Vittime innocenti delle mafie, serve una "rinnovata attività di contrasto" alla delinquenza

“Credo che la mia presenza oggi alla manifestazione in ricordo delle vittime innocenti delle mafie non sia soltanto un omaggio formale ed un ricordo di solidarietà alle famiglie così duramente colpite, ma assume un significato di impegno civile e politico cui la Calabria, la Giunta ed il Consiglio regionale devono inverare e costantemente tenere vivo”. Lo afferma in una dichiarazione il Presidente della Commissione contro la ‘ndrangheta Arturo Bova, presente oggi alla XXI° edizione della Marcia voluta da Libera - in svolgimento a Messina - e da centinaia di associazioni ‘per non dimenticare’ chi ha pagato con la vita coraggio civile e impegno democratico. “La presenza di centinaia di ragazzi e ragazze a questo straordinario momento di incontro su uno dei temi più sensibili sul presente e sul futuro della democrazia nel nostro Paese – continua Bova – è motivo di sincera speranza, un sentimento che le istituzioni, a tutti i livelli, devono assumere come vincolo e mandato unitario per costruire, sotto il profilo dell’innovazione legislativa e culturale, strumenti in grado di destrutturare la forza associativa della criminalità organizzata italiana e la sua sottile capacità di infiltrare e corrompere le decisioni pubbliche. Gli attentati ai beni ed alle persone, gli atti di intimidazione che si consumano proditoriamente da parte di gruppi mafiosi e criminali, pur nell’abnegazione del diuturno ed instancabile  impegno della magistratura e delle forze dell’ordine, impongono una rinnovata attività del Parlamento affinchè emani, come avvenuto per la legge Rognoni-La Torre e dopo la ‘stagione delle stragi’, nuovi e più efficaci impianti normativi per rendere davvero ‘sconveniente’ delinquere o riciclare i proventi dei traffici illeciti. L’Italia – prosegue Bova – ed il Mezzogiorno in particolare, non possono continuare a sopportare un gravame così esiziale per lo sviluppo e la credibilità del ‘sistema Paese’, né subire la violenza  e l’arroganza di chi crede che i conti non  si debbano chiudere mai con la Giustizia. Tutto ciò ce lo chiedono non solo le giovani generazioni, ma anche quei partner internazionali che ancora considerano l’Italia un Paese a rischio per gli investimenti, a causa, appunto, della corruzione pubblica che spesso è accompagnata dal ricatto mafioso”.

'Ndrangheta: in corso un sequestro di beni per mezzo miliardo di euro

Alle 11.30 del 21 marzo 2016, presso la caserma "Soveria Mannelli" sede del Comando provinciale, della Guardia di Finanza il Procuratore facente funzioni della Procura della Repubblica di Catanzaro, Giovanni Bombardieri - illustrerà in conferenza stampa gli esiti di una importante operazione di servizio in materia di criminalità organizzata a cura del Nucleo di Polizia Tributaria di Catanzaro, che sta portando al sequestro di beni per un valore stimato di 500 milioni di euro nei confronti di una cosca operante in provincia. Nel mirino degli investigatori gli interessi perseguiti dalla cosca Iannazzo, operativa nell'area di Lamezia Terme. Il provvedimento in corso di esecuzione da parte delle Fiamme Gialle comprende appartamenti, appezzamenti di terreno, attività commerciali, automezzi, fabbricati, conti correnti bancari, fabbricati, quote societari. I sigilli sono stati apposti pure al centro commerciale Due Mari", a Maida, appartenente all'imprenditore Franco Perri.

 

 

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Duri colpi alle cosche di Taurianova e San Luca: confiscati fabbricati, imprese e titoli

La Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha ottenuto dalla Sezione Misure di Prevenzione del locale Tribunale un provvedimento di confisca preventiva di beni mobili ed immobili per un valore di circa 700.000 euro riconducibili al patrimonio di Michele Maio, 62enne di Taurianova, e del suo nucleo familiare. I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno dato esecuzione al provvedimento nei confronti del soggetto, ritenuto appartenente alla ‘ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata “cosca Maio”, operante in particolare nella frazione San Martino del Comune di Taurianova. L’attività costituisce la prosecuzione dell’operazione convenzionalmente denominata “Tutto in famiglia”, nell’ambito della quale Maio è stato indagato e successivamente condannato in primo grado a 14 anni e 6 mesi di reclusione in ordine al reato di associazione di tipo mafioso. L’operazione “Tutto in famiglia”, infatti, ha consentito di delineare gli aspetti strutturali e quelli operativi della cosca operante in San Martino di Taurianova, dimostrando che in quel territorio esiste una Locale di ‘ndrangheta, costituita in Società, attesa la documentata esistenza di una “Società Maggiore” e di una “Società Minore”, qualificando il ruolo di Michele Maio appunto in “Capo Società”. Il quadro emerso dalla complessa attività investigativa ha evidenziato come la cosca Maio sia un’organizzazione criminale che, avvalendosi della forza di intimidazione e della conseguente condizione di assoggettamento, si dedichi principalmente all’attività di usura e alla commissione di reati (estorsioni, danneggiamenti, atti intimidatori in genere) per conseguire illeciti profitti. L’attività di indagine ha consentito infatti di accertare che la cosca di San Martino di Taurianova traesse i suoi illeciti guadagni, oltre che dall’attività di usura, anche dalle estorsioni, conseguendo denaro ed altre utilità economiche con minaccia e violenza, imponendo versamento di somme o la consegna di parte del materiale prodotto a commercianti, imprenditori e proprietari terrieri. Numerose sono infatti le conversazioni intercettate in cui si parla di “percentuali” sulle attività economiche svolte dai privati ed esplicitamente di riscossione di somme non dovute, con l’utilizzo di termini quali “busta”. Le emergenze investigative hanno permesso di disvelare un vero e proprio sistema estorsivo legato ad un forte clima di intimidazione gravante sui cittadini dimoranti o che si trovino, per qualunque motivo, ad operare nel territorio di San Martino di Taurianova, consentendo di documentare lo svolgimento da parte della cosca dell’attività estorsiva nei confronti di imprese aggiudicatarie di lavori pubblici, per un importo pari al 2-3% del valore complessivo dell’appalto, produttori di arance e proprietari di terreni agricoli. L’odierno provvedimento, scaturito dalle risultanze investigative patrimoniali del Reparto Operativo dei Carabinieri reggini, che hanno consentito di accertare illecite accumulazioni patrimoniali, riguarda beni consistenti in:

– un’impresa individuale operante nel commercio al dettaglio di carni;

– un’abitazione ubicata in Taurianova;

– svariati rapporti bancari, titoli obbligazionari, polizze assicurative riconducibili ai destinatari del provvedimento.

 

Analogo provvedimento di confisca preventiva di beni mobili ed immobili, anche in questo caso per un valore di circa 700.000 euro, è stato eseguito nei confronti di Pasquale Hanoman, 51enne di Taurianova, e del suo nucleo familiare. Anche Hanoman è ritenuto appartenente alla ‘ndrangheta nella sua articolazione territoriale denominata “cosca Maio” operante nella frazione San Martino del comune di Taurianova, a seguito della citata operazione convenzionalmente denominata “Tutto in famiglia” condannato in primo grado a 18 anni di reclusione per il reato di associazione di tipo mafioso. Il provvedimento di sequestro scaturito dalle risultanze investigative patrimoniali del Reparto Operativo di Reggio Calabria  riguarda beni consistenti in:

– un’impresa individuale operante nella somministrazioni di alimenti e bevande; 

– 10 tra fabbricati e terreni ubicati in Taurianova e Varapodio;

– svariati rapporti bancari, titoli obbligazionari, polizze assicurative riconducibili ai destinatari del provvedimento.

In particolare, i Carabinieri hanno apposto i sigilli al Bar “Vecchio Lume” di Taurianova, ove le attività investigative avevano consentito di accertare lo svolgimento di due riunioni di ‘ndrangheta, nel maggio ed aprile del 2011.

Contestualmente, a Sant’Ilario dello Jonio, è stata data esecuzione ad ordinanza di sequestro e confisca nei confronti di Antonio Strangio, 63enne di San Luca, detenuto, le cui consistenze patrimoniali hanno costituito oggetto d’indagine da parte dei Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria a seguito di condanna definitiva emessa dalla citata Corte il 28.10.2004 e di successiva emissione, il 22.06.2009, di Ordine di esecuzione di pene concorrenti rideterminate in 30 anni di reclusione per i reati di associazione di tipo mafioso, armi, tentato omicidio ed altri. Il soggetto è appartenente alla famiglia degli Strangio alias “Jancu” di San Luca ed è ritenuto soggetto di elevato profilo criminale nell’ambito del predetto contesto familiare dedito, negli anni Ottanta, ai sequestri di persona. Il provvedimento di sequestro eseguito dai carabinieri riguarda un fabbricato, sito nel comune di Sant’Ilario dello Jonio, del valore stimato in 90.000 euro circa.

Imprenditore legato alla ‘ndrangheta nel Vibonese: sequestrati 2 atelier di abiti da sposa

Le Fiamme Gialle del Comando Provinciale della Guardia di Finanza - sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Reggio Calabria - hanno proceduto alla confisca nei confronti di un imprenditore del vibonese, Ettore Tassi, di 2 imprese - operanti nel settore del confezionamento di abiti da sposa - con sede a Vibo Valentia, di rapporti finanziari nonché di innumerevoli beni immobili, tra cui una villa con piscina sita in Ricadi, il tutto per un valore stimato pari a quasi 6 milioni di euro. Tale provvedimento, emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, rappresenta l’epilogo dell’articolata e capillare attività investigativa svolta dal Nucleo di Polizia Tributaria - G.I.C.O. di Reggio Calabria, che ha permesso di accertare un’ingiustificata discordanza tra il reddito dichiarato (pari in diverse annualità, addirittura, a zero) e il patrimonio a disposizione, direttamente o indirettamente, dell’imprenditore che, secondo gli inquirenti, sarebbe contraddistinto da pericolosità sociale qualificata in quanto riconosciuto appartenente alla cosca di ‘ndrangheta Molè di Gioia Tauro con radicate ramificazioni operative in varie Regioni italiane. A tal fine è stata estrapolata e acquisita copiosa documentazione - ufficiale e non - quale contratti di compravendita di beni immobili, di quote societarie, atti notarili, scritture private ecc., necessari a ricostruire ogni singola operazione economica effettuata dall’imprenditore e dal proprio nucleo familiare. Il materiale così acquisito è stato oggetto, quindi, di circostanziati approfondimenti tesi a ricostruire, con dovizia di particolari, tutte le movimentazioni finanziarie eseguite da Tassi e dai propri familiari, le quali, nel corso dell’ultimo trentennio, hanno determinato un arricchimento decisamente anomalo, se rapportato alla lecita capacità reddituale dichiarata dai soggetti investigati. Tassi era stato già sottoposto alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per anni due e, da ultimo, condannato - con sentenza passata in giudicato della Corte di Appello di Reggio Calabria in data 18.12.2006 - alla pena detentiva di 4 anni e 6 mesi di reclusione per i delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, rapina tentata, furto e detenzione illegale di armi. In particolare, l’attività investigativa svolta dal Nucleo PT/G.I.C.O. ha consentito di confiscare la totalità delle quote sociali e del patrimonio aziendale di due noti atelier di abiti da sposa i quali, sebbene formalmente intestati alle figlie di Tassi, erano nella disponibilità di fatto di quest’ultimo. Infatti, detti atelier erano stati costituiti dalle figlie dell’imprenditore in rapida successione tra il 2011 ed il 2012, nonostante l’assenza da parte di queste ultime della necessaria capacità finanziaria per far fronte all’avvio di tali iniziative imprenditoriali. Nello specifico - in esecuzione dei pertinenti decreti emessi dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria - sono stati confiscati i seguenti beni:

• intero patrimonio aziendale della ditta individuale “Le Spose di Chiara” di Tassi Chiara, con sede nel Comune di Vibo Valentia;

• totalità delle quote sociali e del patrimonio aziendale (comprensivo di conti correnti e mobili registrati) di “Le spose di Chiara s.r.l.”, con sede legale nel Comune di Ionadi e unità locale nel Comune di Vibo Valentia; 

• numerosi fabbricati e terreni siti nel Comune di Ricadi, tra cui una lussuosa villa sita in località Fortino Santa Maria;

• 2 depositi a risparmio nominativi.

Conclusivamente il Comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha proceduto alla confisca di 2 imprese, di vari immobili, tra cui una villa di pregio, nonché di depositi a risparmio, il tutto per un valore complessivo stimato pari a quasi 6 milioni di euro.

'Ndrangheta nel Vibonese: due condanne per tentato omicidio

I giudici della Corte d'Appello di Catanzaro hanno condannato due imputati, tra loro padre e figlio, perché riconosciuti responsabili di aver tentato di uccidere a colpi di pistola Rocco La Scala, commerciante ambulante 51enne. A Nazzareno Prostamo, 54 anni, di San Giovanni di Mileto, è stata inflitta una condanna a 14 anni di carcere, per Giuseppe, il figlio 26enne il Collegio Giudicante ha disposto una pena di 8 anni e 6 mesi. Il grave fatto di sangue, in seguito al quale la vittima rimase paralizzata, avvenne il 13 settembre di cinque anni fa a Mileto, nel Vibonese. Nazzareno Prostamo, ergastolano per aver ucciso nel 1990 Pietro Cosimo, all'epoca personaggio apicale della 'ndrangheta, è considerato un boss dell'omonimo clan. Sulla base di quanto ricostruito, lo stesso Nazzareno Prostamo era convinto che Lascala avesse ordinato l'assassinio del fratello Giuseppe, reputato tra i soggetti al vertice dell'organizzazione criminale "Tavella-Prostramo-Pititto", ammazzato a San Costantino Calabro nel giugno del 2011. 

 

 

 

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Avvocato di origini calabresi ucciso dalla 'ndrangheta in Australia

E' stato un operatore ecologico a trovare il cadavere intorno alle tre della notte: giaceva riverso a pochi passi dall'automobile a bordo della quale stava salendo per rientrare presso la propria abitazione dopo aver lasciato il bar gelateria di cui era fra i proprietari ed ubicato lungo Lygon Street, a Cartlon, zona di Melbourne ad alta densità di emigrati italiani. E' lì che il killer attendeva l'avvocato Joseph Acquaro, 54enne di origini reggine. I colpi di pistola sono stati esplosi a pochi centimetri dal corpo della vittima designata. Il principale sospettato sarebbe Tony Madafferi, considerato un boss della 'ndrangheta attiva in Australia. Recentemente si sarebbe spinto ad offrire 200 mila dollari a chi avesse ucciso il professionista che nel corso della sua carriera aveva nelle aule dei tribunali numerosi personaggi di spicco della criminalità organizzata. Tra loro anche Frank Madafferi, attualmente detenuto e fratello di Tony. L'ipotesi avanzata dagli inquirenti è che Madafferi sospettasse che il legale aveva svelato ad un giornalista particolari riservati relativi alle dinamiche della 'ndrangheta con base in Australia. Negli anni scorsi l'avvocato Acquaro aveva guidato la Camera di Commercio che mai era rimasto implicato in vicende di natura giudiziaria. 

 

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Arrestati i vertici strategici di cinque famiglie di 'ndrangheta: i nomi

Arrestati i vertici strategici di cinque famiglie di 'ndrangheta. Su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia, la Polizia di Stato ha arrestato nella notte esponenti di vertice delle cosche De Stefano, Franco, Rosmini, Serraino e Araniti. Sono finiti in manette a Reggio Calabria l’avvocato Giorgio De Stefano, di 68 anni, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ed indicato nelle intercettazioni come "massimo" referente della cosca; Roberto Franco, di 56 anni, presunto capo dell’omonima famiglia mafiosa federata ai De Stefano; Domenico Stillitano, di 54 anni e il fratello Mario Vincenzo Stillitano, di 50 anni, considerati dagli investigatori rappresentanti apicali della stessa famiglia, alleata della cosca Condello; Antonino Araniti, di 38 anni e Giovanni Sebastiano Modafferi, di 39 anni, sospettati di essere elementi di spicco della cosca Araniti, federata ai Condello; Antonino Nicolò, di 64 anni, ritenuto elemento di rilievo della cosca Rosmini federata ai Condello;  Dimitri De Stefano, di 43 anni, a parere degli investigatori, esponente di spicco dell’omonimo cosca, nonché fratello del più noto Giuseppe, 47 anni attualmente detenuto e considerato il capo crimine di Reggio Calabria. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria hanno consentito di accertare, a parere degli investigatori, che Carmelo Salvatore Ncera,57 anni, per avviare l’esercizio commerciale preso in affitto dalla famiglia dei Nicolò - i quali lo avevano acquistato dai Malavenda - aveva dovuto chiedere l’autorizzazione prima ai De Stefano rappresentati, sulla scorta di quanto emerso in fase d'indagine, a Santa Caterina da Roberto Franco che aveva dato il suo assenso e poi ai fratelli Domenico e Mario Vincenzo Stillitano, sostengono le forze dell'ordine, rappresentanti dello schieramento dei Condello, che invece si sarebbero decisamente opposti all’apertura del nuovo locale. Per superare il veto posto dagli Stillitano, Carmelo Nucera si sarebbe rivolto ai massimi rappresentati delle cosche De Stefano e Condello. Nel primo caso sarebbe riuscito ad arrivare fino a Giorgio De Stefano ("il massimo") attraverso la mediazione di un conoscente e nel secondo caso ai Condello tramite gli Araniti. Due indagati, Carmelo Salvatore Nucera e Giovanni Carlo Remo, sono stati arrestati per concorso esterno in associazione mafiosa. Avrebbero aiutato e rafforzato le cosche di Santa Caterina assicurandosi la protezione della ‘ndrangheta in relazione all’apertura dell’esercizio commerciale denominato bar "Ritrovo Libertà (nuova denominazione dell’ex bar Malavenda) intestato a Nucera e gestito da quest’ultimo in società di fatto con Remo,  riconoscendo alla 'ndrangheta il potere di regolamentazione dell’accesso al lavoro privato in relazione all’assunzione di alcuni dipendenti "graditi" alle cosche e la potestà di regolamentazione dell’esercizio del commercio e, più in generale, il controllo sulle attività economico-produttive del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria. Altre sei persone sono state arrestate per intestazione fittizia di beni, essendosi prestate, è il convincimento dei titolari dell'attività investigativa,, a fare da prestanomi ad appartenenti alle cosche operanti in città, al fine di consentire loro di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale.

 

 

Reggio, maxi operazione anti 'ndrangheta della Polizia di Stato

E’ in corso dalle prime ore di questa mattina a Reggio Calabria una vasta operazione della Polizia di Stato per l’esecuzione di 19 ordinanze di custodia cautelare, di cui 11 in carcere, 6 agli arresti domiciliari e 2 con obbligo di dimora, su ordine della Direzione Distrettuale Antimafia. Nel corso dell'operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria sono stati colpiti presunti, capi, gregari e soggetti contigui alle cosche De Stefano e Franco aderenti al cartello Destefaniano e Rosmini, Serraino e Araniti aderenti al cartello Condelliano, imperanti in città ed uniti nella spartizione dei proventi derivanti dalle attività estorsive in danno di commercianti ed operatori economici di Reggio Calabria. Le attività hanno impegnato 250 uomini appartenenti alla Polizia di Stato. I reati contestati vanno dall’associazione mafiosa, al concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni e rivelazione del segreto d’ufficio. Eseguite anche numerose perquisizioni. I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà in Questura alle ore 11. La Squadra Mobile di Reggio Calabria sta eseguendo anche numerosi sequestri di esercizi commerciali in mano alla 'ndrangheta. Si tratta di noti bar della città, di una stazione di servizio per l’erogazione di carburante, di una concessionaria di autovetture ed esercizi commerciali per la distribuzione di prodotti ittici surgelati. Gli esponenti delle cosche di Reggio Calabria avevano costituito e gestito, direttamente o per interposta persona, una serie di attività economiche, operanti in diversi settori imprenditoriali, attribuendone la titolarità formale a terzi soggetti, al fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine e le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione. Dieci milioni di euro è il valore stimato delle aziende e degli altri beni sequestrati. "Sistema Reggio" sarebbe il nome dell’operazione che gli investigatori della Squadra Mobile stanno eseguendo in queste ore a Reggio Calabria. L’inchiesta della D.D.A. di Reggio Calabria conferma che le cosche della 'ndrangheta esercitano sistematicamente anche il potere di regolamentazione dell’accesso al lavoro privato, facendo assumere agli esercizi commerciali dipendenti graditi alle organizzazioni criminali, nonché la potestà di regolamentazione dell’esercizio del commercio, autorizzando o meno l’apertura di esercizi commerciali nei quartieri da esse controllati. Il quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria sarebbe stato controllato capillarmente dalla  'ndrangheta attraverso le famiglie Franco e Stillitano, i primi federati ai De Stefano e i secondi ai Rosmini e quindi ai Condello. I due massimi referenti locali sarebbero Roberto Franco, 56 anni e i fratelli  Mario Vincenzo Stillitano, 30 anni e Domenico, 54 anni arrestati questa notte dai poliziotti reggini assieme ai componenti di altri sodalizi criminali. L’operazione "Sistema Reggio” trae origine da un grave attentato perpetrato la notte dell’11 febbraio 2014, con l’esplosione di un ordigno pipe bomb, al Bar Malavenda, noto esercizio commerciale del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria. L’esplosione aveva distrutto la vetrina del bar, il banco pasticceria e diverse vetrate anche dei locali sovrastanti, adibiti ad ufficio, magazzino e laboratorio, nonché una minicar in sosta nelle adiacenze. L’1 marzo 2014, fu rinvenuto un altro ordigno inesploso, nello stesso punto e dello stesso tipo di quello che era scoppiato a febbraio. Alla base dell’inchiesta numerose intercettazioni. Le indagini condotte dalla Squadra Mobile si sono basate essenzialmente sui risultati delle intercettazioni telefoniche, ambientali e delle video riprese disposte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Gli elementi acquisiti dalla Squadra Mobile, grazie alle attività tecniche, hanno consentito di ricostruire puntualmente non solo le dinamiche criminali relative al duplice attentato del Bar Malavenda con l’individuazione dei mandanti, ma anche ai contesti mafiosi riconducibili ai due più potenti casati di ‘ndrangheta operanti nella città di Reggio Calabria, ovvero quelli facenti capo alla famiglia De Stefano e Condello, entrambi dominanti ad Archi ed in altri quartieri del centro di Reggio Calabria, fra i quali Santa Caterina.

    

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