Arrestato il latitante Giuseppe Pelle (VIDEO)

Nel corso di un’operazione di polizia scattata durante la notte al termine di complesse indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria e del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato (RC), hanno catturato il latitante della ‘ndrangheta calabrese PELLE Giuseppe, nato a San Luca (RC) il 20 agosto 1960, capo strategico e membro della “provincia” della ‘ndrangheta, ricercato dal mese di aprile del 2016, allorquando si sottrasse all’esecuzione dell’ordine di carcerazione n. 109/2016 SIEP emesso, in data12.04.2016, dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, dovendo espiare una pena residua di 2 anni, 5 mesi e 20 giorni di reclusione per associazione mafiosa.

Nel mese di luglio 2017, mentre era latitante, il PELLE è stato colpito prima da un provvedimento di fermo di indiziato di delitto e poi da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell’ambito dell’inchiesta denominata “Mandamento Ionico”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, per tentata estorsione e illecita concorrenza con violenza e minaccia, aggravate dal metodo mafioso e consistite nell’aver tentato di accaparrarsi i proventi derivanti dall’esecuzione di lavori pubblici in alcuni comuni della Locride, tra i quali Siderno, Palizzi, Condofuri e Natile di Careri (RC).

Il latitante - ricercato dalla Polizia di Stato dal 2016 - aveva trovato rifugio all’interno di un’abitazione situata in una delle contrade più impervie dell’entroterra di Condofuri (RC), pressoché irraggiungibile in quanto priva di strade percorribili ed isolata dal greto accidentato di una fiumara aspromontana che ne rende difficoltoso l’accesso.

PELLE Giuseppe appartiene alla potente famiglia dei Gambazza di San Luca (RC) un tempo guidata dal padre Antonio PELLE classe 1932, elemento posto ai vertici della ‘ndrangheta fino alla sua morte, avvenuta nel 2009. E’ anche legato alla potente famiglia BARBARO di Plati (RC) facente capo al boss ergastolano BARBARO Francesco classe 1927 detto "U Castanu", per averne sposato la figlia Marianna.

Le risultanze investigative finora acquisite permettono di attribuire a PELLE Giuseppe il ruolo di elemento di vertice dell’intera organizzazione mafiosa, come dimostrano le riprese del sistema di video osservazione installato nei pressi della sua abitazione di Bovalino (RC) che consentiva di documentare le sue frequentazioni con personaggi di assoluto rilievo del panorama criminale della provincia reggina, nonché con esponenti politici locali che a lui si rivolgevano per chiedere voti in cambio di benefici di vario tipo.

Egli, in tale qualità, organizzava gli incontri con altri esponenti di rango dalla ‘ndrangheta, raccoglieva richieste di intervento per risolvere controversie interne ai Locali e dirimeva conflitti insorti in materia di spartizione degli appalti.

Il PELLE annovera a suo carico anche una condanna definitiva per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, accertato nell’ambito dell’inchiesta “Armonia” che aveva coinvolto i vertici di varie cosche della ‘ndrangheta.

Il blitz è scattato nel cuore della notte nell’entroterra di Condofuri dove la Polizia di Stato ha impiegato oltre cinquanta uomini per consentire agli investigatori di infiltrarsi, contemporaneamente con diverse unità operative mobili, nelle zone teatro della massiccia operazione. La fulminea azione dei poliziotti non ha lasciato alcuna possibilità di fuga al ricercato il quale si è arreso senza opporre alcuna resistenza. All’interno dell’abitazione erano presenti altri soggetti, le cui posizioni sono al vaglio degli inquirenti.

 

'Ndrangheta, eseguite 9 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di esponenti della famiglia “Soriano”

Nelle prime ore della mattinata in Vibo Valentia, i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia hanno eseguito delle Ordinanze di Custodia Cautelare in Carcere emesse dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro nei confronti di 9 esponenti apicali della famiglia ‘ndranghetistica dei  “Soriano” di Arzona-Pizzinni di Filandari.

Di recente, l’operazione “NEMEA” aveva azzerato i vertici criminali della struttura criminale determinando l’arresto anche di vari sodali affiliati alla 'ndrina di Pizzinni, colpevoli di aver messo in atto una vera strategia del terrore per riacquisire il controllo criminale della zona di Filandari.

Le odierne misure hanno confermato la sussistenza delle esigenze cautelari tali da disporre la permanenza in carcere per tutti i soggetti già destinatari di fermo.

Il G.I.P. di Catanzaro ha emesso inoltre, un ulteriore misura cautelare di custodia in carcere nei confronti di SORIANO Gaetano, fratello di Leone, colpevole di detenzione e traffico di sostanze stupefacenti in concorso con gli altri sodali.

Una forte risposta dell’Arma dei Carabinieri alla recrudescenza criminale della zona che si inserisce in una più ampia strategia di contrasto alla criminalità organizzata realizzata secondo le direttive impartite dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Catanzaro.

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Sequestrati beni per quasi un milione di euro ad un presunto affiliato alla cosca Gallace di Guardavalle

I finanzieri del nucleo di Polizia Tributaria di Catanzaro, coordinati dal Procuratore della Repubblica di Catanzaro, dott. Nicola Gratteri, dal Procuratore Aggiunto, dott. Vincenzo Luberto, e dal Sostituto Procuratore, dott. Vincenzo Capomolla, questa mattina hanno dato esecuzione a un provvedimento di sequestro di beni per un valore di circa 920 mila euro, emesso dalla seconda sezione penale misure di prevenzione del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura Distrettuale di Catanzaro.

Destinatario della misura ablativa è Vitale Vincenzo di Guardavalle, vicino alla cosca di ‘ndrangheta “Gallace” di Guardavalle, operante nell’area ionica soveratese. Vitale Vincenzo era stato coinvolto nella nota operazione di polizia denominata “itaca-freeboat”, culminata nel mese di luglio 2013 con l’arresto di 25 soggetti, ritenuti affiliati ovvero fiancheggiatori della cosca Gallace/Gallelli/Saraco operante in Guardavalle, Badolato e su tutta la fascia del basso ionio catanzarese.

All’esito dell’intero procedimento penale, nel marzo del 2015, col rito abbreviato, è stato condannato a sei anni di reclusione, perché ritenuto colpevole di associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Successivamente, la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, lo aveva assolto dal reato di associazione mafiosa e gli aveva confermato la condanna per estorsione aggravata dal metodo mafioso, rideterminando contestualmente la pena a quattro anni di reclusione e 2000€ di multa.

Le indagini patrimoniali condotte dagli investigatori del G.I.C.O. diretti dalla DDA di Catanzaro, precedenti all’emanazione del provvedimento di sequestro, hanno consentito di ricostruire in capo al proposto un notevole complesso patrimoniale il cui valore è risultato sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati o all’attività economica svolta. In particolare, e’ stato accertato che il Vitale, nel corso degli anni, ha alternato l’attività di lavoratore dipendente presso un’azienda agricola con quella di imprenditore agricolo, presentando dichiarazioni dei redditi del tutto incoerenti con il patrimonio nella sua disponibilità.

Il provvedimento di sequestro ha riguardato due fabbricati ubicati nel comune di Guardavalle e due automezzi, per un valore complessivo stimato in 920 mila euro.

Aggressione di Klaus Davi a Bovalino, deferito un uomo

A seguito della tentata aggressione perpetrata ai danni del massmediologo Klaus Davi il 24 agosto a Bovalino, gli accertamenti condotti dal personale della Digos e dal Commissariato di P.S. di Bovalino intervenuto, hanno permesso di deferire all’Autorità Giudiziaria di Locri un uomo, residente a Bovalino, per i reati di minaccia e violenza privata.

I fatti: Il giornalista si era recato a Bovalino nei pressi dell’abitazione di un noto pregiudicato della zona, dove aveva iniziato ad effettuare riprese video all'edificio. Mentre rivolgeva domande alle persone affacciate alle finestre, incuriosite dalla presenza delle telecamere, dal balcone del primo piano, si affacciava un uomo, che proferendo insulti ad alta voce, lo invitava ad andare via. Da li a poco, Klaus Davi è stato sfiorato dal lancio di un vaso di una pianta che andava ad infrangersi contro un'autovettura.

Immediatamente dopo, l’uomo al balcone si portava in strada e si lanciava verso il giornalista con intenzioni minacciose venendo tuttavia bloccato immediatamente e riportato all’interno dell’abitazione da personale della Digos di Reggio Calabria, in servizio di vigilanza al massmediologo in occasione della sua presenza in questa provincia per motivi lavorativi.

'Ndrangheta, operazione Crisalide: fermate 52 persone

A partire dalle prime luci dell'alba, militari del Comando provinciale dei Carabinieri di Catanzaro hanno dato esecuzione ad un decreto di fermo emesso dalla Direzione distrettuale antimafia nei confronti di 52 presunti affiliati alla cosca 'ndranghetista "Cerra – Torcasio - Gualtieri" attiva nella piana di Lamezia, ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso, traffico illecito di sostanze stupefacenti, possesso illegale di armi ed esplosivi, estorsione, danneggiamento aggravato, rapina.

L'operazione, denominata "Crisalide", trae origine da un’indagine del Nucleo investigativo di Catanzaro e della Compagnia di Lamezia Terme, ha permesso di documentare l’operatività della cosca dedita ad un controllo asfissiante del territorio mediante attività estorsive e danneggiamenti ai danni di imprenditori e commercianti ed allo spaccio di sostanze stupefacenti.

L’attività investigativa ha, inoltre, consentito di recuperare e sequestrare ingenti quantitativi di armi e droga nonché di individuare ed arrestare gli autori di numerosi danneggiamenti effettuati per volontà dei capi cosca.

 

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'Ndrangheta, operazione “Recherche”: arrestati i fiancheggiatori del boss Marcello Pesce

Fra gli arrestati nell’operazione “Recherche” vi sono diversi fiancheggiatori che avrebbero curato e gestito la latitanza di Marcello Pesce, fungendo da “vivandieri”, assicurandone i collegamenti con gli altri membri della cosca e, più in generale, con i familiari, procurando loro appuntamenti con soggetti terzi o riportando loro e per loro conto le “imbasciate”. Le condotte di aiuto dei fiancheggiatori si sarebbero concretizzate nella messa a disposizione di quanto necessario alla protrazione della latitanza di Pesce ed alla creazione di una rete di supporto e di tutela, effettuando delle staffette finalizzate ad evitare l’intervento delle forze dell’ordine o a coprire i vari spostamenti del latitante.

Le indagini hanno consentito di ricostruire nei minimi particolari i movimenti dei fiancheggiatori attraverso le immagini registrate dalle telecamere installate lungo i percorsi stradali che conducevano al covo del latitante a Rosarno, laddove Marcello Pesce è stato localizzato e arrestato l’1 dicembre 2016 in seguito ad un blitz curato in ogni dettaglio.

L’analisi degli spostamenti effettuati da Filippo Scordino e dagli altri fiancheggiatori, tratti in arresto nel corso della notte, avrebbe consentito agli investigatori di comprendere che egli avrebbe assunto un ruolo sempre più importante nella gestione della latitanza di Pesce, di cui avrebbe eseguito gli ordini.

Sempre attraverso la collocazione delle telecamere di sorveglianza altamente sofisticate, gli investigatori hanno individuato l’intero e composito gruppo di fiancheggiatori del super-latitante. Le autovetture in uso ai favoreggiatori sono state riprese dalle telecamere della Polizia di Stato mentre percorrevano la strada che conduceva all’abitazione all’interno della quale è stato localizzato e catturato il latitante.

Fra gli arrestati dell’Operazione “Recherche” figura anche Rocco Pesce, figlio di Marcello, componente del primo livello della filiera di comunicazione con il latitante. Proprio quest’ultimo, seguendo le direttive del padre, si sarebbe occupato del controllo e del coordinamento delle attività delittuose, teneva i rapporti con gli altri affiliati e con gli esponenti di vertice di altre cosche, gestiva alcune aziende agricole, un centro scommesse intestati a prestanome e un fiorente traffico di sostanze stupefacenti.

La meticolosità con cui sono state eseguite le indagini, attraverso molteplici intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche e di videosorveglianza - congiuntamente alle tradizionali attività di riscontro sul territorio -, avrebbe consentito di far luce sulle condotte criminali poste in essere dal gruppo facente capo al boss Marcello Pesce e, più in generale, all’intera cosca, con particolare riferimento al monopolio forzoso del settore del trasporto merci su gomma di prodotti ortofrutticoli per conto terzi, alle intestazioni fittizie di beni ed al traffico degli stupefacenti.

Centrale in tutti questi ambiti era anche la figura di Filippo Scordino, considerato  luogotenente del boss e persona di estrema fiducia del figlio Rocco, che è risultato il principale gestore della “Agenzia di Rosarno”, ovvero l’agenzia di mediazione del trasporto merci su gomma attraverso la quale il settore era monopolizzato dallo stesso Pesce e gestito attraverso alcune società fittiziamente intestate a prestanomi.

Le indagini hanno portato alla luce alcuni disaccordi nella gestione del trasporto degli agrumi per conto di alcuni produttori di Rosarno, sorti tra le articolazioni della cosca Pesce facenti capo da un lato al boss Marcello e dall’altro a quella di Vincenzo Pesce detto “u pacciu” (già detenuto), i cui interessi erano curati dai figli Savino ed Antonino. Alla base delle frizioni, la rivendicazione dei figli di Vincenzo Pesce della gestione del trasporto, con mezzi propri o delle società ad essi riconducibili, degli agrumi prodotti nelle aree ricadenti sotto la loro influenza criminale.

 Beni per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro sono stati sequestrati dagli investigatori. Si tratta di otto società operanti nel settore agrumicolo e del trasposto merci per conto terzi, con i relativi patrimoni aziendali, beni mobili ed immobili, crediti, articoli risultanti dall’inventario, beni strumentali, denominazione aziendale, avviamento, conti correnti, nonché tutte le licenze e/o autorizzazioni all’esercizio dell’attività commerciale concesse dalle Autorità competenti. Sequestrati anche 44 trattori stradali, rimorchi e semirimorchi utilizzati dalla cosca per il trasporto di agrumi e kiwi da Rosarno al Centro e Nord Italia.

Catturato il super latitante Santo Vottari


Nelle prime ore di oggi (22 marzo), a Benestare (RC), i carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Reggio Calabria, unitamente ai colleghi dello Squadrone Cacciatori Calabria, a conclusione di un'articolata attività d’indagine coordinata dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria - Direzione distrettuale antimafia, hanno tratto in arresto, in esecuzione di ordine di esecuzione per la carcerazione, a seguito di condanna alla pena di anni 10 e 8 mesi per i reati di associazione di tipo mafioso, Santo Vottari, di 44 anni.

Inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi stilato dal Ministero dell’Interno, Vottari era irreperibile dall’agosto 2007, allorquando era riuscito a  sottrarsi all’arresto nell’ambito dell’operazione denominata “Fehida”. I militari dell'Arma lo hanno individuato all’interno di un “bunker” sotterraneo in muratura ricavato all’interno di altro “bunker”, già rinvenuto in passato, situato nel seminterrato dell’edificio su più piani e costituito da diversi appartamenti dove dimora tutta la famiglia Vottari.

Ritenuto elemento di vertice dell’articolazione territoriale della ‘ndrangheta operante prevalentemente a San Luca e zone limitrofe e con ramificazioni in tutta la provincia ed in altre in ambito nazionale ed internazionale, Vottari è stato sorpreso nel cuore della notte. Non ha opposto resistenza e, subito dopo l’irruzione, ha declinato le proprie generalità lasciandosi ammanettare.

L' arrestato è figlio di Giuseppe Vottari, assassinato a Bruzzano Zeffirio (RC) il 2 ottobre 1986, a seguito di un summit chiarificatore tra due clan rivali operanti nel comprensorio di Motticella, e nipote di Fracesco Antonio Vottari, alias "Frunzu", capostipite della famiglia inquadrata nella cosca “Pelle-Vottari”. Il sodalizio si contrappone alla cosca “Nirta-Strangio” in una cruenta faida che si protrae dagli anni Novanta, culminata il 15 agosto 2007 nella tristemente nota strage di ferragosto consumata a Duisburg, in Germania, con la mirte di ben sei persone.

“Antonello il Siciliano” ai domiciliari, senza braccialetto elettronico

La Corte di Appello di Catanzaro, accogliendo l’istanza dell’avvocato difensore Francesco Nicoletti, concede gli arresti domiciliari, senza braccialetto elettronico, a Giuseppe Ferrante alias Antonello il Siciliano, coinvolto nella maxioperazione antimafia “Stop”. L’uomo era stato condannato in primo grado dal Tribunale di Castrovillari a 20 (venti) anni di reclusione; pena poi rideterminata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza emessa in data 7 ottobre 2016, a 5 (cinque) anni e 4 (quattro) mesi di reclusione.

I FATTI Giuseppe Ferrante finisce in manette il 19 giugno 2013 nell’ambito del maxiprocedimento “Stop” istruito dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro. Lo si accusa di aver partecipato ad una associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetistico denominata “Acri-Morfò”, ritenuta dagli inquirenti operante nel territorio del Comune di Rossano e comuni viciniori, la quale, in accordo con le organizzazioni mafiose presenti nelle altre province, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà della generalità dei cittadini, era finalizzata al controllo e allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, al compimento di delitti contro il patrimonio e contro la persona; con la totale e preventiva accettazione, da parte degli associati, della necessità di compiere azioni delittuose per garantirsi il controllo del territorio e per stroncare, mediante l’uso della violenza, qualunque ingerenza interna o esterna.

L’IPOTESI ASSOCIATIVA L’associazione, secondo il castello accusatorio, avrebbe portato avanti il proprio fine mediante la dotazione e la disponibilità di armi comuni e da guerra; mediante la partecipazione di ciascun associato - attraverso un’articolata distribuzione di compiti e funzioni, nonché la sostanziale fungibilità fra i vari membri - al compimento di una serie di azioni delittuose, quali reati contro la persona a base violenta ed estorsioni generalizzate nel territorio, specie in danno degli imprenditori. Un’associazione che, evidenziavano gli inquirenti, si sarebbe ingerita nell’imprenditoria di tutta l’area della provincia di Cosenza e anche altrove, e in particolare: nel settore della distribuzione di caffè torrefatto e prodotti derivati, nel settore degli appalti di servizi di vigilanza, nella distribuzione di prodotti da forno e di altri generi alimentari, nel noleggio di videogiochi di genere illecito e non, con la costituzione di una serie di imprese che avrebbero, ‘ndranghetisticamente, assunto posizioni di monopolio, costituite e continuamente finanziate col provento dei crimini organizzati ed eseguiti dall’associazione.

IL TENTATO OMICIDIO DI ANTONIO MANZI Altra contestazione mossa a Giuseppe Ferrante è di aver preso parte al tentato omicidio di Antonio Manzi alias “Tom Tom”. Il tutto in concorso con altri e in esecuzione di una complessiva strategia criminale stragista volta ad assicurare l’egemonia, in tutto il territorio di Rossano, della consorteria ‘ndranghetistica denominata "Acri–Morfò". Gli si contesta, inoltre, in concorso morale e materiale anche con altri rimasti ignoti, la detenzione illegale e il porto illegale in luogo pubblico di una pistola calibro 38 di sicura provenienza illecita e di un motociclo Honda 600. Con l’aggravante della connessione teleologica, del numero dei correi pari a più di cinque persone, dell’agevolazione della cosca di ‘ndrangheta denominata "Acri-Morfò".

LE ARMI Ferrante è inoltre accusato di avere, in concorso con altri, detenuto e portato illegalmente, in luogo pubblico, armi comuni da sparo (pistole e fucili) e armi da guerra (kalashnikov). Nello specifico: due fucili automatici tipo kalashnikov calibro 7.62 e un fucile da caccia calibro 12. Con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare la cosca di ‘ndrangheta denominata "Acri–Morfò" essendo l’arma messa a disposizione degli appartenenti alla consorteria al fine di commettere fatti di sangue o comunque azioni violente volte a consolidarne l’egemonia nella Sibaritide.

LA DROGA Tra le contestazioni mosse a Giuseppe Ferrante vi è anche quella di aver detenuto, ai fini di spaccio, complessivi 4,350 Kg di sostanza stupefacente del tipo Marijuana e complessivi 3,350 Kg di sostanza stupefacente del tipo hashish. 

IL PROCESSO E L’AFFIEVOLIMENTO DELLA MISURA In primo grado, Giuseppe Ferrante alias “Antonello il Siciliano” viene condannato a 20 anni di reclusione. In riforma di quella sentenza, lo scorso 7 ottobre 2016, la Corte d’Appello di Catanzaro ridetermina la pena in 5 anni e 4 mesi. L’avvocato Francesco Nicoletti, difensore di fiducia di Ferrante, avanza un’istanza alla Corte territoriale tesa ad ottenere la modifica della misura cautelare per il proprio assistito. Istanza accolta dai giudici che dispongono per Ferrante il regime degli arresti domiciliari senza il braccialetto elettronico. 

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