Droga dalla Calabria alla Sicilia, 18 misure cautelari

Nel corso della notte, i carabinieri del Comando provinciale di Messina hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa - su richiesta della Procura Distrettuale della Repubblica di Messina - dal gip presso il locale Tribunale nei confronti di 18 persone (di cui 13 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e 2 all’obbligo di presentazione alla pg), sul cui conto pesano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati – a vario titolo – di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

L’indagine scaturisce dagli esiti di complesse e articolate indagini sviluppate dal Nucleo investigativo del Comando provinciale di Messina dal febbraio 2021, a seguito delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, che ha parlato del coinvolgimento di uno dei principali odierni indagati quale promotore di una strutturata associazione finalizzata al traffico dello stupefacente operante principalmente nella zona sud della città di Messina. Nel dettaglio, dall’inchiesta è emersa l’esistenza di un gruppo criminale che aveva, di fatto, pressoché quasi interamente monopolizzato l’approvvigionamento, nella città di Messina, della cocaina, che poi veniva spacciato al dettaglio nella stesso capoluogo di provincia, ma anche nel comune di Tortorici, dove è stata accertata l’esistenza di un’autonoma piazza di spaccio gestita da alcuni degli indagati originari della cittadina nebroidea. La pericolosità del sodalizio criminale investigato e la sua elevata caratura criminale è stata dimostrata dalla circostanza che lo stesso si approvvigionava dello stupefacente - da immettere sulla piazza messinese - da un esponente di spicco della famiglia Nirta, ai vertici della ‘ndrangheta calabrese. Nello specifico uno degli arrestati è figlio di Giuseppe Nirta, 82 anni, detenuto all’ergastolo per le vicende inerenti la faida di San Luca, nonché fratello di Sebastiano e Francesco di 51 e 48 anni, entrambi detenuti all’ergastolo per il loro coinvolgimento nella strage di Duisburg, avvenuta in Germania il 15 agosto 2007 in cui vennero uccisi sei persone di origine calabrese, alcune delle quali ritenute esponenti della cosca rivale Pelle – Vottari.
Il fornitore, a sua volta si avvaleva di un’articolata rete di corrieri, tutti residenti nella provincia di Vibo Valentia alcuni dei quali incensurati, che si occupavano della consegna dello stupefacente “a domicilio” fino alla città di Messina.

Particolarmente ingegnose erano le modalità di trasporto dello stupefacente dalla Calabria a Messina in quanto, per sfuggire a eventuali controlli, in particolare ai frequenti controlli presso l’area “imbarcaderi” dei traghetti in arrivo a Messina, gli indagati utilizzavano autovetture modificate in alcune parti della carrozzeria, per ricavarne appositi nascondigli (doppi fondi) dove occultare la doga. Inoltre, a dimostrazione dell’efficienza della compagine criminale investigata, è stato documentato come il fornitore calabrese avesse collaborato alla realizzazione del programma criminoso fornendo all’associazione messinese telefoni riservati alle comunicazioni dedicate all’attività illecita. Nel corso delle indagini sono state documentate varie forniture di sostanze stupefacente dalla Calabria alla Sicilia, con il rinvenimento e sequestro – in una circostanza quale riscontro dell’inchiesta – di tre chilogrammi di cocaina, accertando come l’illecita attività di traffico di stupefacenti fosse florida e in grado di assicurare il continuo afflusso di sostanza sul mercato cittadino.
Oltre alla città di Messina, i vertici dell’associazione erano in grado di rifornire di stupefacente anche alcuni soggetti che operavano nella cittadina di Tortorici, con i quali avevano creato un canale privilegiato di fornitura. In particolare, proprio a Tortorici ai carabinieri era ben noto l’attivismo di alcuni pregiudicati del posto, anche per aver ricevuto numerose segnalazioni dalla cittadinanza di Tortorici . In particolare 4 giovani avevano costituito un ben organizzato commercio di stupefacenti, tanto da effettuare quasi settimanalmente richieste di approvvigionamento a Messina. I militari dell’Arma, nell’attesa di intervenire, hanno inteso rafforzare il quadro indiziario nei confronti degli indagati ed in particolare nei confronti di una coppia di fratelli di Tortorici, capaci di stabili interlocuzioni con l’organizzazione di Messina.

Per gli investigatori, l’indagine conferma i consolidati legami tra la criminalità messinese e quella calabrese nel sempre florido mercato degli stupefacenti, che esponenti della ‘ndrangheta sono in grado di far giungere sull’Isola attraverso lo stretto di Messina.

L’operazione ha impegnato oltre 120 militari del Comando provinciale di Messina, impiegati anche nelle provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia.

La 'ndrangheta riforniva di droga le piazze di spaccio di Messina, 19 arresti

Nel corso della notte, i Carabinieri del Comando provinciale di Messina hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip presso il Tribunale di Messina, su richiesta della locale Procura distrettuale, nei confronti di 19 persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei delitti di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi e reati contro il patrimonio.

L’indagine, denominata “Scipione”, è stata avviata dal Nucleo investigativo del Comando provinciale di Messina, in seguito ad un attentato a colpi di fucile perpetrato da ignoti il 27 settembre 2016 nei confronti di tre pregiudicati seduti al tavolino di un caffè, a Messina.

Gli investigatori hanno quindi fatto luce su un'associazione per delinquere dedita ad un florido traffico di sostanze stupefacenti.

Per gli investigatori, il sodalizio si sarebbe rifornito di droga da elementi riconducibili alla cosca di ‘ndrangheta “Morabito-Bruzzaniti-Palamara” di Africo Nuovo (Rc), che assicuravano la consegna a domicilio, su base settimanale, di carichi di cocaina e marijuana che venivano poi destinati alle principali piazze di spaccio della città di Messina.

I destinatari del provvedimento cautelare sono: Angelo Albarino, Giovanni Albarino, Stellario Brigandì, Fortunato Calabrò, Santo Chiara, Rinaldo Chierici, Roberto Cipriano, Giuseppe Coco, Alessandro Duca, Costantino Favasuli, Salvatore Favasuli, Adriano Fileti, Stefano Marchese, Gianpaolo Milazzo, Giovanni Morabito, Francesco Spadaro, Maria Visalli, Marcello Viscuso. Domiciliari, invece per Orazio Famulari.

Ruba attrezzi da lavoro da un cantiere, denunciato

Un messinese di 40 anni è stato denunciato in stato di libertà, con l'accusa di aver rubato attrezzi ed abbigliamento tecnico da lavoro all’interno di un’area di cantiere allestita nel sottopassaggio ferroviario di Villa San Giovanni.

Allontanatosi a bordo di un traghetto diretto a Messina, l'uomo è stato individuato dagli agenti della polizia ferroviaria di Villa San Giovanni, grazie alle immagini riprese dal sistema di videosorveglianza.

Dopo aver bloccato il quarantenne, gli uomini della Polfer hanno allertato i colleghi della questura di Messina, i quali, nel corso di una perquisizione a casa dell’uomo, hanno trovato lo zaino utilizzato per nascondere la refurtiva che, in parte, è stata recuperata.

  • Published in Cronaca

Droga e armi,12 misure cautelari tra Messina, Reggio Calabria e Vibo Valentia

Dodici persone sono state raggiunte da un’ordinanza di misura cautelare che ha disposto il carcere per otto di loro, gli arresti domiciliari per altri due, mentre un minorenne è finito in un istituto penale minorile ed un altro in una struttura comunitaria.

I provvedimenti sono stati assunti nell'ambito dell’operazione “Scala Reale” condotta dai carabinieri di Messina.

Oltre alla città siciliana, le attività investigative hanno interessato Reggio Calabria e Vibo Valentia.

Le accuse contestate, a vario titolo, dalla Dda sono: associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti anche a minori e detenzione illegale di armi da fuoco.

Le misure sono state emesse dal gip del Tribunale di Messina e da quello del Tribunale per i Minorenni, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia peloritana e della Procura della Repubblica per i Minorenni.

 

 

  • Published in Cronaca

Operazione "Adorno 2017", i militari dell'Arma in azione contro il bracconaggio (VIDEO)

Il fenomeno del bracconaggio sullo Stretto di Messina è legato principalmente al flusso migratorio che ogni anno interessa questi territori. Lo Stretto rappresenta una delle tre direttrici principali, unitamente a Gibilterra ed al Bosforo, su cui si muovono i grandi flussi degli uccelli migratori sull’asse Europa/Africa. Tali massicci spostamenti avvengono nel periodo primaverile, a ridosso della stagione riproduttiva, con direzione sud-nord verso i distretti nidificazione del centro e nord Europa, e nel periodo autunnale, dove i migratori ritornano nei siti di svernamento in Africa, posti anche in aree sub sahariane.

Questa ricostruzione dei percorsi compiuti dai migratori transahariani serve a comprendere il motivo per cui spesso molti individui transitino bassi a dispetto di ottimali condizioni meteo (ma stremati dal lungo volo) e come mai a volte affrontino l’attraversamento dello Stretto di Messina anche con condizioni meteo avverse.

Si presume che per molti di loro questo ultimo braccio di mare sia un ostacolo relativamente breve rispetto a quanto affrontato fino a quel momento, e che per loro sia preferibile superarlo anche in condizioni avverse, anziché rimanere “al di qua”di esso.

A tale ipotesi si associa anche la fretta che caratterizza la migrazione primaverile ed eventuali frequenti perturbazioni,soprattutto se africane (venti di scirocco),ritardano il viaggio (vento in genere troppo forte per consentire l’attraversamento del Canale di Sicilia), ponendoli inevitabilmente- pur di arrivare presto- ad affrontare il maltempo,per molti di loro,purtroppo fatale.

Questo fenomeno che investe le città di Reggio Calabria e Messina, coinvolge centinaia di migliaia di esemplari di vari rapaci di varie taglie e di varie specie di grandissimo interesse naturalistico oltre che fauna protetta particolarmente protetta dalla normativa nazionale e comunitaria ha sedimentato nei secoli l’interesse del mondo venatorio su tali “prede” facendo diventare tale attività cinegetica una vera e propria “tradizione” molto radicata nei costumi locali. Attività perfettamente legale sino alla fine degli anni ‘ 70 del trascorso secolo e che è diventata illegale con una crescente gradiente di punibilità, per quanto previsto dalla L.152/92 e conseguenti leggi regionali.

Durante tale pratica venatoria che, come visto, sul finire degli anni ’70 è diventata illegale, ogni anno venivano abbattuti migliaia di esemplari appartenenti a specie di enorme interesse naturalistico con un massiccio ed incontrollato impiego di armi da caccia non solo dalle postazioni “tipiche” in calcestruzzo di cui erano, ed in parte sono, costellate le coste calabrese e siciliana che si affacciano sullo Stretto, ma anche dai balconi e terrazze di edifici posti in pieno centro cittadino, creando, tra l’altro, non pochi problemi di sicurezza pubblica. Per contrastare tutto ciò, il Corpo Forestale dello Stato dagli inizi degli anni ’80 ha pianificato ed organizzato servizi specifici di prevenzione e repressione al fenomeno del bracconaggio nel periodo primaverile, prima, e successivamente anche per il periodo autunnale. Tale attività ha previsto l’impiego di un contingente specifico, denominato “Reparto Adorno”, in riferimento al nome con cui localmente viene definito il Falco Pecchiaiolo, costituito da unità proveniente da tutto il territorio nazionale, che ha portato, nel tempo, ad una sostanziale eradicazione sul versante siciliano ed una drastica riduzione sul versante calabrese di tale fenomeno che, ad oggi, nell’agro reggino può essere considerato confinato a specifici ambiti territoriali ed a specifiche pratiche che vedono l’uso anche di armi da sparo contraffatte con matricola punzonata, provenienti per lo più da furti perpetrati ai danni dei cacciatori o frutto di furti in appartamento.

A conferma di ciò, si evidenzia come l’area dello Stretto di Messina sia stata inserita tra i sette black-spot, ovvero aree in cui il fenomeno del bracconaggio è particolarmente intenso, indicati del “Piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici”, redatto dall’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale del Ministero dell’Ambiente e proposto da quest’ultimo, in attuazione alla “Strategia nazionale sulla Biodiversità”, ed oggetto di apposito accordo tra le Parti raggiunto nella seduta della Conferenza Stato – Regioni del 30 marzo 2017, e quindi meritevole di particolare attenzione dal punto di vista del contrasto al fenomeno di cui trattasi.

Per l’anno in corso, il Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare (CUTFAA) dell’Arma dei Carabinieri, nel quale all’inizio dell’anno è confluito il Corpo forestale dello Stato, ha voluto dare nuovo impulso a tale importantissimo servizio di tutela della fauna selvatica, mettendo in atto un dispositivo di prevenzione e repressione tanto sul versante calabrese che, e questo accade per la prima volta, sul versante siciliano.

In sinergia con il personale Reparti specializzati dei Carabinieri Forestali già presenti sul territorio interessato alla migrazione, infatti, stanno operando ulteriori 30 militari afferenti al NOA (Nucleo Operativo Antibracconaggio) del CUTFAA, coadiuvati, ove necessario, da personale dell’Arma territoriale.

Le funzioni di coordinamento e comando sono affidate alla Centrale Operativa Regionale, al quale afferisce anche il numero 1515 di emergenza ambientale, al quale segnalare qualsiasi atto illegale in danno della fauna migratoria ed all’ambiente.

Per tutto il periodo della migrazione, stanno operando su entrambi i versanti dello Stretto numerose Associazioni ambientaliste, anche straniere, – Legambiente, LIPU, WWF Italia, CABS (Committee Against Bird Slaughter), MAN (Associazione Mediterranea per la Natura) in collaborazione con la NABU tedesca, Progetto Natura di Milano. I volontari svolgono attività sia scientifica di avvistamento e censimento degli animali in transito, che di monitoraggio e segnalazione ai Reparti operanti degli eventuali episodi di bracconaggio. Con tre di esse – Legambiente, LIPU e WWF Italia – il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, nelle settimane scorse, ha già sottoscritto specifici protocolli d’intesa finalizzati alla cultura della legalità ed alla tutela dell’ambiente da realizzare su tutto il territorio nazionale.

  • Published in Cronaca

Armi interrate in un ovile, 21enne finisce in manette

I carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, dello Squadrone eliportato Cacciatori “Calabria” e del Nucleo cinofili di Vibo Valentia, hanno tratto in arresto, in flagranza di reato, T.R., bracciante agricolo di 21 anni.

Il giovane è accusato di detenzione illegale di armi da guerra e comuni da sparo clandestine, nonché di ricettazione.

L’arresto è stato eseguito nell’ambito di un’operazione nel corso della quale sono state eseguite diverse perquisizioni.

In particolare, durante un controllo effettuato in una proprietà del 21enne, i militari hanno rinvenuto all’interno di un ovile, un secchio in plastica interrato e termo-sigillato, contenente un due pistole ed una mitragliatrice in perfetto stato di conservazione, completamente lubrificate e pronte all’ uso.

All’interno del fusto, gli uomini dell’Arma hanno rinvenuto, avvolte in una pellicola in plastica:

  • una  mitragliatrice, simile a quelle in dotazione alle forze di polizia, marca Beretta modello M/12-s calibro 9 parabellum, con matricola punzonata e relativo caricatore;
  • una pistola marca CZ 75 calibro 9 luger con relativo caricatore;
  • un pistola marca Taurus, modello 24/7 calibro 9 x 21 con relativo caricatore.

In virtù di quanto rinvenuto, quindi, sono scattate le manette per il giovane rosarnese, il quale, colto nella flagranza della detenzione, non ha opposto alcuna forma di resistenza.

Il materiale rinvenuto è stato sottoposto a sequestro e sarà inviato al Ris di Messina per le analisi balistiche del caso.

L’arrestato, ultimate le formalità di rito, è stato associato presso la casa circondariale di Palmi (RC) su disposizione del pm di turno presso la locale Procura della Repubblica in attesa del giudizio di convalida.

 

I carabinieri ritrovano opere d'arte trafugate

Sono numerose le opere d'arte rinvenute, nel corso di una perquisizione, dai carabinieri della Stazione Reggio Calabria - Rione Modena unitamente ai colleghi del Nucleo carabinieri tutela patrimonio culturale di Cosenza, dello Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria e della Compagnia carabinieri di Messina Sud.

Le opere sono state rinvenute nella disponibilità di un reggino, D.G. di 64anni. L'uomo è stato deferito in stato di libertà, all’Autorità Giudiziaria di Reggio Calabria.

Nel corso di un primo controllo effettuato presso l'abitazione dell'uomo, i militari hanno trovato una tela raffigurante il "Miracolo di Gesù".

L'accertamento, eseguito grazie alla Banca dati opere d’arte rubate del Comando del tutela patrimonio culturale di Roma, ha permesso di scoprire che il dipinto era stato rubato nel 2001 a Randazzo, in provincia di Catania. 

Appurato che il 53enne aveva nella sua disponibilità un appartamento ubicato a Messina, i carabinieri hanno deciso di procedere con un'ulteriore perquisizione.

Nel corso della verifica gli uomini della Benemerita hanno rinvenuto:

  •  dipinto su tela raffigurante “nudo di donna”, a firma di Giuliana Cappello;
  • grafica raffigurante “figure su sfondo rosso”, a firma Guttuso esemplare “p.d.a”;
  • dipinto raffigurante “veduta urbana con persone”, a firma Mario Pinizzotto;
  • grafica raffigurante “albero/testa” a firma Salvator Dalì;
  • dipinto su tela raffigurante “folla con sfondo sole rosso e volto barbuto” a firma Mario Pinizzotto;
  • dipinto su tela raffigurante “pescatore” a firma Mario Pinizzotto;
  • dipinto su tela raffigurante “combattimento tra due galli” a firma Mario Pinizzotto;
  • dipinto su tela raffigurante “pescivendolo” a firma Mario Pinizzotto;
  • dipinto su tela raffigurante “ponte vecchio”;
  • mezzobusto in gesso policromo raffigurante “volto di gesù”;
  • dipinto su tela raffigurante “uomo con cappello” recante la sigla “bv”;
  • dipinto su tela raffigurante “paesaggio” recante la sigla “a.s.”;
  • dipinto su tela raffigurante “natura morta” a firma di Giuliana Cappello.

 Le prime tre opere  erano state sottratte all’esecuzione di un provvedimento giudiziario, emesso dal Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nel gennaio 2014, nei confronti di C. G. un imprenditore del posto.

 Tutte le opere d’arte ritrovate, il cui valore è in corso di quantificazione, sono state sequestrate in attesa di ulteriori accertamenti finalizzati a verificarne la provenienza ed attestarne il valore. 

 

Incidente nel porto di Messina, morti 4 operai

Quattro operai intenti ad eseguire lavori in una cisterna della nave ex Siremar "Sansovino", della Caronte & Tourist sono morti nel porto di Messina. Le vittime stavano lavorando, a bordo dell'imbarcazione ormeggiata nel molo San Raineri della città dello Stretto quando, insieme ad altri colleghi, si sono improvvisamante sentiti male. Uno dei marittimi è morto sulla banchina, mentre gli altri tre sono deceduti in ospedale.

Secondo una prima ricostruzione, gli operai stavano effettuando la pulizia all'interno di una cisterna della nave, nella quale si sono sprigionate esalazioni tossiche. I marinai sono stati soccorsi dal 118, che ha prestato le prime cure anche ad altri due marittimi intossicati in modo più lieve e ora ricoverati in osservazione

Per recuperarte i corpi si è reso necessario l'intervento di diverse squadre dei vigili del fuoco. Le cinque vittime sono state trasportate al Policlinico di Messina dove tre di loro sono spirati.

Le indagini sull'incidente sono affidate alla Capitaneria di Porto di Messina mentre la Procura ha aperto un'inchiesta.

 

 

Subscribe to this RSS feed