La partita di calcio finisce in tribunale

Finisce in tribunale la vicenda relativa alla gara del campionato di Eccellenza tra Guardavalle ed Acri, non disputata lo scorso 28 febbraio a causa delle presunte minacce subite dalla compagine cosentina. In merito a quanto accaduto, il sostituto Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Fabiana Rapino, ha sentito in qualità di testimoni due giocatori ed un dirigente dell'Acri. I tre, nel ricostruire l'accaduto, hanno confermato le violenze.

Calci, schiaffi, minacce e non si gioca la partita

Minacce, calci, schiaffi e la partita non si gioca. E ' successo a Guardavalle dove la locale compagine avrebbe dovuto ospitare l'Acri,  per la gara valida per il campionato d'Eccellenza. Poco prima di scendere in campo, pero', la squadra ospite lascia gli spogliatoi e si avvia verso l'autobus. La decisione e' clamorosa, perche' i dirigenti ed i giocatori dell’Acri rifiutano di giocare la partita. La ragione della scelta, la societa' cosentina la da' in una nota nella quale viene raccontato quanto sarebbe accaduto.

"I fatti…solo i fatti. Siamo arrivati al ristorante “Agriturismo Fassi” ( invito stranamente comunicatoci con fax inviato dal Comune di Guardavalle il 22 dicembre 2014…sic!!) alle ore 11:00/11:30. Mentre – si legge nel comunicato –  la squadra sedeva al tavolo per il pranzo sono “comparsi” cinque  “signori” i quali intimavano ai presenti (dirigenti e calciatori) di perdere la partita altrimenti gli avrebbero “spaccato le gambe” e addirittura un calciatore, Rabihou Amadou, veniva afferrato da un orecchio e gli veniva puntato un coltello da tavola alla gola. Dopo questa “incursione” durata circa 30/45 minuti di continue minacce ed allusioni che si sarebbero verificate in campo ai calciatori, questi “signori” lasciavano il locale. A questo punto il Dirigente accompagnatore, di concerto con la Società e con la Questura di Cosenza (che ringraziamo per il sostegno e la professionalità dimostrata) decideva di recarsi allo stadio non in tempi regolamentari ma nell’immediatezza dell’orario  di inizio dell’incontro, anche per aspettare l’arrivo della forza pubblica (avvisata intanto dalla Questura di Catanzaro) presso il ristorante suddetto, arrivo che è avvenuto intorno alle 14:15/14:20. Scortati  da una pattuglia dei carabinieri di Guardavalle siamo arrivati allo stadio circa alle 14:40. All’arrivo negli spogliatoi, mentre stavamo entrando nei locali riservati agli ospiti, un nostro tesserato (Siciliano Giuseppe , classe 1996) veniva colpito da calci e pugni tra schiena e collo da un soggetto da noi non identificato e davanti agli occhi del Commissario di Campo. A quel punto la società dell’Acri non ritenendo che ci fossero più le condizioni psicologiche ed ambientali per iniziare una partita di calcio (perche quello eravamo andati a fare) ha deciso di non disputare l’incontro. Questi sono i fatti. Questa partita l’avevamo attenzionata da più tempo, vi alleghiamo le richieste fatte alla questura di Cosenza ed alla Lega calabra. Avevamo verbalmente più volte sollecitato la stessa, nella persona del Presidente Mirarchi, di segnalarla alla Procura Federale perché varie erano state le minacce ricevute nei mesi scorsi . Ci auguriamo che le istituzioni federali presenti facciano per intero il proprio dovere e soprattutto si assumano il coraggio di dire la verità, solo la verità. Da parte nostra nessuna offesa alla comunità di Guardavalle, che certamente non può essere rappresentata da questi “soggetti” . Anzi il Signor Sindaco dovrebbe preoccuparsi più di quello che succede a casa sua che a guardare in casa degli altri (Signor Sindaco nella sua intervista a Stadioradio Lei  ha dichiarato di aver incrociato il pullman della squadra dell’Acri che andava via, poi però ha anche dichiarato che era al campo e che non è successo nulla , ha forse il dono dell’ubiquità ?) Se i valori sportivi sono l’essenza di una società civile, forse è il caso che chi li rappresenta e dovrebbe difenderli si assuma le dovute responsabilità, altrimenti ognuno sarebbe legittimato a fare la stessa cosa , altro che crescita sportiva, sociale e culturale. Dobbiamo aspettare forse un altro caso Licursi? Chiediamo di essere ascoltati dal Giudice Sportivo in contraddittorio con il Commissario di Campo prima di ogni decisione, precisando che se non ci dovesse essere giustizia assumeremo ogni determinazio anche in maniera eclatante”.  

In viaggio sulla strada che non c'é

BROGNATURO -  L’Italia è un Paese bizzarro, la Calabria lo è, ancor, di più. Quante siano le nostre stranezze nessuno lo sa, perché nessuno potrebbe contarle. Ve ne sono alcune, però, che, più di altre, ci contraddistinguono, ci rendono unici, fanno si che gli altri ci guardino con ammirazione, talvolta; con disprezzo, sovente; con invidia, mai. Le stravaganze più incredibili, poi, quelle che sono diventate indigeste, anche, a noi stessi, sono quelle compiute dalla classe politica. Un mondo, quello della politica, che sembra essere popolato da una razza a sé stante. Un ceppo antropologico peculiare, dotato di caratteristiche sconosciute ai comuni mortali. Un ceppo formato, per la gran parte, d’arraffoni ed arruffoni protagonisti di scelte approssimative, prive del benché minimo principio di programmazione. Scelte di cui scontiamo le conseguenze, compiendo gesti, altrove, banali. Basta, ad esempio, uscire di casa, salire in macchina, accendere il motore e mettersi in movimento. Il calvario, inizierà, quasi subito. Un calvario fatto di buche, di strade dissestate, di carreggiate senza asfalto. Uno scenario, che soprattutto, nella zona delle Serre è così normale da essere diventato, addirittura, indifferente. Quasi non ci si fa più caso. Un po’ è la rassegnazione, un po’ lo sconforto, un po’ l’idea che sia normale così. Se qualcuno, poi, osa obiettare, la replica arriva immantinente: “non ci sono i soldi!”. Al cospetto di una tale risposta, vengono in mente le parole di Ezra Pound, per il quale «dire che uno Stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro, è come dire che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri». Una contraddizione in termini, che diventa ancor più stridente quando, nel percorrere una strada impraticabile, si assiste alla realizzazione di una strada interpoderale. Una di quelle stradine, il più delle volte, costruite, a luglio e diventate impraticabile con le prime piogge d’ottobre, con l’unico scopo di rendere accessibile il fondo di un assessore o di un cliente politico. Certo, la realizzazione delle strade di campagna viene motivata con il nobile intento di voler favorire lo sviluppo agricolo. Se non fosse che ti guardi intorno e vedi distese di terreni incolti sui quali non viene prodotta neppure una patata. Si, è vero ci sono i braccianti, ma, da noi, mica praticano l’agricoltura! E poi, se, anche, i terreni fossero ubertosi e feraci, viene da chiedersi come i prodotti della terra potrebbero raggiungere i mercati. A tal riguardo, l’obiezione non potrebbe che essere: “a questo servono le strade di campagna”. Potrebbe essere vero, se non fosse che, nel curare il particolare, i nostri politici, si sono dimenticati del generale. Così, nell’impiegare risorse pubbliche per realizzare strade, stradine e mulattiere che nessuno percorre, hanno tralasciato le vie di comunicazione primaria. Capita, quindi, d’imbattersi in strade principali diventate completamente impercorribili. Un esempio, su tutti, è quello rappresentato dalla provinciale 43 - S.S.110 - Brognaturo – “Acqua del sorcio”, che, attraversando i monti della “Lacina”, dovrebbe portare sulla costa jonica. Dovrebbe, perché la strada, praticamente non esiste più, è solo un ricordo. Su quel che rimane dell’asfalto le buche non si contano. In verità, però, il lemma rischia di rappresentare un eufemismo. Più che di buche, si tratta di veri e propri crateri nei quali il veicolo sprofonda per poi risalire, quasi fosse un battello alle prese con il mare in burrasca. E come il nocchiero, anche, l’automobilista ha il suo bel daffare per evitare l’abisso. Tra una buca e l’altra, il pensiero, almeno quello, corre, va alla ricerca di una spiegazione, di un perché. Poi ricorda: “non ci sono i soldi”. Ma qualcosa affiora dalla memoria, qualcosa come, ad esempio, i cinque milioni di euro di bollette telefoniche mai pagate dalla provincia di Vibo Valentia, negli anni in cui, prima del commissariamento, l’Ente era stato, si fa per dire, gestito dalla politica. Un episodio che dovrebbe indignare ma che, forse, ha una spiegazione. Come non pensarci prima! Chi usa il telefono non ha bisogno di strade. E poi, come amava ripetere Chatwin: «La vita stessa è un viaggio, da fare a piedi». Le strade, quindi, non servono!

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