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Caso Marò, fissata una mobilitazione per il 26 marzo: “Difendiamo Max e Salvo”

“Il prossimo 30 marzo al Tribunale Arbitrale dell'Aia si aprirà il dibattito sulla richiesta di misure provvisorie per Salvatore Girone e Massimiliano Latorre: ultima speranza per permettere ai due militari di attendere in Italia la conclusione dell'iter dell'arbitrato internazionale che deciderà, non prima del 2018, a quale paese compete la giurisdizione sulla vicenda”. È quanto si legge in una nota di Nicola Marenzi e del gruppo “Coordinamento Marò liberi”. “In attesa di queste scadenze – rilevano - il silenzio sta diventando sempre più fitto: nessun commento sulla stampa, nessun comunicato da parte del Governo. Ma a questo silenzio, sempre più simile ad una congiura, non si sono arresi numerosi cittadini che, con costanza e determinazione, in questi anni si sono organizzati nella rete non solo per dimostrare solidarietà ai nostri due connazionali ma anche e soprattutto per lanciare campagne di informazione sulla vicenda e sulla sua strumentalizzazione da parte dell'India. Più di quattro anni di messaggi lanciati dalle pagine di Facebook e dagli hastag di Twitter che hanno accompagnato le tappe di queste incredibile storia in un continuo tentativo, da una parte, di sollecitare i politici ad una reazione e, dall'altra, di mantenere alta l'attenzione di tutti gli italiani su questa violazione di trattati internazionali e di diritti umani. Fra le tante iniziative – spiegano - pensate, proposte e gestite autonomamente dallo spontaneo coordinamento in chat di semplici cittadini è ora nata l'idea di uscire dalla rete e scendere nelle piazze con un ‘Flash Mob’ dedicato alla distribuzione di un volantino che ricordi agli italiani Salvatore e Massimiliano. Ecco allora l'appuntamento che sta correndo nella rete per sabato 26 marzo alle ore 10 nelle piazze delle nostre città: dove saremo e quanti saremo dipenderà solo dalla disponibilità di ciascun italiano a dedicare non solo un pensiero ma anche una azione per denunciare questa vergogna. I gruppi si stanno formando sulla pagina dell'evento (Nelle nostre Piazze per Max e Salvo) e sono aperti a tutti, singoli cittadini ed associazioni d'arma ma non a simboli o bandiere di partiti o movimenti politici perchè questa vicenda è già stata troppo strumentalizzata dai politici indiani ed italiani. Numerosi o pochi che saremo il 26 marzo non ha importanza: è solo una tappa – viene precisato - fra le molte fatte e che saranno promosse nel futuro. Così come non ha importanza la firma di questo comunicato: non abbiamo sigle o nomi ma siamo solo cittadini che non vogliono abbandonare ad un destino deciso da altri il destino di due nostri connazionali. Vi aspettiamo nelle piazze – è la conclusione - il 26 marzo e ci potete sempre trovare, per impegnarvi con noi, nella pagine Facebook dedicate ai nostri marò”.

I marò sono innocenti, a sparare furono i contractor

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sarebbero innocenti. Ad uccidere i pescatori indiani della Saint Antony, non sarebbero stati i fuciliari italiani imbarcati sul mercantile Enrica Lexie, bensì i contractor che si trovavano a bordo di una petroliera greca, l'Olympic Flair. A sostenerlo, un articolo pubblicato dal quotidiano Libero nel quale viene ripresa l'ipotesi formulata dal perito Luigi Di Stefano. Secondo il giornale diretto da Maurizio Belpietro, nonostante siano conoscenza dell'esatta dinamica dell'accaduto, le autorità indiane starebbero continuando a nascondere la verità.

 

 

Caso Marò, la lettura di Stefano Tronconi: “Dall’Italia solo stampelle all’India”

“La rinuncia da parte italiana a rivendicare in modo forte e coerente l'innocenza dei due fucilieri di marina non solo si ritorce regolarmente da oltre tre anni e mezzo contro ogni iniziativa italiana, come avvenuto da ultimo anche con la decisione sfavorevole del tribunale di Amburgo, ma consente all'India di vantare di fronte al mondo intero un inesistente 'credito morale' (e caricando sull'immagine italiana e dei Marò un equivalente 'debito morale') per la morte di due pescatori con cui i Marò però niente hanno a che fare”.  Stefano Tronconi, l’autore di una ricostruzione indipendente, ma che ha finito per incastrarsi e coordinarsi  rispetto a quelle effettuate da Toni Capuozzo e Luigi Di Stefano, offre una lettura forte, schietta, passionale della vicenda che ha investito Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due Marò accusati di essere i responsabili della morte di due pescatori indiani. La sua intenzione è quella di dimostrare, portando a conforto delle proprie tesi una serie di prove raccolte in seguito a rilievi ed analisi puntuali, l’innocenza dei due fucilieri. Ma non rinuncia a guardare oltre gli steccati prettamente tecnici, osservando contesti generali e azioni specifiche.  “L'internazionalizzazione del caso – spiega Tronconi - in assenza di una contestuale rivendicazione forte e coerente dell'innocenza dei Marò, è sempre stata una 'bufala' buona solo per qualche politico nostrano da strapazzo. Lo stesso vale, una volta persa l'occasione di avviarlo ad inizio vicenda, per l'arbitrato internazionale. Senza la rivendicazione forte e coerente dell'innocenza dei Marò purtroppo – è la mesta puntualizzazione - l'unica soluzione di questa farsa potrà infatti venire solo dalla 'clemenza' indiana nei tempi e nei modi che risulteranno più congeniali all'India”.  Questa interpretazione è dovuta alla circostanza per cui “ad Amburgo, l'India ha ovviamente presentato la ricostruzione e le 'prove' costruite a tavolino, già note ed ampiamente screditate, che conosciamo da anni. A questo punto neppure l'India se ne può certo inventare altre. Ma questo poco importa perché il tribunale arbitrale, maldestramente invocato ora dall'Italia, nessun titolo ha od avrà per entrare nel merito della vicenda dovendo per statuto limitarsi a trattare gli aspetti di competenza giurisdizionale. Se questo castello di carte continua a stare in piedi è per il semplice fatto che in Italia c'è chi continua ad offrire all'India ogni possibile stampella ed il ricorso all'arbitrato internazionale previsto dall'UNCLOS è stato solo l'ultima dell'infinita serie di queste stampelle. Un altro tipo di stampella è quella fornita a più riprese negli ultimi tre anni e mezzo dal giornalismo italiano”. Quindi, un esplicito riferimento al dibattito offerto al riguardo dalla politica italiana: “toccando nuovi minimi di decenza, nei giorni scorsi abbiamo sentito dalla voce dei nostri stessi politici che chi guida il nostro Paese è collocabile o tra i 'vermi' o tra le 'bestie'. Faccio solo presente che se tra i 'vermi' vi fosse qualcuno che, al di là dello strisciare davanti all'India, volesse riguadagnare un po' di dignità e tra le 'bestie' vi fosse qualcuno che, al di là del ringhiare vanamente all'India, volesse agire con un po' di razionalità, questa triste vicenda Marò offre ancora lo spazio per fare finalmente quello che nessuno ha fatto finora. E visto che nessuno pare averlo ancora capito, il come posso provare a spiegarglielo io. L'avvio dell'arbitrato internazionale (che i 'vermi' giustamente fanno notare essere stato richiesto a gran voce dalle 'bestie') ha reso oggi ancora un po' più difficile un'azione di forte e coerente rivendicazione dell'innocenza dei Marò. Ma quella – è la conclusione - è da sempre l'unica vera strada percorribile affinché anche Salvatore Girone, dopo quattro tragiche estati, non continui ancora a rimanere ostaggio solo dei tempi e delle convenienze politiche indiane”.

 

 

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Al via l'evento "#iostoconimarò - Arbitrato internazionale Rimpatrio Immediato"

"Dall’inizio di questa vicenda, il 12 febbraio 2012, un muro di silenzio - è il grido d'allarme lanciato pubblicamente tramite una nota diffusa dagli organizzatori dell'evento '#iostoconimarò - Arbitrato internazionale RIMPATRIO IMMEDIATO!!!', in relazione alla copertura mediatica del caso dei due fucilieri della Marina 'presi in ostaggio' dallo Stato indiano che li accusa di aver ucciso due pescatori al largo delle coste del Kerala - ha sempre coperto lo svolgersi degli eventi: scarni ed enigmatici i comunicati dei vari ministri, latitanti gli organi di stampa supini a riproporre solo le informazioni pervenute dalla stampa indiana, timidi o assolutamente inesistenti gli approfondimenti gestiti dalle emittenti televisive. A fronte di questo assurdo atteggiamento, singoli cittadini con storie e provenienze completamente diverse hanno cominciato ad utilizzare la rete come canale di raccolta informazioni e di sostegno a due militari italiani in missione che sempre più risultavano abbandonati da una politica inerme e incapace. E più la politica italiana dimostrava la sua incapacità a reagire alla tracotanza indiana, più cresceva, fra i cittadini, la volontà di dare concretezza alla loro indignazione e solidarietà nei confronti di Salvatore Girone, Massimiliano Latorre e delle loro famiglie. Non, come molti strumentalmente sostengono, per sfuggire alle responsabilità degli eventi, ma per garantire il rispetto dei diritti ai nostri connazionali e mettere a disposizione di tutti il massimo delle informazioni". Dalle singole azioni - fanno sapere i promotori - siamo passati, nel tempo, a forme organizzative sempre più complesse che hanno dato origine a vari gruppi di opinione ed azione su Facebook che raccolgono più di 62.000 adesioni. Le modalità di lavoro dei gruppi sono diverse ma complessivamente la  strategia di solidarietà con i due marò si articola nelle seguenti azioni: organizzazione di eventi virtuali sul web che attraverso Facebook e Twitter lanciano campagne di informazione in occasione delle scadenze del tormentato percorso personale, politico e giuridico della vicenda; organizzazione di invio in massa di email e tweet a rappresentanti politici nazionali ed europei per sollecitare l’intervento della politica; ricerca di informazioni dirette sulla vicenda attraverso i siti delle testate giornalistiche nazionali, indiane ed internazionali, traduzione dei testi e divulgazione delle informazioni; controinformazione sull’incidente avvenuto in India, mettendo a confronto la versione indiana con quella, in mancanza di qualsiasi posizione governativa in merito, elaborata da Luigi Di Stefano; organizzazione e divulgazione delle manifestazioni che, spontaneamente, sono promosse sul territorio nazionale e nelle città a sostegno dei marò; informazione sulle azioni di solidarietà avviate da Amministrazioni locali a sostegno della campagna di sensibilizzazione". "Anche se l’impegno di tanti cittadini ha, sia pur tardivamente, trovato una prima risposta nella decisione presa dal governo di percorrere la strada dell’Arbitrato Internazionale, non riteniamo certo soddisfacente - affermano senza indugio gli estensori della nota - come sostenuto dal ministro Gentiloni e da molti altri politici, la sentenza ottenuta dal Tribunale Internazionale del Mare il 24 agosto scorso. Non è, infatti, più accettabile che la libertà e il diritto di godere dei rapporti famigliari per Girone e Latorre sia ancora negato in una situazione giuridica anomala e assurda: non c’è imputazione, non c’è più, a seguito della sentenza del 24 agosto scorso, procedimento penale contro i due marò ma, comunque, loro continuano a pagare una pena senza fine certa. Ma quale diritto medioevale può permettere questo? E non è neppure questione di colpevolezza od innocenza, ma solo di diritto di certezza sui diritti fondamentali delle persone che, teoricamente, dovrebbero essere sanciti dagli organismi internazionali, a partire dall’ONU attraverso la Corte di Giustizia Europea fino ai nostri politici sempre più sordi alla tutela dei cittadini italiani. E proprio in nome di questi diritti da troppo tempo calpestati, chiediamo la massima adesione al nuovo evento '#iostoconimarò - Arbitrato internazionale RIMPATRIO IMMEDIATO!!!' per non fare cadere il silenzio sulla vicenda e chiedere il rimpatrio di Salvatore Girone per la mancanza di motivazioni giuridiche alla sua privazione di libertà". Non faremo di nuovo cadere il velo di silenzio, come auspicato da governo, ministri e politici nazionali, ma continueremo - annunciano i responsabili dell'inziativa - a raccogliere adesioni, fare informazione, sollecitare le istituzioni e, soprattutto fare sentire ogni giorno la nostra vicinanza a Salvatore a Massimiliano e alle loro famiglie".

 

Un impegno morale: riportare a casa i nostri Marò

La credibilità di un sistema passa necessariamente attraverso la sua capacità di regolare i rapporti sia all’interno del territorio nazionale sia con gli altri Stati. Si tratta di un concetto vecchio di secoli, la cui interpretazione traduce il funzionamento della vita collettiva. Garantire il principio di giustizia è un’esigenza imprescindibile: solo in tal modo l’anarchia lascia spazio all’ordine e i cittadini riescono a condurre una normale convivenza. Medesima rilevanza assume la gestione degli impegni, delle trattative, delle controversie con le altre nazioni. Una volta era la guerra a porre fine ai contrasti con effetti spesso devastanti per vinti e vincitori. L’epoca moderna ha poi tracciato l’arte della diplomazia affinchè le problematiche si risolvessero mediante la discussione e l’arrivo ad un punto di sintesi. Ai fini del risultato finale incidono ovviamente i rapporti di forza, il grado di rispetto e la considerazione della controparte, la determinazione e la capacità di trasmettere la propria scala di priorità. Questa premessa può essere utile a contribuire a comprendere la situazione in cui si trovano, ormai da tre anni e mezzo, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Accusati di aver ucciso due pescatori al largo delle coste del Kerala, i Marò sono intrappolati in un groviglio giuridico-burocratico da cui è difficile uscire, anche per l’approccio, apparentemente remissivo, dei Governi italiani che si sono susseguiti. Eppure esistono le indagini-studio condotte, in maniera indipendente ma coordinata, da Stefano Tronconi, Toni Capuozzo e Luigi Di Stefano che sembrano dimostrare la sostanziale estraneità dei Marò ai fatti contestati. Le ipotesi a corredo dello studio vanno nel senso della prevalenza degli interessi politici ed economici rispetto alla vertenza in sè: se così fosse, non si potrebbe non registrare un arretramento della civiltà stessa. Gli italiani non possono accettare che due loro connazionali siano lasciati in balia del destino, ma ogni uomo di questo pianeta non può consentire che la verità non venga alla luce, che la giustizia ceda il passo ad altri aspetti. Il Governo italiano deve assumere dunque un impegno morale: riconsegnare alle loro famiglie due uomini che - se fossero confermate le analisi di Tronconi, Capuozzo e Di Stefano – avrebbero subito un’assurda privazione di libertà. Va (andava) assicurato un processo fondato su un diritto che pone al centro l’individuo, non certo gli equilibri politici indiani o la conclusione di altri affari. E, in ogni caso, va recuperato il buon nome di una nazione che non può essere impotente rispetto all’esistenza di due suoi figli. E se ai Marò accadesse qualcosa, di chi sarebbe la responsabilità? Sicuramente di chi ha il compito di prendere le decisioni, ma un po’ anche di chi riesce a rimanere indifferente di fronte alla Spada di Damocle che pende sulla testa di due uomini che hanno avuto la sfortuna di essere coinvolti in una vicenda dai contorni non rassicuranti. 

 

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ESCLUSIVO / Stefano Tronconi: “Marò innocenti, l’Italia ha privilegiato i rapporti politici ed economici”

Il 15 febbraio 2012 è una data che non passa inosservata per chi, nel terzo millennio, ha ancora sete di verità e, nonostante a volte i fatti s’incarichino di dimostrare il contrario, crede che una giustizia debba esistere. Quel giorno la vita di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone cambia. Smettono di essere semplicemente due uomini che le loro famiglie attendono a casa e che svolgono la funzione di fucilieri in missione di protezione della petroliera Enrica Lexie in acque a rischio di pirateria e diventano, per il popolo italiano, due Marò al centro di una controversia infinita. Talmente lunga e strana da attirare l’attenzione di tutti i media e, soprattutto, da risvegliare sentimenti sopiti. Per capire cosa sia successo al largo della costa indiana abbiamo interpellato Stefano Tronconi che, attraverso l’individuazione e l’analisi dei dettagli, è giunto a conclusioni diverse da quelle che vengono esposte nei dibattiti pubblici. 

 

D.: Quello dei Marò è senza dubbio un caso dalla rilevanza internazionale. Eppure, secondo lo studio che lei ha svolto insieme a Toni Capuozzo e Luigi Di Stefano, la realtà è diversa rispetto alla versione ‘ufficiale’. Quali sono gli elementi chiave che hanno portato alla vostra ricostruzione dei fatti?

R.: Difficile dire a tre anni e mezzo dallo svolgimento dei fatti se esista ancora una versione 'ufficiale'.  I governi italiani che si sono succeduti in questo periodo hanno ormai detto e fatto tutto ed il contrario di tutto.  Sulla base di ricerche approfondite ed analisi che pubblico da oltre due anni sulla mia pagina facebook esclusivamente dedicata alla vicenda Marò, mi sento di sostenere con convinzione che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre nulla hanno a che vedere con la morte dei pescatori indiani in quanto l'Enrica Lexie e la barca su cui sono morti i pescatori non si sono mai incrociate. I pescatori indiani sono morti in un altro incidente verificatosi in orario e luogo diverso da quello denunciato dalla Lexie, verosimilmente quello che ha coinvolto la nave greca Olympic Flair circa 5 ore più tardi. A supporto di questa tesi esistono vari elementi che, insieme a Toni Capuozzo e Luigi Di Stefano con cui ho lavorato in modo indipendente ma coordinato, siamo riusciti a collegare in modo organico. La svolta c'è stata quando siamo riusciti a trovare la prova chiave in base alla quale l'intera ricostruzione fatta dalla Guardia Costiera indiana e dalla polizia del Kerala non corrispondeva allo svolgimento degli avvenimenti ed era solo funzionale a fare dei marò degli utili capri espiatori per un delitto che loro non avevano mai commesso. Gli altri principali elementi che, insieme alle prove delle manipolazioni compiute da Guardia Costiera indiana e polizia del Kerala, ci hanno permesso di ricostruire l'accaduto sono state la prima intervista ad una televisione rilasciata dal proprietario del peschereccio indiano, gli esiti del primo esame post-mortem sul corpo dei pescatori uccisi e l'analisi balistica dei colpi sparati contro il peschereccio St. Antony. Ovviamente le indagini indiane manipolate hanno poi cercato di 'aggiustare' tutte questi elementi da noi rinvenuti che scagionano i marò, ma al tempo di internet tali manipolazioni non sono riuscite a porre rimedio alle verità uscite nelle prime ore di quel 15 febbraio 2012. Le ragioni che hanno spinto Guardia Costiera indiana e polizia del Kerala a compiere le suddette manipolazioni sono tutte politiche e vanno ricercate nella necessità del partito al governo in quello Stato indiano di vincere le elezioni supplettive tenute nel Marzo 2012.  

 

D.: Perché, secondo lei, sono prevalsi determinati elementi piuttosto che altri?

R.: Quanto avvenuto è stato possibile solo perché l'Italia ha fin da subito mostrato debolezza facendo capire all'India che la priorità italiana non era tanto la salvaguardia dei due fucilieri, quanto piuttosto che, qualsiasi cosa fosse avvenuta, non vi fossero ripercussioni politiche ed economiche nei rapporti tra Italia ed India.  Questa arrendevolezza italiana è stata interpretata dai politici indiani che avevano interesse a sfruttare la vicenda Marò per ragioni di politica interna come 'carta bianca' a compiere tutte le nefandezze che hanno portato ad attribuire ai due Marò un crimine da loro mai commesso.

 

D.: La politica italiana, durante l’intero arco temporale, non sembra aver usato la determinazione necessaria in questa vicenda. Che idea si è fatto?

R.: La politica italiana ha dimostrato un'assoluta inadeguatezza a capire ed a confrontarsi con un Paese grande e complesso come l'India.  Non è mai stata in grado di presentare a livello internazionale una posizione chiara su cui poter chiedere l'appoggio di Paesi alleati. Vi è stata una continua oscillazione tra disinteresse e reazioni emotive che ha fatto sì che fosse sempre l'India a poter condurre il 'gioco' nei tempi e nei modi funzionali alla sua politica interna.  In poche parole, la politica italiana è stata un vero 'disastro'.  

 

D.: Le interpretazioni sulle decisioni del Tribunale di Amburgo non sono univoche. Cosa ci dobbiamo aspettare?

R.: L'arbitrato serve soprattutto per continuare a tenere l'attenzione di tutti rivolta alle questioni di giurisdizione ed evitare che ci si concentri su come sono andate davvero le cose.  Serve tanto ai politici italiani che a quelli indiani per evitare che vengano allo scoperto tutti gli errori e le nefandezze compiute. Il Tribunale di Amburgo ha semplicemente confermato lo status quo, ovvero lo stallo che finora già veniva continuamente prolungato dalla Corte Suprema indiana.  E' stata una decisione utile sopratutto al governo indiano che in questo momento non vuole e non può spendere capitale politico per trovare una soluzione alla vicenda.  Personalmente sono convinto che questo arbitrato non arriverà mai a conclusione perché comunque non è nell'interesse dell'India arrivare ad un processo sui fatti che ne distruggerebbe la credibilità internazionale di Stato di diritto.  Al momento per lei più opportuno, l'India proporrà una via d'uscita all'Italia. 

 

D.: Quale significato va attribuito, nel 2015, al termine patriottismo? 

R.: Non mi sembra opportuno collegare il termine patriottismo a questa vicenda.  Questa è prima di tutto una vicenda di giustizia. Una giustizia che da tre anni e mezzo viene negata a due uomini innocenti quali sono Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.

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I marò e l'ennesima figuraccia dell'Italia

 Il governo italiano ha collezionato l’ennesima figura barbina a proposito dei marò, questa volta presso un Tribunale del mare che si trova ad Amburgo, e che dev’essere presieduto da Ponzio Pilato, giudice a latere il principe Amleto, che del resto abita da quelle parti; e se ne lava le mani. Sarei curioso di sapere chi era l’avvocato italiano, se era competente in diritto internazionale o solo un amico di qualcuno con stipendio. Figuraccia, ripeto. Ma ora statemi a sentire: questa faccenda puzza fin dall’inizio, e continua a puzzare. Ricapitoliamo: due fucilieri di Marina si trovano sopra una nave commerciale, in funzione di difesa della medesima contro eventuali “pirati”; si avvicina una barca, e i due sparano, uccidendo due persone; la nave, invece di prendere il largo, entra micia micia in un porto indiano come fosse Taranto o Spezia, e i due marò vengono arrestati; da quel 2012, succede di tutto, tranne un processo. E ristatemi a sentire. Quando io sono stato messo di guardia, ben sessanta volte contate, se io avessi, nelle debite forme, sparato a un essere vivente – gatto o colonnello che fosse – il risultato sarebbe stato una bella licenza premio di gg 7 + viaggio, avendo compiuto un banale dovere secondo un ordine che perveniva dalle seguenti persone:

-          presidente della Repubblica;

-          ministro della Difesa;

-          capo di Stato Maggiore;

-          comandante VII Regione militare;

-          colonnello comandante del Reggimento;

-          capitano della Batteria;

-          sottotenente comandante del picchetto montante;

-          sergente del picchetto medesimo.

 Ero dunque coperto, copertissimo da ordini permanenti. Ora domandiamoci se i due marò avevano la stessa copertura da:

-          presidente della Repubblica;

-          ministro della Difesa;

-          capo di Stato Maggiore;

-          eventuale comandante dell’Oceano Indiano;

-          ufficiali responsabili.

 Se, infatti, io fossi l’avvocato difensore dei due, nel processo che mai si terrà, come primissima attività chiederei a quali ordini obbedissero i due militari; e se a comandare su di loro erano le autorità militari italiane o il capitano civile della nave commerciale. E se i due spararono di loro iniziativa o qualcuno gliel’ordinò. E già, perché la nave in porto ce la condusse il capitano civile, e non sappiamo se si consultò con le autorità militari o fece il comodo suo. Da chi dipendevano, i due? Insomma, memore dei miei turni di guardia e dell’ordine di sparare con sette giorni di licenza premio, ma solo se obbedivo a precise ed esplicite regole, io di leva, mi chiedo come mai invece due militari professionisti si siano cacciati in un simile guaio, e deduco che ordini chiari non ne avevano, e stavano su quella nave in posizione boh, ambigua.  Se è vero, vuoi vedere che alla fine il processo più tardi si fa e meglio è per più d’uno? Anche per l’India, che non si degnò manco di avvertire i suoi cittadini che sulle navi europee c’era gente armata, ed era meglio farsi riconoscere. Esattamente come doveva fare chi si avvicinasse alla mia garitta, e se no io gli dovevo (non “potevo”, “dovevo”) sparare a bersaglio, prendermi i sette giorni di premio e dormirci tranquillo sopra per aver compiuto uno spiacevole ma patriottico dovere. Secondo voi, in India successe qualcosa del genere?

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