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Murat, il re di Napoli ucciso a Pizzo 200 anni fa

Premesso che commemorare significa solo commemorare e non lodare o approvare o il contrario, sarebbe il caso di commemorare Murat nel duecentesimo della sua avventura di Tolentino, e, il prossimo 13 ottobre, della fucilazione a Pizzo. Promosso re di Napoli dal cognato Napoleone per trasferimento di Giuseppe Bonaparte in Spagna, Gioacchino Murat ereditò una situazione difficile: la Calabria era in fiera rivolta; gli Inglesi occupavano Capri; essi e re Ferdinando minacciavano dalla Sicilia. Conquistò Capri e intensificò la lotta contro i borboniani calabresi, inviando il generale Manhès con amplissimi poteri: quelli da cui verrà copiata dal Regno d’Italia la famigerata legge Pica! Tentò una spedizione contro la Sicilia, senza risultati. Più importanti i suoi effetti sul piano interno. Secondo l’ingombrante affine di Parigi, doveva comportarsi da re vassallo; suo intento era invece di guadagnarsi sempre più vasti spazi di autonomia, e a tal fine si studiò di costituire una classe burocratica e un esercito “nazionali”, al punto da imporre ai generali francesi di naturalizzarsi napoletani, con ira di Napoleone. Già al tempo della spedizione in Russia, buona parte dei generali e colonnelli erano meridionali, e non damerini da parata, ma veri uomini di guerra. Fu la Guardia reale napoletana a salvare Napoleone durante la disastrosa ritirata, respingendo i cosacchi; fu Florestano Pepe a tenere Danzica contro i Prussiani… Le riforme interne furono secondo il modello napoleonico: centralismo burocratico, controllo delle province in mano ai prefetti, diffusione della proprietà privata della terra sottratta alla Chiesa, Codice civile “Napoléon” con “l’uguaglianza di fronte alla legge” (calma, significa solo tutti soggetti, legge territoriale!)… Per venire incontro alla vanagloria meridionale, distribuì a piene mani titoli ormai puramente nominali di baroni, consentendo agli arricchiti di inventarsi mai esistiti nobili avi: una mania che dura tuttora! Al ritorno dalla sconfitta napoleonica di Russia, e dopo quella ancor più dura di Lipsia, Gioacchino riconsiderò la propria sorte, e tentò di salvare il trono separandosi dal cognato e dalla Francia; per qualche tempo del 1814 fu mezzo alleato dell’Austria, e attaccò assieme a questa il Regno Italico del viceré Eugenio. Tornato a Napoli, si avvide che Austria e Gran Bretagna non erano affatto certe di cosa fare del Sud Italia, e oscillavano tra il mantenimento di Murat e il ritorno dei Borbone. Decise, con irruenza più che con logica, la guerra all’Austria, e si spinse fino in Toscana e in Romagna. Qui lanciò agli Italiani un Proclama di Rimini incitandoli alla lotta per l’indipendenza. Era un messaggio improbabile e per chi lo inviava e per chi lo leggeva; e non lo lesse nessuno, tranne un poeta milanese, il Manzoni, che iniziò, e non finì un Inno di quel titolo. Il 2 maggio 1815 Murat, assestatosi nelle Marche, venne attaccato a Tolentino dal generale austriaco Bianchi, e il giorno dopo battuto. Fuggì in Francia, mentre i generali riportavano in patria le truppe, e da lì a poco stipularono, con un compromesso insincero da entrambe le parti e causa di ogni futuro male politico del Sud, la Convenzione di Casalanza con il Borbone, riconoscendolo re di Napoli. L’anno seguente nasceranno le Due Sicilie: una curiosità, il titolo era stato giù usato e da Giuseppe e da Gioacchino! Un giovanissimo intellettuale, non ancora poeta, di quelle parti, Recanati, scrisse subito una “Orazione per la liberazione del Piceno”, ovvero cacciata di Gioacchino e dei suoi “barbari Sanniti” dalle Marche. Murat riparò a Marsiglia, poi in Corsica; intanto Napoleone era fuggito dall’Elba e tornato imperatore, per essere definitivamente sconfitto da Britannici e Prussiani a Waterloo il 18 giugno. Anche Murat tentò il ritorno sul trono; sbarcato a Pizzo, non trovò alcuna accoglienza; arrestato e sottoposto a un processo per identificazione, venne messo a morte. Questo sbarco a Pizzo è un mistero storico. Ammesso che Murat confidasse di avere ancora un partito favorevole, non l’avrebbe trovato davvero in Calabria, la terra a lui più ostile. Si ritenne volesse puntare su Salerno, e che a Pizzo sia finito per una tempesta. Un’ipotesi non senza argomenti viene affaccia da Luigi Durante in “Napitia 2”, sulla scorta di documenti e lettere di testimoni dei fatti pizzitani del 1815. Suggerisce che Murat sarebbe stato attirato in una trappola per poterlo eliminare. Commentiamo così l’ipotesi. Caduto la seconda volta Napoleone, non per questo in Francia era venuto meno il partito bonapartista, che nel 1849 tornerò al potere con Luigi, poi dettosi Napoleone III. C’era chi rivendicava l’Impero, per un momento anche Bernadotte, divenuto principe ereditario di Svezia; e restava pur sempre un figlio di Napoleone, sia pure in de virilizzante esilio austriaco. Il re Borbone, Luigi XVIII, non era dunque molto al sicuro, anche perché gli stessi monarchici più legittimisti dubitavano di lui e si chiedevano quale fosse la verità sul figlio di Luigi XVI, il Delfino misteriosamente scomparso durante la rivoluzione. Tra i marescialli che potevano mettersi alla testa dei bonapartisti, placato Bernadotte, fucilato Ney (ma si disse fatto fuggire di nascosto in America), passato Soult a fare il ministro regio, morti o isolati altri, restava solo Murat; e questi avrebbe potuto persino rivendicare il trono, se non per sé, per il figlio suo e di Carolina. I due Borbone di Parigi e di Napoli avevano dunque un pericolo in comune, che era più prudente eliminare: meglio se in maniera legale, e fuori dalla Francia. Non so se è vero e non potremmo saperlo mai, però pare logico.


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