono alla tesi anche i parenti della donna che “riallacciarono con lui buoni rapporti”.

Si cerca, quindi, di capire se l’omicidio possa essere nato nell’ambiente familiare, ma “un contadino, Antonio Nesci - che era stato il primo ad accorrere udendo il pianto del figlio della vittima - testimoniò sul sincero dolore dell’Antonio”.

Non emerge nulla, neppure dalle indagini che riguardano “due altri fittavoli, Angelo Belcastro e Domenico Caré, pure vicini, [che] non avrebbero avuto ragione alcune per commettere quel delitto”.

Scartate tutte le altre ipotesi, le attenzioni si appuntano su un uomo, “tale Ilario Cavallaro”. A spingere le indagini in quella direzione, sono soprattutto le dichiarazioni rilasciate dai “congiunti dell’ucciso” che indicano il movente in dissapori di carattere familiare. Cavallaro, infatti, nel 1942, “aveva sposato con il solo rito civile una figlia del Demasi, Rosina, allora di diciassette anni, senza vivere neanche un solo giorno con lei. Gli sposi si sarebbero stabiliti insieme al ritorno del giovane. Le cose, però, andarono per le lunghe. L’Ilario, partito per la Libia, fu fatto prigioniero dagli inglesi e solo nel ’46 rivide l’Italia”.

Rientrato dalla prigionia, “la cerimonia religiosa fu rinviata” perché lo sposo “chiedeva al suocero che assegnasse in dote alla moglie una certa somma di denaro e, in più il terreno, sostenendo che quei beni, in fondo, erano solo un indennizzo per tutti gli assegni familiari che Demasi aveva percepito, attraverso la figlia sposata ad un militare, durante quattro anni”.

Il rifiuto era stato accompagnato dalla ferma decisione di “Rosina”, la quale “pentita delle nozze, non aveva alcuna voglia di vivere con il marito e fu solidale con il padre”. L’intera vicenda aveva avuto delle conseguenze di carattere giudiziario, tali da indurre i carabinieri ad arrestare Cavallaro con l’accusa di essere l’autore dell’omicidio. Insieme a lui vengono mandati in galera, “il padre, Bruno, e i fratelli Salvatore e Rocco, poi tutti rilasciati avendo potuto essi provare che quella notte si trovavano a Serra San Bruno, loro paese di residenza”.

Anche Ilario dichiara, inutilmente, di aver trascorso la notte dell’omicidio nel paese della Certosa. Nonostante l’assenza di prove contro di lui, sulla base di un “processo tipicamente indiziario”,  viene “condannato, oltre alle pene accessorie, a venticinque anni”.

Nel 1955, però, in occasione del “giudizio di secondo grado” i magistrati vogliono approfondire la questione e decidono d’indagare tutti i punti oscuri delle vicenda. Cercano, quindi, di capire per quale motivo il cadavere sia stato appeso ad una trave, ma soprattutto che cosa possa rappresentare quello strano amuleto lasciato dall'assassino. Si rivolgono, quindi, a Raffaele Corso il quale nella sua perizia scrive: “ La testuggine non è riprodotta integralmente, ma nel guscio soltanto, cioè senza la testa, la coda e le zampe. Evidentemente, l’artefice non ha voluto ritrarre il rettile vivo, come si vede in un quadro del secolo XVI, dove esso figura come emblema dell’amore felice. […] Pertanto bisogna indirizzare le indagini verso pratiche magiche locali, tenendo presente che in Calabria, come in altre regioni i superstiziosi, per ricondurre all’amore i riottosi, ricorrono alle arti della strega, la quale mette in pratica, secondo l’occasione, filtri non comuni. Qualche abile strega locale, informata degli antichi usi, avrà suggerito al delinquente l’amuleto della gioia amorosa nella forma priva di vita e cioè del solo guscio”. Lo studioso aggiunge: “ La testuggine, che viva simboleggia la fecondità, morta starebbe la sterilità. Tanto e vero che la testuggine viva si mantiene tuttora nelle case delle popolane come simbolo della feconda pace e si ritiene segno di prossima disgrazia la sua scomparsa o la sua morte”. In altre parole, la conclusione dell’etnografo è che  “l’uccisore voleva indicare, anzi gridare di fronte a tutti che, colpito come uomo perché privato della sua donna, si era vendicato. Questo il filo sottile fra il delitto e l’amuleto”.

La spiegazione però, non convince “la Corte” che, in assenza di “prove precise”, assolve l’imputato.

Scarcerato il maggiore indiziato, l’omicidio resta, quindi, impunito con il risultato che la testuggine “rimarrà fra la gente di queste campagne come il simbolo del mistero che avvolge il fosco delitto dell’amuleto”.

 

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Mongiana ed il misterioso “delitto dell’amuleto"/ PARTE I

“In questa provincia v’è un Comune, Mongiana, il cui nome rimarrà negli annali della criminologia per uno strano delitto – rimasto finora impunito – che per la prima volta nella storia delle istruttorie giudiziarie, ha chiesto l’intervento di un perito non medico né chimico né psichiatra, ma studioso, e insigne etnografo: il professor Raffaello Corso, titolare di quella materia nell’istituto Superiore Orientale di Napoli. E a lui, infatti, che i giudici dell’Assise d’Appello di Catanzaro hanno chiesto di spiegare qual è il significato del misterioso amuleto appeso al collo di un contadino, Francesco Demasi, di settanta anni, trovato morto e legato ad una trave del suo casolare, in contrada S. Maria di Cropani”.

Inizia con queste parole, un dettagliato resoconto giornalistico, pubblicato nel maggio del 1956 sulla “Stampa “ di Torino.

Vergato da Crescenzo Guarino, l’articolo descrive l’ultima fase processuale di un omicidio perpetrato a Mongiana, il 27 luglio 1950.

Non si tratta del solito omicidio, di un assassinio come gli altri. Oltre alle modalità con le quali è stato consumato il crimine, di anomalo c’è un particolare: al collo della vittima, l’omicida ha appeso un ciondolo raffigurante una tartaruga.

Un simbolo che induce i magistrati della Corte d’Appello di Catanzaro a rivolgersi ad un illustre studioso per cercare di venire a capo del mistero. I giudici sperano, infatti, di capire quale possa essere stata la ragione per la quale l’assassino abbia lasciato quello strano oggetto.

La relazione presentata da Raffaele Corso rappresenta, però, solo l’epilogo di una vicenda iniziata qualche anno prima.

Siamo negli ultimi giorni nel luglio del 1950, fa caldo, è tempo di raccolto e le attività agricole fervono. Un contadino, Francesco Demasi, come ogni anno, con l’arrivo dell’estate si stabilisce nel suo fondo agricolo situato nella contrada Santa Maria di Cropani di Mongiana e vi trascorre tutto il tempo. La mattina bisogna iniziare i lavori prima che il sole sia alto. Per non perdere tempo, anziché fare ritorno nella sua casa di Mongiana, a fine giornata l’anziano si sdraia su un pagliericcio, fatto da una “coperta di lana grigia ed una giacca”, che ha allestito in una capanna senza porta. Accanto alla bicocca c’è un casolare nel quale l’uomo custodisce gli attrezzi ed altre povere cose. Trascorsa la notte, all’alba si sveglia, si alza e riprende le sue attività. Ogni giorno è uguale al precedente, fino al 27 luglio, quando “una guardia campestre, Bruno Monteleone, si recò alla stazione dei Carabinieri di Serra San Bruno per denunciare che, trovandosi a passare lungo la carrozzabile per Fabrizia, presso un fondo di Santa Maria di Cropani,  aveva udito delle grida di dolore e d’aiuto. Dalla voce riconobbe subito un suo amico, Antonio Demasi. Accorso nell’abitazione, si era trovato innanzi ad un fatto atroce: il corpo di Francesco, padre di Antonio, stava sollevato da terra, legato ad una fune che, girandogli sotto le ascelle, era sospesa al soffitto. Il vecchio, a piedi nudi, indossava dei pantaloni di tela blu ed una camicia di cotonina Kaki. Nell’interno del casolare, composto di una sola stanza, le poche cose alcuni recipienti di terracotta, due ceste del pane) tutte al loro posto dimostravano che non vi era stata lotta”.

La scena, macabra, si arricchisce di nuovi particolari quando le risultanze della “perizia necroscopica” evidenziano che l’uomo è stato soffocato nel sonno.

Qualcuno, quindi, nel cuore della notte, dopo averlo strangolato si è preso la briga di “trasportare” il cadavere nel “casolare”, di appenderlo con una fune ad una trave e di lasciargli addosso un misterioso amuleto.

Fosse stato consumato ai giorni nostri, il delitto avrebbe animato sicuramente una delle tante trasmissioni in cui si spettacolarizza, anche, la morte più violenta. Ma nell’Italia degli anni Cinquanta la vita, come la morte ha una sua sacralità.

CONTINUA

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