La Calabria trema. Il terremoto del 1638

Quando si parla di terremoti in Calabria, il pensiero corre quasi esclusivamente al sisma del 1783.  Qualche volta si pensa a quelli del 1905 e del 1908, quasi mai allo sciame che scosse la regione nel 1638. Ancor meno noti, il terremoto del 1184 che devastò la Valle del Crati e quello del 1626 che distrusse Girifalco. Tuttavia, nella storia dei terremoti calabresi, il vero spartiacque è segnato proprio dal 1638 quando, tra marzo e giugno, si sussegue una serie di scosse la cui potenza distruttiva è, per certi versi, maggiore di quelle del 1783. In particolare, per quanto riguarda la parte centro meridionale della regione, gli eventi tellurici del 1638 sono considerati dai sismologi come i più distruttivi tra quelli verificatisi nell’ultimo millennio. Le prime avvisaglie vengono avvertite il 18 gennaio. Si tratta di poca roba, niente di preoccupante, almeno fino al pomeriggio di sabato 27 marzo quando, una scossa dell’undicesimo grado della scala Mercalli, scuote la Valle del Crati e quella del Savuto. I paesi di Carpanzano, Conflenti, Diano, Grimaldi, Mangone, Martirano, Motta Santa Lucia, Rogliano, Savuto e Scigliano vengono letteralmente rasi al suolo. Ma non c’è solo il terremoto. La scossa, infatti, innesca uno Tsunami che si abbatte sul litorale di Pizzo. Secondo la testimonianza del gesuita Giulio Cesare Recupito, il mare si sarebbe ritirato di 2 mila piedi (quasi 4 chilometri) prima d’abbattersi con tutta la sua forza sulla spiaggia. I bilancio del 27 marzo è drammatico, come se non bastasse, il giorno successivo, domenica delle Palme, il terremoto colpisce nuovamente. Questa volta, ad essere devastati sono il lametino ed il versante occidentale delle Serre dove vengono colpiti Soriano e Monterosso; di Castelmonardo, l’attuale Filadelfia, rimangono solo rovine. Complessivamente, però, l’area interessata dal sisma è molto più estesa, coinvolge 107 centri, 17 dei quali vengono letteralmente rasi al suolo. Non hanno scampo neppure le città. A Cosenza, vengono seriamente danneggiati il Duomo ed il Castello, a Catanzaro 300 edifici devono essere abbandonati. In alcuni casi i danni sono così estesi che i sopravvissuti preferiscono lasciare i vecchi paesi per trasferirsi altrove, come nel caso di Feroleto, dove una parte degli abitanti si trasferisce a valle e fonda Feroleto Piano, l’attuale Pianopoli. Lo sciame sismico, seppur con intensità più lieve, va avanti per tutto il mese d’aprile e provoca più paura che danni. Gli effetti delle scosse principali producono conseguenze durature anche nel paesaggio e sull’ambiente naturale. Un esempio fra tutti, l’impaludamento dell’area compresa tra i fiumi Amato ed Angitola per la cui bonifica bisognerà aspettare il 1928. Per quanto riguarda, invece, le conseguenze generali, un quadro attendibile è tracciato da Ettore Capecelatro, il consigliere del viceré di Napoli, Ramiro Felipe Nuñez de Guzmàn, il quale viene nominato plenipotenziario per le province calabresi. Una sorta di commissario incaricato di gestire l’emergenza. Secondo la relazione redatta da Capecelatro, il terremoto ha causato la distruzione totale o parziale di 13 mila case e la morte di 9.571 persone. Una stima, probabilmente, errata per difetto, tanto che nella relazione inviata alla corte di Madrid, dalla quale dipende il vicereame di Napoli, il numero delle vittime sfiora le 30 mila unità. Si sta completando la stima dei danni quando, l’8 giugno, un nuovo terremoto colpisce il versante orientale della Sila. Secondo la relazione di Capecelatro, il nuovo evento sismico distrugge 6 paesi e ne danneggia altri 15. Oltre ai danni ai centri abitati, il terremoto modifica la geografia di una vasta area. Come riporta Agazio Di Somma nel suo “Historico racconto de i terremoti della Calabria dall’anno 1638, fin’anno 1641”: “ Dal confine di Policastro fin'all'estrema parte della montagna, che chiaman Sila, alla volta di Tramontana, si abbassò per trè palmi dall'un lato il terreno, per lo spazio di sessanta miglia, con diritto solco stendendosi, e quel, che riesce di maggior maraviglia, si diffuse con ugual tenore, non meno nelle più basse valli, che nelle più alte montagne; Fu qui similmente osservato, che da quelle voragini esalava fuora fetor di solfo, e che per alcune sere, che precessero al terremoto”.

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