Processo "Italia che lavora": demolita in Appello la sentenza di primo grado

I giudici della Seconda Sezione della Corte d'Appello di Reggio Calabria, presidente Lilia Gaeta, hanno emesso il verdetto relativo al processo scaturito dall'operazione "Italia che lavora". Cinque gli imputati assolti dal reato di illecita concorrenza con violenza o minaccia perché il fatto non sussiste: Antonio Cosmo, Domenico Costanzo, Francesco Mammoliti, Domenico Pelle, Francesco Stipo. Il Collegio Giudicante, inoltre, ha dichiarato cessata l'efficacia della misura dell'obbligo di dimora precedentemente imposta ad Antonio Cosmo, assistito dall'avvocato Marco Tullio Martino. Dichiarato, peraltro, il non doversi procedere nei confronti di Domenico Cosmo, in quanto deceduto. Se non detenuti per altra causa, è stata ordinata la scarcerazione di Francesco Stipo, Francesco Mammoliti e Domenico Pelle. La sentenza ha demolito quella pronunciata dai giudici di primo grado che si erano espressi il 17 ottobre dello scorso anno al termine del processo celebrato con rito abbreviato. In quell'occasione furono comminate sei condanne: nello specifico il giudice dell'udienza preliminare Antonio Scortecci aveva irrogato a tutti gli imputati una pena quantificata in 4 anni di reclusione. Antonio Stipo fu il solo ad essere stato assolto. Riguardo alla posizione di Francesco Nirta, i cui avvocati erano Umberto Abate  Giacomo Anelli, analogamente a quanto accaduto in sede di primo grado, è stata esclusa  dal reato di furto di inerti l’aggravante di aver favorito la 'ndrangheta, determinando così la prescrizione del reato. Secondo quanto  ipotizzato nel corso delle indagini, gli indagati avevano dato vita ad una sorta di "cartello" di aziende che, sfruttando la forza intimidatoria dei clan della 'ndrangheta di San Luca, riuscivano ad aggiudicarsi gli appalti relativi ad opere da realizzare nella località ionica. 

Attentati contro i magistrati di Reggio: due condanne e un'assoluzione

Il collegio Giudicante del Tribunale di Catanzaro ha inflitto una condanna a 8 anni e 6 mesi nei confronti di Luciano Lo Giudice, fratello di Nino, ex collaboratore di giustizia, e di 5 anni e 8 mesi ad Antonio Cortese. Sono stati ritenuti responsabili di due attentati compiuti nel 2010 a Reggio Calabria: il primo, a gennaio, contro la sede della Procura Generale, il secondo, sette mesi più tardi, all'ingresso dell'edificio in cui abita Salvatore Di Landro, Procuratore Generale. Sono stati anche giudicati responsabili dell'atto intimidatorio ai danni di Giuseppe Pignatone, allora Procuratore della Repubblica in riva allo Stretto ed oggi a Roma con il medesimo incarico. I magistrati hanno deciso di assolvere per non aver commesso il fatto, invece, un terzo imputato, Vincenzo Puntorieri, che ha espiato tre anni di carcere. Domenico Guarascio, che aveva sostenuto le tesi della pubblica accusa, aveva chiesto che fossero condannati a pende comprese fra gli otto ed i dieci anni di reclusione. Per arrivare alla sentenza odierna si sono rivelate decisive le testimonianze rese proprio da Nino Lo Giudice, soprannominato "il nano". 

Strage nella masseria di Filandari: confermato l'ergastolo per i due fratelli

I giudici della Corte d'Appello, all'epilogo del processo di secondo grado, hanno confermato due ergastoli rideterminando le condanne inflitte in precedenza agli altri due imputati. E' questo il verdetto relativo all'eccidio compiuto nella masseria di Filandari il 27 dicembre di cinque anni anni fa quando furono trucidati Domenico Fontana ed i figli Emilio, Giovanni, Pasquale e Pietro. Per i fratelli Ercole e Francesco Saverio Vangeli è stato sentenziato che dovranno rimanere a vita dietro le sbarre, Pietro Vangeli e Gianni Mazzitello, suo cognato, invece, condannati in primo grado a quindici anni di reclusione, si sono visti ridurre la pena a 13 anni. 

Omicidio Valentino Vona: ribaltata la sentenza di primo grado, 9 condannati

Nove imputati condannati, uno assolto: è questa la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro in merito all'assassinio di Valentino Vona, ucciso a Petilia Policastro il 21 aprile di tre anni fa in un agguato in cui, secondo le intenzioni dei sicari, avrebbe dovuto essere trucidato il fratello 27enne Giuseppe, lesto a fuggire. L'inchiesta avviata dopo il delitto sfociò nell'operazione "Implivium". Il Collegio Giudicante, modificando il verdetto del processo di primo grado, ha condannato a trent’anni di reclusione Giovanni Castagnino, Francesco Garofalo, Pasquale Manfreda e Mario Mauro. Analoga punizione è stata irrogata, confermando la precedente decisione del Tribunale, a Giuseppe Pace e Giuseppe Scandale. Vent'anni di carcere sono stati inflitti a Luigi Lechiara e Michael Pace. Non ha subito modifiche neanche la pena comminata e Salvatore Comberiati: 3 anni e 4 mesi. Prosciolto da qualsiasi responsabilità in ordine all'omicidio  Tommasino Ierardi. 

Tentò di uccidere a Vibo l'insegnante di violino amante della figlia: condannata

Il giudice del Tribunale di Vibo Valentia, Anna Rombolà, mettendo fine al processo celebrato con rito abbreviato, ha inflitto una condanna a 5 anni di carcere Rosa Cananzi, considerata colpevole del reato di tentato omicidio ai danni del quarantottenne Domenico Lombardo, insegnante di violino legato sentimentalmente alla figlia dell'imputata. Luigi Maffia, il pubblico ministero che ha rappresentato la pubblica accusa, si era espresso a favore di un verdetto più pesante, richiedendo 7 anni e 8 mesi. Il movente è stato rintracciato nel rifiuto opposto dalla donna al legame fra l'uomo e la figlia. Giunta il 22 novembre dello scorso anno presso l'edificio che ospita il Conservatorio di Vibo, la donna, 51 anni, di Rizziconi, trovò la figlia ed il maestro impegnati nell'ambito di una lezione musicale. Ne scaturì un violento alterco che si concluse con il ferimento di Lombardo. Sette i colpi di pistola che lo raggiunsero in varie parti del corpo. Rosa Cananzi, nel corso della fase processuale, è stata assistita dall'avvocato Maria Teresa Caccamo. 

Omicidio di Francesco Torcasio: una condanna a 28 anni di carcere

I giudici hanno inflitto una condanna a ventotto anni di reclusione Antonio Voci, considerato uno dei responsabili dell'assassinio, commesso nel luglio del 2011, di Francesco Torcasio, ucciso a Lamezia Terme. Sulla base di quanto emerso nel corso del dibattimento processuale, l'imputato sarebbe stato presente, insieme ad altri, al momento dell'agguato. In particolare, avrebbe spedito un sms dal telefono cellulare scrivendo "107 blu": l'indicazione precisa che Torcasio era prossimo ad arrivare sul luogo prescelto per compiere l'omicidio. Gli altri soggetti coinvolti avevano optato per ilrito abbreviato. 

Assolti dall'accusa di abuso d'ufficio ex sindaco e membri della Giunta di Anoia

Si è concluso ieri presso il Tribunale Collegiale di Palmi il processo a carico di Antonio Napoli, ex sindaco di Anoia in carica nella consiliatura 2005/2011, nonché di alcuni membri dell’allora Giunta Comunale. La vicenda approdata in Tribunale è stata originata da una denuncia inoltrata da esponente politico di uno schieramento avverso, nella quale lo stesso ipotizzava che gli imputati avessero abusato della propria carica per adottare delibere contrarie all’interesse dell’ente, conferendo incarichi di consulenza ed assistenza legale privi di effettiva consistenza ovvero emettendo mandati di pagamento senza causali giustificative. Durante l’istruttoria dibattimentale, invero, le Difese hanno dimostrato che tali delibere – perfettamente lecite sotto il profilo normativo e regolamentare, oltreché contabile - avevano ad oggetto attività di consulenza effettivamente prestate dal professionista incaricato, ovvero si limitavano al rimborso delle spese per l’assistenza in giudizio nelle cause civili che vedevano come parte il Comune. Aderendo alle tesi difensive, pertanto, il Collegio Palmese ha pronunziato sentenza di assoluzione con la formula "perché il fatto non sussiste" nei confronti di Antonio Napoli e Giuseppe Fuda (difesi dagli Avvocati Davide Vigna e Candeloro Parrello), nonché nei confronti di De Marzo Francesco e Alessandro (difesi dall’Avvocato Anna Maria Fazzari).

 

Operai morti impianto ex Montedison: assolti 8 imputati

Bianca Maria Todaro, giudice del Tribunale di Crotone, ha assolto le otto persone imputate nel processo scaturito dal decesso di diversi operai che un tempo prestavano servizio presso l'impianto Montedison, da tempo inattivo. L'assoluzione, in particolare, ha riguardato il reato di omicidio colposo, mentre per quel che concerne l'imputazione relativa al disastro ambientale sono stati superati i tempi previsti per la prescrizione determinando, di conseguenza,  il non luogo a procedere. La tesi accusatoria era fondata sull'ipotesi che i dipendenti dell'ex stabilimento avessero perso la vita a causa delle polveri di amianto. Francesco Carluccio, pubblico ministero in aula, aveva formulato la richiesta che fossero inflitte cinque condanne e gli imputati fossero assolti dall'accusa di disastro ambientale

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