La cultura non porta voti e la Regione fa morire la Biblioteca Calabrese di Soriano

Ancora una volta mi vedo costretto ad intervenire sull’ormai annosa questione della Biblioteca Calabrese di Soriano della quale, a quanto sembra, ai politici ed amministratori regionali non importa nulla. E già, altrimenti perché negare il meritatissimo contributo? È vero che una Biblioteca non porta voti, ma costruisce una società, fa crescere generazioni di studenti, cultori o semplici curiosi. Ma è evidente che piacciono molto di più le sagre delle “cianciarelle” e le canzonette. E ancora mi piace riepilogare un po’ di storia della Biblioteca sorianese, potrebbe essere utile ai figli e nipoti dei Regionali. Tra la metà del XVII e XVIII secolo, il celebre Convento di san Domenico di Soriano Calabro possedeva una biblioteca ritenuta la più ricca della Provincia Domenicana di Calabria e di tutta Italia. Lo storico vibonese Vito Capialbi scriveva che “fin dal suo nascere divenne adulta, copiosa e ricca di libri e di manoscritti […] e i frati si preoccupavano di arricchire continuamente la loro biblioteca […] non guardavano a spese e a disagi per procurarsi tutte le opere possibili”. Addirittura, sempre nel ‘600, i Domenicani portarono a Soriano da Napoli uno stampatore per fondarvi una tipografia ad uso del monastero. Da allora molte furono le alterne vicende che interessarono la Santa Casa di Soriano, già famosa in tutto il mondo. Ancora oggi i Domenicani di Soriano continuano ad essere indefessi animatori della loro biblioteca non solo nel raccogliere e custodire lavori editoriali ma anche a produrne. E parallelamente, è forse per una sorta di eredità e continuità voluta dal Santo Predicatore come apostolato laico, se nel 1981 nella cittadina delle Serre vibonesi è stato istituito il Centro Culturale del Folclore e delle Tradizioni Popolari con annessa Biblioteca Calabrese che ha sempre richiamato, in questi anni, da molte parti studiosi, curiosi ed accademici. Insomma una struttura culturale animata con passione, saggezza e competenza, dalla prima ora e fino al giorno della sua morte, avvenuta il 27 febbraio 2012, dal “suo” Direttore, il carissimo amico prof. Nicola Provenzano.. Nel 1995, poi, superate non poche difficoltà nel proseguire, la struttura sorianese divenne Istituto della Biblioteca Calabrese con un patrimonio librario di oltre 33 mila volumi tra i quali numerosi incunabili del ‘400 e cinquecentine. E non solo. Dal 1988 ci offre anche un prezioso strumento editoriale d’informazione su tutto ciò che ruota attorno e vi si anima dentro la Biblioteca, si tratta del bollettino semestrale Rogerius che, per dirla con le parole di Provenzano, vuole essere “un ponte fra la terra di origine e i calabresi della diaspora”. Orbene, la Biblioteca sorianese e il suo Rogerius rischiano di essere cancellati perché quando si parla di tagli come politica del risparmio la cultura è la prima a farne le spese. Ormai è una cronica o se volete una comica. Già nel 2009, non molti anni son passati,  la Regione Calabria – associata all’Istituto della Biblioteca Calabrese con L. R. 19/1995 – aveva cancellato dal bilancio regionale di quell’anno il suo contributo; la cosa si è ripetuta nel 2012 e puntuale ritorna in questi giorni di fine anno 2015. Un contributo, quello regionale che, indirizzato solo all’arricchimento del patrimonio bibliografico e speso con intelligente ed oculata attenzione al mercato del libro antico e non solo, ha consentito alla nostra Biblioteca di costituire un punto di eccellenza nel panorama delle biblioteche calabresi. C’è poco da aggiungere a tanta negligenza da parte di “distratti” amministratori regionali che spendono e spandono i fondi che sono pubblici per tante iniziative inutili Mi piace, a riguardo, ricordare ancora una volta ciò che è accaduto, non molti anni orsono,  allo storico catanzarese Cesare Mulè, il quale raccontava: “Dopo tre mesi di ermetico silenzio mi sono recato nel competente ufficio dell’assessorato e dopo tortuoso argomentare ho sbottato con la domanda: ‘Ma come spendete i fondi regionali?’. Risposta: ‘Per grandi eventi culturali come la Notte Piccante a cui abbiamo concesso 300 mila euro’. Replico contestando l’eccezionalità dell’iniziativa. Risposta: ‘Lei si sbaglia perché non sa che il peperoncino è il segno identitario del territorio’. Con sconforto mi sono alzato congedandomi”. Così è se vi pare!

 

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Le risorse non sfruttate del sottosuolo calabrese

Era il 1976 e l’allora Direttore editoriale di Calabria Kroton Nicola Vaccaro pubblicava sul n° 20 del 31 ottobre un eloquente articolo  sulle enormi risorse del sottosuolo calabrese mai sfruttate. L’articolo che riporta informazioni utili, evidentemente non è stato letto e metabolizzato da amministratori e politici. Mi piace riproporlo ai nostri lettori.

“Abbiamo voluto un po’ approfondire le nostre cognizioni sulle possibilità valorizzative della zona del crotonese estendendo le nostre modeste ricerche anche fuori delle mura provinciali. Vogliamo riferirci alle possibilità  che il sottosuolo calabrese offre allo sfruttamento industriale. La risposta immediata, meditata e documentata che si può subito dare alla domanda se la Calabria possiede o meno delle ricchezze non sfruttate e, quindi, delle industrie potenziali distrutte, non può che essere positiva. A sentire l’ormai radicata ed inveterata opinione di non pochi disfattisti, questa nostra regione non sarebbe che una “terra bruciata”, rappresentante, nel computo dell’economia nazionale, la povertà personificata. Da tanto la convinzione più grave - è bene dirle certe verità – che a spendere somme per un’eventuale industrializzazione della Calabria sarebbe come il peggiore degli affari. Non poteva affermarsi cosa più inesatta. Probabilmente la convinzione trovava la sua ragione d’essere nell’interesse e nella paura che una nostra industria sviluppata potesse costituire una pericolosa concorrenza ai prosperi affari di chi aveva ben altre prospettive. A rendere accreditata una tale opinione, hanno concorso - è vero - molti fattori  e, primo fra tutti, il generalizzato concetto di qualche economista ed agrario di una certa zona argillosa – calcarea  che trasse il convincimento che tutta la nostra terra dovesse ritenersi improduttiva e inadatta a qualsiasi  trasformazione. L’autorità dell’uomo che per primo queste cose disse, creò, conseguentemente una “verità provata”, poco curanti di controllarne la vera verità, anzi più propensi a travisarla nel suo preciso aspetto. Per nostra sventura e disdoro, non vi fu chi, su dati inconfutabili, offerti dalla realtà stessa delle cose, avesse potuto e voluto dimostrare il contrario. È vero che agronomicamente esiste una plaga argillosa inadatta a trasformazione arborea, ma è ancor più vero che il resto della nostra terra (ed è tanto) offra, come e più delle altre regioni, possibilità impensate di coltura varia e redditizia. Le possibilità di vaste zone irrigue ed il più fortunato fattore ‘luce’ e ‘calore’, costituiscono da soli fonti inesauribili di meravigliosa prosperità. Ma c’è ben altro che possa smentire la storica panzana della nostra povertà geologica ed è la certezza di possedere un sottosuolo che, oltre a quanto si sa, serba le più grandi incognite per i tentativi di esplorazione e di approdo del domani. Vero è che il problema esige investimenti notevoli di capitali; ma la certezza della riuscita non avrebbe dovuto (né dovrebbe) fare tentennare nella necessaria ripresa di valorizzazione. Questa nostra terra è e resta un vasto campo sperimentale, avido di capitali, ricco di forze umane cui avrebbero dovuto confluire, naturalmente, e le attività dello Stato ed i tentativi di esplorazione delle varie imprese industriali. E sì che di ricchezze naturali è ben florida questa terra dimenticata. Carlo D’Angiò vedeva nel suo sottosuolo la migliore prospettiva di una sicura prosperità economica e il governo dei vicerè spagnoli ravvisava addirittura le ‘Indie del Regno’. Dalla grafite dei territori di Olivadi, Centrache, San Vito, Squillace, Sant’Elia, Filadelfia, Polia, all’antracite di cui è ricco il territorio di Nicastro e Catanzaro; dalla torba al quarzo di Parghelia, di Tropea, Chiaravalle, che un tempo si smerciava su Napoli per le fabbriche delle stoviglie; al rame carbonato di Martirano, Cortale e Gimigliano; dal galeno di Belvedere Spinello, Caccuri, Castelsilano, Mesoraca, allo zolfo ed idrosolfati di Tiriolo e Nicastro; dal solfuro di ferro di Monterosso, Miglierina, Cerenzia, al ferro ossidato di Palermiti e Sambiase; dal manganese ossidato di Briatico al salgemma di Cerenzia, Zinga di Casabona, Caccuri, Policastro [Petilia] e Cropani; dall’alluminio di Zagarise (monte Tiriolo) e di Gimigliano, alle diverse specie di graniti e di acque termali e medicamentose fino alle vecchie miniere di argento di Verzino, è tutto un complesso di materie prime la cui presenza è accertata indiscutibilmente, ma la cui consistenza non è stata mai potuta calcolare. Del resto, sin dai tempi antichi si parlava di queste ricchezze non sfruttate: Ovidio, Strabone, Cicerone ed altri, a proposito delle miniere ferrifere del circondario di Gerace e precisamente quelle dei territori di Stilo, Bivongi, Placanica, ne hanno fatto esplicite menzioni e richiami. E chi non ricorda il messaggio di Alarico che dava preciso incarico di sfruttare ‘le molte miniere delle Calabrie’? Chi non ricorda il primato di sfruttamento delle ferriere della Mongiana e della Ferdinandea, dalle quali si traeva quasi tutto il materiale per l’artiglieria e la fanteria del regno? Ma uomini e tempi hanno voluto distruggere quel che si era fatto: dov’è  più l’avanzata coltura del gelso, le fabbriche di cuoiami di Tropea, quelle dei tessuti in lino di Catanzaro, Taverna e Borgia? Sparite sono anche le industrie manifatturiere cotoniere di Montauro, Motta Santa Lucia e Crucoli; le concerie di pelli che davano sino a 187 mila chilogrammi di cuoio, le manifatture di sapone di Sambiase, Soriano Calabro, Gerocarne o quelle della cera di Gasperina e Conflenti e così via. Ma occorre guardare al presente. Ebbene alcuni tentativi di sondaggio sono stati fatti: la Montedison ha operato delle perforazioni nella zona del crotonese: non pochi sono i pozzi chiusi ermeticamente. Non si sa cosa si sia trovato nel sottosuolo. L’Agip Mineraria ha operato delle perforazioni terrestri e marine e continua in questa opera. Si vuole che il metano rinvenuto sia di quantitativo incalcolabile. Per il momento il metano ritrovato a Crotone viene immesso nella condotta cosiddetta ‘nazionale’ che porta a Lamezia Terme. Ma su questo argomento occorre che si torni. È troppo importante ed occorre che se ne discuta con cifre sicure alla mano.”

 

La Calabria, Gioacchino da Fiore e l'ennesima occasione persa

Il 2015 fu – ormai, fu – il 750mo della nascita di Dante, e, per la verità, non è che l’Italia si sia sbracciata a celebrare il suo poeta e padre della lingua. La Calabria, la quale quando si tratta di primati negativi è imbattibile, ci ha aggiunto di suo che, esclusi i presenti, si è dimenticata di Gioacchino da Fiore, sebbene sia, come tutti sanno – beh, tutti? – l’ispiratore concettuale della Commedia.

 Di Gioacchino se ne sono fregati rotondamente:

1.       Le Università, in particolare l’UNICAL dove pure ci sarebbe, dicono, una Facoltà di Lettere. Già, quella che vanta una cattedra di Pedagogia della resistenza, formalocchiu: si può curare di Gioacchino?

2.       Le scuole e relative autorità regionali e provinciali.

3.       La Regione. Stavo per dire l’assessore alla cultura: ma non ce l’abbiamo, un assessore alla cultura!

4.       Le Province, con speciale attenzione a quella di Cosenza, dove si trovano sia Celico sia S. Giovanni in Fiore.

5.       I Comuni, e in specie quelli di Celico, S. Giovanni, Carlopoli dove c’è Corazzo…

6.       Le innumerevoli associazioni che ogni giorno affermano essere la cultura la sola speranza per il riscatto della Calabria: segue cena.

7.       I giornali, le tv…

8.       Varie ed eventuali.

 Ma tu, dite? Io la mia parte l’ho fatta, con molti articoli, e una conferenza alla Società Dante Alighieri di Crotone, unica a fare eccezione al punto 6.  Ho anche presentato un preciso progetto, che, ovviamente, è caduto nel vuoto più torricelliano. Sono io che sbaglio, devo riconoscerlo. Io nel progetto dovevo scrivere che Gioacchino era un antimafia, e venne condannato non per ragioni teologiche ma per intimidazione. Sì, così dovevo scrivere: oggi non lamenteremmo il silenzio tombale, ma ne avremmo visto, eccome, di fiaccolate, sfilate, convegni, comizi, lacrime, liti a chi è più antimafia, interviste a fiumi, carriere, e la Bindi, la Bindi a tutto spiano. Ma l’anno prossimo mi faccio furbo. È il millennio dell’arrivo dei Normanni (1016): dirò che erano dei pacifisti, degli ecologisti, dei buonisti; scriverò un libro di mille pagine, una per anno, dal titolo I Normanni antimafia. Cosa scriverò nelle mille pagine? Niente, basta il titolo, e ci faranno un film per la RAI. Di Gioacchino? Se ne parla, chi ci sarà, il prossimo secolo.

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Calabria, turismo: il cuore non basta

 Era il non lontano 2009 e la Regione Calabria aveva scelto come testimonial Rino Gattuso la cui immagine giganteggiava su tutte le maggiori arterie della penisola. Lo slogan accattivante messo in bocca al campione mondiale di calcio era “ Noi ci mettiamo il cuore”. Sono stati in tanti, all’epoca, a chiedersi dell’utilità di una campagna pubblicitaria di tal maniera se poi la realtà era ed è ben diversa. Cosa è servito sponsorizzare anche la nazionale di calcio? Solo spreco di risorse pubbliche. È evidente che il cuore da solo non basta, ci vuole ben’altro, tanto ben’altro per far crescere la Calabria. Ricordo un testo del 1993, edito da Gangemi, di un tal B. Donato dal titolo Pianificazione del turismo che, ad un certo punto della trattazione, scrive: “…il turismo è determinato dall’azione complessiva e congiunta di diverse variabili territoriali cioè di qualità ed attributi fisici e culturali messi a disposizione dell’ambiente: la protezione e la riqualificazione dell’ambiente (naturale e antropico) rappresentano la condizione indispensabile per un reale, cioè, concreto sviluppo turistico.” Beh, le caratteristiche fisiche e antropiche nonché le risorse del territorio calabrese ben rispondono all’assunto dell’autore del libro. Infatti in Calabria sarebbe possibile (mi si passi il condizionale vista la precarietà mentale dei nostri amministratori, da quelli locali ai romani passando per Germaneto) una fruttuosa valorizzazione turistica delle componenti geo.ambientali (mare, monte, clima), di quelle storico-artistiche (dal magno greco ai nostri giorni passando per i normanni e gli svevi e il monachesimo calabro- greco) e di quelle produttive (artigianato, agriturismo, fiere, ecc.). E però il decollo turistico è reso difficile dallo stato di compromissione del territorio determinato dall’incapacità degli enti locali di esprimere ed imprimere una visione unitaria d’uso che colleghi i problemi della tutela dell’ambiente a quelli generali dell’armonico sviluppo sociale ed economico. Ricordo l’erosione delle coste e per la continua conurbazione lineare in riva al mare e quindi la cementificazione e per l’abbattimento di ogni sorta di vegetazione, l’invasione degli alvei di fiumi e torrenti con rifiuti ingombranti di ogni specie, come tristemente ci portano alla mente non solo gli eventi alluvionali delle ultime settimane ma anche le tragedie di Soverato e Crotone degli anni passati. Un piano d’insieme, come suggerisce Donato, consentirebbe a tutta la regione, e non solo a pochi spazi montani o rivieraschi che siano, uno sviluppo omogeneo. Innanzitutto le infrastrutture. Qualche esempio. Ancora langue, dopo più di mezzo secolo di progettazione, la Trasversale delle Serre che faciliterebbe la fruizione delle risorse storico–culturali e paesaggistiche di Serra San Bruno, Soriano Calabro, Mongiana, Torre Ruggiero e Nardodipace con i suoi megaliti raccordandosi con gli insediamenti balneari di Soverato e Copanello sullo Jonio e di Tropea, Pizzo e Capo Vaticano sul Tirreno. Il decollo turistico è di là da venire se tutta la costa ionica è attraversata dalla famigerata 106 (strada della morte) ed ancora da una linea ferroviaria a binario unico e non elettrificata e comunque ormai azzoppata vista la soppressione dei treni a lunga percorrenza verso il nord. E l’aeroporto Santa’Anna di Crotone? A singhiozzo e col ping pong di politici e amministratori non troverà mai felice soluzione alla faccia dei miliardi del vecchio conio spesi per la nuova aerostazione pomposamente dedicata a Pitagora. Il libro citato (sottolineo del 1993) recita: “il quadro complessivo non è confortante sia nel settore aereo che nei settori portuale [ aldilà di qualche sparuta nave da crociera], ferroviario e autostradale: per quanto riguarda quest’ultimo i programmi dell’Anas sono assolutamente inadeguati a fronteggiare i possibili incrementi di traffico sia leggero che pesante…”. E ultima cosa, ma non secondaria: la professionalità. La nostra regione offre una molteplicità di forme di turismo: montano, balneare, naturalistico, termale, religioso, speleolitico ed enogastronomico e le risorse sono davvero tante. Manca la professionalità nel settore della ricettività e ristorazione e non solo. Non si possono ancora gestire le stagioni turistiche con l’approssimazione. E attenzione: a poco o nulla servono le brochures o guide sfornate continuamente da Comuni, Province, Regione, Gal e Pro Loco che talvolta presentano anche inesattezze storiche e sono soltanto dispendio di denaro pubblico; non servono se poi il territorio illustrato è poco fruibile o mal gestito. Per non parlare della partecipazione alle varie Bit: solo gitarelle ben pagate dalla Regione. Insomma, uno spot, qualsiasi spot, anche se mettiamo in ridicolo i Bronzi di Riace, da solo non può bastare a rendere positivo un settore come quello del turismo. Andiamo oltre il cuore!

 

 

 

 

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Festa di san Martino: dalla Norvegia alla Calabria, il lungo viaggio dello stoccafisso

Cosa lega la Calabria alla Norvegia? Apparentemente nulla.

L’unica caratteristica, che le due terre collocate agli opposti confini d’Europa sembrano avere in comune, è la distanza che le divide.

Tuttavia, abbandonando il porto della superficialità, emergono lentamente comuni elementi che rendono i due popoli meno distanti di quanto si creda.

Da Giske, minuscola isola situata nella regione dei fiordi occidentali, partì, infatti, Gange-Rolv, altrimenti detto Rollone il “Camminatore” che, con i suoi vichinghi, mosse alla volta della Francia, dove, nel 911, fondò il ducato di Normandia.

Da quella regione che, dagli uomini venuti dal nord, i “northmeen” per l’appunto, ha preso il nome, intorno all’anno 1000, i normanni iniziarono a muovere alla volta dell’Italia meridionale.

Alcuni di loro, ben presto, vollero smettere i panni dei mercenari per vestire quelli dei conquistatori. A compiere il grande passo, furono gli Altavilla che, scalzato, con Guglielmo il “Guiscardo”, l’ultimo duca longobardo, nel 1077, fondarono il Regno normanno, con sede a Salerno.

Da qui, nel volgere di pochissimi anni, riuscirono a conquistare l’intero sud Italia.

La presenza normanna, soprattutto, per merito di Ruggero II, ha contribuito a plasmare la Calabria, rendendola per certi aspetti così com’è.

In tempi più recenti, però, quel che ha ricongiunto la Calabria, soprattutto centro meridionale, alla Norvegia, è la cucina, o meglio uno dei piatti più caratteristici della tradizione gastronomica locale. Una pietanza legata, anche, al culto di san Martino, al punto che in molti centri della regione è in uso il detto: “di san Martinu piscistuoccu e vinu”.  

Sì, proprio, lo stoccafisso, il famoso “pesce a bastone (dal norvegese “stokkfisk”), pescato nelle fredde acque dell’Atlantico ed essiccato sugli scogli delle incantevoli isole Lofoten.

Come, il “pesce stocco”, che, altro non è, se non il merluzzo secco, sia arrivato in Calabria non è chiarissimo.

Le prime testimonianze risalgono al Cinquecento, quando, da Napoli, giunsero al porto di Pizzo Calabro i primi carichi di pesce stocco che, a dorso di mulo, iniziarono a prendere la via dell’interno, verso i paesi dove, generalmente, il pesce fresco non poteva arrivare.

A favorire la diffusione del nuovo prodotto, soprattutto nella Calabria centro meridionale, potrebbe essere stata la Certosa di Serra San Bruno, che, proprio nel 1513, era stata restituita al culto dei certosini, la cui dieta prescrive l’astinenza assoluta dalla carne.

Molto probabilmente, nel capoluogo partenopeo, era stato introdotto dai mercanti veneziani che lo avevano scoperto, già nella prima meta del Quattrocento, in maniera del tutto rocambolesca. Nella Serenissima, infatti, quello strano pesce era arrivato, grazie a Pietro Quirini, un patrizio veneziano, la cui nave, mentre era in navigazione verso le Fiandre, era andata alla deriva per alcuni mesi, prima di approdare, nel gennaio del 1432, sull’isola di Rost, nelle Lofoten.

Durante il suo soggiorno, trascorso in compagnia di sedici marinai superstiti, Querini, in una dettagliata relazione indirizzata al Senato veneziano, descrisse le abitudini dei pescatori locali, i quali “Prendono fra l'anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l'una, ch'è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi; l'altra sono passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l'una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno”.

Da grandi mercanti quali erano, i naufraghi veneziani fiutarono l’affare e partendo da Rost, nel maggio del 1432, portarono con loro sessanta “stocfisi”. Giunto nel territorio della Serenissima, in ottobre, Querini “presentò” la sua scoperta. Quello strano pesce, riscontrò un immediato successo.

Ad agevolarne la diffusione non era solo il gusto, ma, anche, la facile conservazione e le prescrizioni religiose. A favore dello “stocfisi” giocava, infatti, un elemento del tutto particolare. Nell’Europa dell’epoca, durante i periodi di “magro”, oltre duecento giorni all’anno, i precetti cattolici prescrivevano l’astinenza assoluta dalla carne.

La circostanza induceva i fedeli a rivolgere la propria preferenza, proprio, verso quel pesce gustoso ed a buon mercato. La facilità di conservazione, unita alla possibilità di mangiare un piatto ricco di sostanze nutrienti, anche nelle località lontane dal mare, fecero, quindi, dello stoccafisso un prodotto particolarmente apprezzato dai calabresi. Non è un caso, infatti, che i due terzi dell’intera produzione norvegese finisca, oggi, in Calabria ed in Veneto.

Nell’estremo lembo dello stivale, lo “stocco” ha trovato la sua patria d’elezione a Mammola, tanto da essere inserito, dal Ministero delle politiche agricole e forestali, nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani.

Un prodotto tradizionale calabrese, essiccato dal tiepido sole delle Lofoten. Un vero tesoro per gli chef che possono sbizzarrirsi nell’elaborazione di autentichi manicaretti, anche se, in Calabria, la ricetta più tipica è anche quella più semplice, con sugo di pomodoro e patate.

Una ricetta tradizionale in Calabria, ma anche, ad Oslo, dove viene servito da asporto, dalla “Fiskeriet youngstorget”, la più antica pescheria ristorante della capitale norvegese.

Per vedere la galleria fotografia delle isole Lofoten, dove viene pescato e conservato lo stoccafisso clicca qui

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"Il Governo taglia 30 milioni di euro alla forestazione calabrese"

Ammonta a circa trenta milioni di euro il taglio ai fondi destinati al comparto della forestazione  calabrese. Il provvedimento, inserito nella legge di stabilità 2016, e` stato stigmatizzato dai segretari generali della Calabria della Flai-Cgil, Santino Aiello, della Fai-Cisl, Giuseppe Gualtieri e della Uila-Uil, Nino Merlino. "Questo significa - sostengono i sindacalisti - che non solo il comparto non avrà il rilancio auspicato, ma che rischia un ridimensionamento che lo porterà inevitabilmente verso un costante ed inesorabile declino".

Senza progresso la Calabria del nulla

 Il Sud è abituato da sempre al meglio che niente, perciò anche l’annunzio di uno 0,1% di progresso ci pare un superenalotto. Il Sud pare addirittura vada un tantino meno peggio del Nord: formalocchiu! Il Sud, cioè Molise Puglia Campania Basilicata Sicilia: la Calabria, detta anche la Magna Grecia, spicca come sempre nella sua storia: non progredisce nemmeno lo 0,000001. Come mai? Beh, non è difficile capirlo. Per progredire, anzi per campare, ci vogliono, per esempio, agricoltura pastorizia industria artigianato navigazione trasporti servizi turismo… Bisogna lavorare e produrre, consumare i prodotti, scambiarli e venderli ad altri; insomma, fare quelle cose che si chiamano l’economia. Ebbene, o eredi di Pitagora, in Calabria non c’è nulla di tutto questo. Lo strombazzato turismo è un breve caos di due settimane balneari, assenti assoluti altri modi di turismo: religioso, culturale eccetera.  Industria, artigianato? Agricoltura? Guardatevi intorno e ditemi cosa c’è. C’era una volta l’assistenzialismo indiretto: ospedali scuole uffici poste… Non ci sono più, e comunque non si assume da vent’anni. L’assistenzialismo diretto? Restano giusto le pensioni. La Calabria riceve ogni anno un mare di soldi e non li sa spendere; più esattamente, non li sa manco rubare: troppo faticoso. Opinione pubblica, partiti politici, ecclesiastici, giornalisti eccetera, che ne dicono? Non dicono nulla, perché la mamma li avvertì fin da fanciulli: “La parola migliore è quella che non esce di bocca”. E la cultura ufficiale? S’ingrassa con libri e film antimafia segue cena. A cena, bene inteso, niente carne rossa o soppressata: i nostri calabri intellettuali sono infatti sempre politicamente corretti, e credono non solo allo Stato e alla Magistratura, ma anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Magari, una fettina di salame a casa… Ci vorrebbe un commissario giapponese armato di katana e con pieni poteri.

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Allerta meteo: attesi forti temporali in Calabria

Il sistema perturbato presente sul Mediterraneo occidentale è la causa dello sviluppo di forti temporali che ancora nella seconda parte di oggi  interesseranno le due isole maggiori, per poi coinvolgere, dalla serata, la Calabria e successivamente la Basilicata e la Puglia. Sulla base delle previsioni disponibili, il Dipartimento della Protezione Civile, d’intesa con le Regioni coinvolte – alle quali spetta l’attivazione dei sistemi di protezione civile nei territori interessati – ha emesso, quindi, un avviso di condizioni meteorologiche avverse che estende quello diffuso nella giornata di ieri che prevedeva precipitazioni, prevalentemente temporalesche, su Sardegna e Sicilia. I fenomeni meteo, impattando sulle diverse aree del Paese, potrebbero determinare delle criticità idrogeologiche e idrauliche che sono riportate, in una sintesi nazionale, nel bollettino di criticità consultabile sul sito del Dipartimento (www.protezionecivile.gov.it). L’avviso prevede dal pomeriggio di oggi, mercoledì 21 ottobre, precipitazioni da sparse a diffuse, a prevalente carattere di rovescio o temporale, con forti raffiche di vento, sulla Calabria, in successiva estensione a Basilicata e Puglia, specie sui settori meridionali e ionici. I fenomeni saranno accompagnati da rovesci di forte intensità, frequente attività elettrica e forti raffiche di vento. Dalle prime ore di domani, poi, si prevedono venti da forti a burrasca con rinforzi di burrasca forte, dai quadranti settentrionali, su Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia, specie sui settori ionici, con locali mareggiate sulle coste esposte. Sulla base dei fenomeni previsti è stata valutata per oggi criticità rossa per la Sicilia nord-occidentale e nord-orientale. La criticità è arancione per il resto della Sicilia, la Campania, la Calabria e la Sardegna meridionale. La criticità è gialla per il basso Lazio, il Molise occidentale, la Puglia, la Basilicata e la Sardegna settentrionale e centrale. Per domani, invece, è prevista criticità rossa per la Puglia meridionale. La criticità è prevista arancione per la Campania orientale, la Puglia centrale, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia settentrionale e occidentale. Infine è prevista criticità gialla per il basso Lazio, il resto della Campania, la Puglia settentrionale, la Sicilia sud-orientale e la Sardegna meridionale.

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