Processo "Lybra": condannati in Appello sette presunti affiliati alla 'ndrangheta vibonese

I giudici della Corte d'Appello hanno condannato sette presunti affiliati alla 'ndrangheta finiti nelle maglie dell'inchiesta denominata "Lybra", risalente al maggio di tre anni fa. Si tratta di imputati considerati appartenenti alla cosca Tripodi di Porto Salvo. Nel dettaglio, queste le decisioni dei magistrati: 9 anni di carcere sono stati inflitti a Salvatore Vita;  8 anni al 68enne Nicola Tripodi, ritenuto boss dell'omonima organizzazione criminale; 7 anni e 6 mesi ad Antonio Tripodi; 6 anni e 8 mesi a Sante Tripodi; 3 anni per Massimo Murano; 2 anni e 8 mesi a Gregorio De Luca; 2 anni ed 8 mesi a Francesco Lo Bianco, per il quale in primo grado era stata disposta l'assoluzione. Associazione mafiosa, estorsione, frode nelle pubbliche forniture, intestazione fittizia di beni, rapina ed usura le condotte illecite addebitate ai condannati. Il clan, i cui interessi criminali si sarebbero ampliati fino a raggiungere anche la Lombardia e Roma, aveva concentrato la sua attenzione, sostengono i giudici, pure sulle opere previste in seguito all'alluvione abbattutosi su Vibo Marina nel 2006. 

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Processo "Lybra": condannati in Appello sette presunti affiliati alla 'ndrangheta vibonese

I giudici della Corte d'Appello hanno condannato sette presunti affiliati alla 'ndrangheta finiti nelle maglie dell'inchiesta denominata "Lybra", risalente al maggio di tre anni fa. Si tratta di imputati considerati appartenenti alla cosca Tripodi di Porto Salvo. Nel dettaglio, queste le decisioni dei magistrati: 9 anni di carcere sono stati inflitti a Salvatore Vita;  8 anni al 68enne Nicola Tripodi, ritenuto boss dell'omonima organizzazione criminale; 7 anni e 6 mesi ad Antonio Tripodi; 6 anni e 8 mesi a Sante Tripodi; 3 anni per Massimo Murano; 2 anni e 8 mesi a Gregorio De Luca; 2 anni ed 8 mesi a Francesco Lo Bianco, per il quale in primo grado era stata disposta l'assoluzione. Associazione mafiosa, estorsione, frode nelle pubbliche forniture, intestazione fittizia di beni, rapina ed usura le condotte illecite addebitate ai condannati. Il clan, i cui interessi criminali si sarebbero ampliati fino a raggiungere anche la Lombardia e Roma, aveva concentrato la sua attenzione, sostengono i giudici, pure sulle opere previste in seguito all'alluvione abbattutosi su Vibo Marina nel 2006. 

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I giudici della Corte d'Appello hanno condannato sette presunti affiliati alla 'ndrangheta finiti nelle maglie dell'inchiesta denominata "Lybra", risalente al maggio di tre anni fa. Si tratta di imputati considerati appartenenti alla cosca Tripodi di Porto Salvo. Nel dettaglio, queste le decisioni dei magistrati: 9 anni di carcere sono stati inflitti a Salvatore Vita;  8 anni al 68enne Nicola Tripodi, ritenuto boss dell'omonima organizzazione criminale; 7 anni e 6 mesi ad Antonio Tripodi; 6 anni e 8 mesi a Sante Tripodi; 3 anni per Massimo Murano; 2 anni e 8 mesi a Gregorio De Luca; 2 anni ed 8 mesi a Francesco Lo Bianco, per il quale in primo grado era stata disposta l'assoluzione. Associazione mafiosa, estorsione, frode nelle pubbliche forniture, intestazione fittizia di beni, rapina ed usura le condotte illecite addebitate ai condannati. Il clan, i cui interessi criminali si sarebbero ampliati fino a raggiungere anche la Lombardia e Roma, aveva concentrato la sua attenzione, sostengono i giudici, pure sulle opere previste in seguito all'alluvione abbattutosi su Vibo Marina nel 2006. 

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'Ndrangheta. Irreperibile da stamattina un uomo condannato a 30 anni per omicidio

Da stamattina è "uccel di bosco" un affiliato alla 'ndrangheta. A scoprirlo sono stati i Carabinieri che hanno raggiunto la casa di Walter Gianluca Marsico per notificargli il verdetto della Corte di Cassazione che rende definitiva la condanna a 30 anni di carcere inflittagli perché giudicato responsabile dell'assassinio di Vittorio Marchio, ucciso nel 1999. Affiliato al clan cosentino dei Lanzino, è ritenuto uno dei personaggi al centro delle dinamiche che interessano la criminalità organizzata del capoluogo bruzio. Sulla scorta di quanto sostenuto da diversi collaboratori di giustizia era Marsico a gestire l'attività usuraia per conto della 'ndrangheta cittadina. Ciò in virtù di un'intesa concordata nella casa di reclusione di Catanzaro fra i membri dei clan capeggiati, rispettivamente, da Francesco Perna e Gianfranco Ruà. I militari dell'Arma si sono subito attivati iniziando le operazioni di ricerca.   

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'Ndrangheta. Operazione "Costa Pulita": indagato Niglia, presidente della Provincia di Vibo

Figura anche Andrea Niglia, presidente della Provincia di Vibo Valentia, nel registro degli indagati relativo all'operazione "Costa Pulita", coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, che all'alba di oggi ha portato all'arresto di 23 persone. Al centro dell'inchiesta gli interessi e le attività criminali del clan Mancuso, di Limbadi. Il reato contestato a Niglia è quello di concorso esterno in associazione mafiosa. Le forze dell'ordine hanno perquisito la sua abitazione. Sulla scorta di quanto ipotizzato dagli inquirenti, da sindaco di Briatico, avrebbe favorito l'organizzazione criminale degli Accorinti mediante "condotte riservate e fraudolente tese a salvaguardare l'attività del villaggio Green Garden costituente una delle principali fonti di guadagno della cosca". 

Maxi operazione contro la ‘ndrangheta vibonese: colpita la cosca Mancuso, lambita la politica

Nelle prime ore della mattinata odierna, nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Como, Monza, personale delle squadre mobili di Vibo Valentia e Catanzaro e del servizio centrale operativo della polizia di stato, carabinieri del R.o.n.inv. di Vibo Valentia e della Compagnia di Tropea e militari del Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro, nell’ambito di una operazione di p.g. convenzionalmente denominata “Costa pulita”, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo d’indiziato di delitto, emesso dalla Procura distrettuale della Repubblica di Catanzaro, nei confronti di 23 soggetti ritenuti responsabili, a diverso titolo, dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi e sostanze esplodenti. L’operazione di p.g. è il risultato di autonome indagini svolte dalle forze di polizia, dirette dai sostituti procuratori Camillo Falvo e Pierpaolo Bruni e coordinate dal Procuratore della Repubblica facente funzioni di Catanzaro, Giovanni Bombardieri, convergenti su soggetti appartenenti alla criminalità organizzata vibonese. In particolare, le investigazioni, avviate nei primi mesi del 2013, hanno riguardato numerosi soggetti appartenenti, o comunque contigui, al potente clan della ‘ndrangheta Mancuso, operante in tutto il territorio vibonese, ed alle consorterie collegate Accorinti, La Rosa ed Il Grande, attive nei comuni del litorale tirrenico della provincia vibonese, colpendone vertici e sodali. L’indagine peraltro ha lambito contesti politici locali, in particolare di passate amministrazioni del Comune di Briatico e Parghelia. Infatti, sono state eseguite, anche, numerose perquisizioni, disposte dall’Autorità giudiziaria, nei confronti di soggetti diversi dai fermati, ma coinvolti dalle indagini, con specifico riferimento alle risultanze dell’accesso ai sensi del Tuel compiuto presso il Comune di Briatico, poi sciolto per mafia nel 2012; a riguardo dello stesso contesto sono stati inoltre documentati propositi di ritorsione, attuati, nel 2011, mediante lettera minatoria, contro un giornalista molto noto in provincia, autore di articoli sulla mala gestione del municipio briaticese. Nel corso dell’attività, supportata da intercettazioni telefoniche, ambientali e video riprese, sono state sequestrate diverse armi da fuoco e, nel 2014, sono stati tratti in arresto, in flagranza di reato, alcuni elementi di spicco delle locali cosche, in procinto di porre in essere un attentato mediante l’utilizzo di un potente ordigno esplosivo. Durante le fasi dell’odierna operazione, si è proceduto al sequestro, ai sensi della normativa antimafia, di beni mobili ed immobili riferibili agli indagati per un valore di circa 70 milioni di euro. Tra i beni sequestrati oltre 100 immobili, quote societarie e rapporti bancari ed anche 2 villaggi vacanze e tre compagnie di navigazione con altrettante motonavi che assicuravano, in regime di sostanziale monopolio, i collegamenti turistici con le Isole Eolie.

 

Imprenditore contiguo alla 'ndrangheta: tutti i dettagli del sequestro da 215 milioni di euro

Sotto il coordinamento della Procura della Repubblica le Fiamme Gialle del locale Comando Provinciale, del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e del Servizio Centrale I.C.O. di Roma hanno eseguito, in Calabria e in Campania, un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria con il quale è stata disposta, nei confronti del noto imprenditore Alfonso Annunziata, l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro dell’intero patrimonio aziendale di 4 imprese e delle quote di 2 società di capitali, di 85 unità immobiliari, di 42 rapporti finanziari  personali e aziendali, nonché di denaro contante per quasi 700.000 euro, il tutto per un valore stimato pari a circa 215 milioni di euro. Tale provvedimento si fonda sulle risultanze acquisite a seguito dell’operazione "Bucefalo" condotta dalla Guardia di Finanza - nell’ambito del quale, nel mese di marzo dello scorso anno, Alfonso Annunziata era stato raggiunto da un’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal giudice delle indagini preliminari di Reggio Calabria. Proprio in relazione a tali vicende, si sta celebrando in questi giorni presso il Tribunale di Palmi il processo che lo vede imputato in quanto ritenuto, tra l'altro, partecipe alle attività illecite della cosca di 'ndrangheta Piromalli, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria. In particolare, come evidenziato nell'ordinanza, Annunziata "non è un imprenditore vittima, non è stato e non è costretto a favorire la cosca Piromalli. Al contrario, è un soggetto storicamente legato ai componenti di vertice della famiglia Piromalli, dal 95enne Don Peppino fino al 71enne Pino Piromalli (…) ed è, dunque, un soggetto intraneo che si presta da oltre venti anni, volontariamente e consapevolmente, al perseguimento degli scopi imprenditoriali ed economici della cosca, così creando e sviluppando, nel tempo, solide cointeressenze economiche, accompagnate da ingenti investimenti commerciali nel territorio di Gioia Tauro (un esempio per tutti la realizzazione del parco commerciale Annunziata). In definitiva, Annunziata è da ritenere partecipe della cosca Piromalli, rappresentandone (…) il «cuore imprenditoriale»". È emersa, quindi, l’esistenza, secondo gli inquirenti, di un indissolubile rapporto di cointeressenza economico-criminale tra Alfonso Annunziata e la cosca Piromalli che sarebbe nato sin dalla prima metà degli anni ’80, che si sarebbe definitivamente sviluppato tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 e che sarebbe proseguito ininterrottamente fino all’attualità. La risalenza nel tempo del rapporto di contiguità con la cosca Piromalli ha trovato riscontro in dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia nonché nella complessa e articolata attività investigativa svolta anche mediante intercettazioni telefoniche e ambientali. In tal senso significativa di tale stretto rapporto di contiguità è la conversazione, captata in modalità ambientale, in cui Annunziata, dialogando all’interno della propria autovettura con la moglie Domenica e passando davanti a un terreno in cui attualmente si trova una villa di proprietà della famiglia Piromalli nei pressi del cimitero di Goia Tauro, raccontava alla propria consorte di quando si era più volte recato a trovare "Peppe il vecchio" (ovvero il boss Giuseppe Piromalli) quando quest’ultimo - all’epoca latitante (già ricercato nel luglio 1979 e tratto in arresto nel 1984) - si trovava all'interno di una baracca a giocare a carte con altri amici. Annunziata pertanto, sarebbe stato un punto di riferimento fondamentale per le attività economiche del clan Piromalli, svolgendo anche il ruolo di "garante ambientale" per gli imprenditori interessati a operare presso l’omonimo centro commerciale che a lui si rivolgevano nella consapevolezza del suo collegamento con la cosca. Una volta delineato il profilo di pericolosità sociale qualificata dell'imprenditore, l’attività investigativa si è concentrata, poi, sulla ricostruzione del complesso dei beni di cui Alfonso Annunziata e il suo nucleo familiare sono risultati poter disporre, direttamente o indirettamente, nell’arco temporale intercorrente dal 1979 al 2013, accertando la netta sproporzione esistente tra i redditi dichiarati o le attività economiche svolte e la progressiva accumulazione patrimoniale personale e familiare dell’imprenditore. Sulla base di tale sproporzione e dell’ulteriore quadro probatorio raccolto dagli inquirenti, il patrimonio oggetto della  misura di prevenzione è stato, pertanto, ritenuto il frutto o il reimpiego dei proventi di attività illecite. A tal fine è stata estrapolata e acquisita copiosa documentazione - consistente in contratti di compravendita di beni immobili, di quote societarie, atti notarili, ecc. - necessaria a ricostruire ogni singola operazione economica effettuata dal medesimo nucleo familiare. Il materiale così acquisito è stato oggetto, quindi, di circonstanziati approfondimenti tesi a ricostruire, con dovizia di particolari, tutte le movimentazioni finanziarie eseguite da Annunziata e dai suoi familiari, che hanno determinato un arricchimento decisamente anomalo, se rapportato alla lecita capacità reddituale dichiarata dai soggetti investigati. Sotto il profilo della disponibilità dei beni, gli organi inquirenti non solo hanno individuato quegli asset patrimoniali di cui Alfonso Annunziata è risultato titolare o per i quali ha operato, in capo allo stesso, la presunzione legislativa di disponibilità; ma hanno altresì raccolto dati considerati oggettivi e concreti che hanno consentito di ritenere che l'imprenditore, al di là della formale intestazione dei beni, ne è risultato essere l’effettivo dominus. In esecuzione del Decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria è stato sequestrato ad Alfonso Annunziata e al suo nucleo familiare il seguente patrimonio:

intero patrimonio aziendale della ditta individuale Annunziata Alfonso con sede legale a Gioia Tauro, via Nazionale nr. 111 e unità locale a Vibo Valentia, S.S. 18 - località Spoletino (Partita Iva: 00163750805);

intero patrimonio aziendale della "Annunziata S.r.l.", con sede legale a Gioia Tauro, via Nazionale 111 s.n.c., e due unità locali a Gioia Tauro, rispettivamente, in via Strada Statale 111 s.n.c. (località Calcò) e via Nazionale 111 s.n.c. (Parco Commerciale Annunziata) (Partita Iva 01356300804);

26,67% delle quote societarie della "Geim Service S.r.l.", con sede legale a Gioia Tauro, via Napoli nr. 5 (Partita Iva 02194290801);

intero patrimonio aziendale della "Centro Più Annunziata di Annunziata Alfonso & S.N.C.", con sede legale a San Giuseppe Vesuviano, in provincia di Napoli, via Scopali Palazzo Annunziata (Partita Iva 02588241212);

6% delle quote societarie della "Sim  S.p.A.", con sede legale a Gioia Tauro, via Aspromonte nr. 8 (Partita Iva 02152090805);

intero patrimonio aziendale della "Annunziata Group S.r.l.", con sede legale a Gioia Tauro, via Nazionale 111 nr. 294, e due unità locali a Gioia Tauro, rispettivamente, aVibo Valentia, via Nazionale 18 s.n.c. e a Feroleto Antico, in provincia di Reggio Calabria, località Garrube s.n.c. (Partita Iva 02787710801);

85 beni immobili, tra ville, appartamenti, locali commerciali e terreni ubicati nelle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Napoli;

42 rapporti finanziari personali o aziendali;

denaro contante per un importo pari a quasi 700.000 euro.

Conclusivamente, personale del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e del Servizio Centrale I.C.O. di Roma hanno sottoposto a sequestro di prevenzione, nei confronti di Alfonso Annunziata e di 4 componenti del suo nucleo familiare, l’intero patrimonio aziendale di 4 imprese e le quote di 2 società di capitali, 85 unità immobiliari, 42 rapporti finanziari personali e aziendali nonché denaro contante per quasi 700.000 euro, il tutto per un valore stimato pari a circa 215 milioni di euro.

 

'Ndrangheta: sequestrati beni per un valore di 215 milioni di euro

La Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Reggio Calabria, del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e del Servizio Centrale I.C.O. di Roma hanno eseguito, in Calabria e in Campania, un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria con il quale è stato disposto il sequestro di prevenzione di un patrimonio stimato in circa 215 milioni di euro nei confronti di un imprenditore ritenuto contiguo alla cosca di ‘ndrangheta “Piromalli”, operante sul territorio della provincia reggina. In particolare, seconjdo le Fiamme gialle sarebbe "emersa l’esistenza di un indissolubile rapporto di sinergia economico - criminale tra il citato imprenditore e la cosca Piromalli, in quanto lo stesso si sarebbe prestato, volontariamente e consapevolmente, al perseguimento degli scopi imprenditoriali ed economici della predetta consorteria criminale, così creando e sviluppando, nel tempo, solide cointeressenze economiche, accompagnate da ingenti investimenti commerciali nel territorio di Gioia Tauro. A seguito di una mirata attività di indagine e di analisi economico - finanziarie, gli uomini della Guardia di Finanza hanno accertato una palese sproporzione tra l’ingente patrimonio individuato e i redditi dichiarati dalla famiglia del soggetto investigato, tale da non giustificarne la legittima provenienza. Complessivamente sono stati sequestrati il patrimonio aziendale e le quote sociali di n.6 imprese , n. 85 unità immobiliari, n.42 rapporti finanziari e denaro contante per quasi 700.000 €,il tutto per un valore stimato pari a circa 215 milioni di euro".

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