Il comunista che salvò la Certosa

E’ morto la notte scorsa, nella sua abitazione di Catanzaro, Quirino Ledda, ex vicepresidente del consiglio regionale e storico dirigente del Pci. Sardo di nascita e calabrese d'adozione, Ledda è stato, negli anni Settanta, segretario regionale della Federbraccianti ed esponente di primo piano del Partito comunista italiano. Eletto, nel 1980, consigliere regionale della Calabria, la figura di Ledda è indissolubilmente legata, anche, a Serra San Bruno ed alla storia della Certosa. Se il monastero fondato da Brunone di Colonia, oltre mille anni addietro, ospita ancora i frati dal candido saio, buona parte del merito va ascritto proprio lui. Molti non c’erano ancora, molti altri, forse, non lo ricordano più, ma sul finire degli anni Settanta le condizioni della Certosa erano piuttosto precarie. L’intera struttura presentava gli inevitabili acciacchi prodotti dal tempo. La situazione era diventata insostenibile a tal punto che iniziava, addirittura, a farsi strada l’ipotesi di chiudere definitivamente la Certosa e di trasferire i monaci in un altro convento. Quanto la situazione non fosse più tollerabile, in molti lo capirono, il aprile 1981 quando, sulla Stampa di Torino, venne pubblicato un articolo dal titolo  “Anche ai certosini può capitare (a volte) di perdere la pazienza”. L’autore del pezzo, Enzo Laganà, scriveva: “I frati certosini di San Bruno abbandoneranno definitivamente il più antico cenobio fondato dal loro santo? Gli ultimi ventidue superstiti di questa storica istituzione sono, infatti, intenzionati a non affrontare un altro inverno se non saranno riparate le strutture del convento”. Il giornalista aveva raccolto lo “sfogo” del padre priore dell’epoca, Pietro Anquez il quale, “smentendo in parte il riserbo che circonda la vita” certosina, aveva “denunciato”, tra l’altro, la grettezza degli apparati burocratici. A rendere paradossale la situazione, infatti, c’era un “progetto per la ristrutturazione” che misteriosamente si era perso “nei vari passaggi da ufficio a ufficio”. Una situazione kafkiana, resa ancor più singolare dalla circostanza che il ministero dei Beni culturali aveva affermato che in Calabria non si riuscivano ad “utilizzare tutti i soldi assegnati”. Infatti, come ricorda Bruno Gemelli, nel “Grande otto”, un finanziamento c’era. La Cassa per il Mezzogiorno aveva destinato ben “7 miliardi di vecchie lire al restauro dell’antichissima Certosa”. Evidentemente, l’ignavia della politica e la neghittosità della casta burocratica regionale, ieri come oggi, erano le principali palle al piede della Regione Calabria. Fu in questo contesto che intervenne Quirino Ledda. Nel suo ruolo di consigliere regionale del Partito comunista, come sottolinea Gemelli, “facendo indispettire l’apparato” del suo stesso partito, in un’interpellanza al presidente della giunta regionale, Bruno Dominijanni ed all’assessore regionale alla Cultura, Ermanna Carci Greco, denunciò il grave pericolo che incombeva sulla Certosa. L’intervento servì non solo a smuovere la politica che, per il tramite del consiglio regionale, stanziò 50 milioni di lire per finanziare gli interventi più urgenti, ma innescò una vera e propria campagna stampa che mise il monastero serrese al centro dei riflettori nazionali. L’interrogazione di Ledda, nell’aprile del 1981, venne ripresa da Repubblica, in un articolo di Pantaleone Sergi dal titolo, “Ledda nella sua interrogazione ha posto ai governanti regionali alcuni gravi problemi sollecitando un intervento tempestivo”. Seguirono poi, gli interventi di Filippo Veltri e Gianfranco Manfredi sull’Unità e di Pino Nano sull’Avvenire. L’Occhio, un giornale dalla vita piuttosto breve, diretto da Maurizio Costanzo, poco prima di chiudere i battenti, nel 1981, dedicò alla Certosa un vero e proprio reportage. La campagna giornalistica e le pressioni politiche sortirono gli effetti sperati. Il 3 novembre 1984, finalmente, iniziarono i lavori di restauro eseguiti dall’impresa Borini di Torino. Alla cerimonia inaugurale del cantiere parteciparono, tra gli altri, Quirino Ledda, l’assessore regionale alla Cultura Rosario Olivo ed il sottosegretario ai Lavori pubblici Mario Tassone. Quanto l’intervento di Ledda fosse stato determinante per salvare il monastero e con esso la presenza della comunità certosina a Serra San Bruno, lo testimoniò lo stesso padre Anquez, il quale volle esprimergli la sua riconoscenza in una lettera nella qual scrisse: “Caro Signore, Vi ringrazio moltissimo della fotocopia della vostra interrogazione al consiglio regionale della Calabria e vi ringrazio pure del pensiero. (…) Vorrei aggiungere che a mia conoscenza è la prima volta che sento parlare di uomini politici che fanno un’interrogazione del genere e ne prendo atto: il vostro interessamento alla Certosa di Serra vi fa onore e in nome della mia Comunità vi prego di gradire la nostra gratitudine. Rimane da sperare che il vostro appello sia capito, prima che sia troppo tardi… Con distinti saluti. F.to Pietro Anquez priore”. Qualche tempo dopo, Ledda si vide recapitare una cartolina proveniente dalla Grande Chartreuse di Grenoble, ovvero dalla casa madre dell’Ordine certosino, era l’ennesimo ringraziamento che padre Anquez rivolgeva a quel comunista che aveva salvato la Certosa.

 

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