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Le ferriere calabresi: dalle attività itineranti alle iniziative protoindustriali/PARTE II

Il pezzo che segue è la prosecuzione di un articolo pubblicato ieri ed al quale è possibile accedere cliccando sul link che segue:

https://www.ilredattore.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=1916:la-calabria-e-le-ferriere-itineranti&Itemid=953

 

L’ attività siderurgica calabrese riceve nuovo impulso dopo il 1734, in seguito alla rinascita del Regno di Napoli guidato da Carlo di Borbone e dal suo dinamico primo ministro Bernardo Tanucci. “La produzione nazionale di ferro si attesta intorno alle 10.000 cantaia, quella dell’acciaio intorno a 1.300. In Calabria se ne producono 2.400, di cui la metà a Stilo. […] tuttavia, l’antiquata tecnica di fusione  detta alla “catalana” non è più sostenibile dal momento che comporta un insostenibile dispendio di carbone in rapporto alla quantità di itineranti. “ emblematica in tal senso è la storia della ferriera di Campoli, in territorio del Principe di Roccella, non distante da Pazzano. Distrutti i boschi limitrofi, è stata prima affiancata e poi sostituita da una nuova costruita a Bocca d’Assi da cui prende il nome. Con la ferriera di Assi si prova a dare impulso alle antiche ferriere del Piano della Chiesa. Dette ferriere, poste a nove miglia a ovest di Stilo, sono progenitrici di Mongiana e da esse proverranno i primi artefici dello stabilimento. Poco si sa sulla loro antica conformazione e, pur se di recente sono stati localizzati i ruderi dell’antica chiesetta, sappiamo solo che costituivano un articolato sistema di piccole entità produttive, ognuna a differente specializzazione, di cui le fonti citano tra le tante: fornace vecchia; fornace nuova; ferriera di Arcà; delle armi, della murata; del Maglietto; Acciarena; Molinelle inferiori; Molinelle superiori, ecc.”.  Tra il 1739 ed il 1742 cinque di queste ferriere vengono date in fitto ad un tale Cavallucci che, in cambio di 7.630 ducati annui, si impegna a consegnare alla dogana di Napoli 1.250 proiettili. Dal 1742 al 1750 la gestione viene assunta da un notabile di Stilo, don Giuseppe Lamberti che si obbliga a consegnare, ogni anno, 2.000 cantaia ( circa 180 quintali)  di “carronate da marina”. Nonostante l’assistenza di un ufficiale lorenese, la gestione di Lamberti si rivela disastrosa sia sotto il profilo finanziario che produttivo. Molte delle artiglierie prodotte sono difettose a tal punto da gettare discredito sulle maestranze che operano in Calabria. Reso diffidente dalla infelice prova delle imprese metallurgiche calabresi, constata l’arretratezza dei sistemi in uso, Carlo di Borbone decide di colmare il divario tecnologico e nel 1749, chiama a Napoli “due drappelli di sassoni e Ungheri […]Uffiziali istrutti nella metallurgia sotterranea, minatori, fabbri per costruire macchine, uomini esperti nel preparar metalli avanti la fusione, e quanti altri mai potessero abbisognare alla impresa di investigare e scavare miniere”. La pattuglia sassone è guidata dal consigliere Hermann, professore presso l’Accademia mineraria di Freyberg, mentre a capo degli ungheresi c’è un non meglio identificato Fuchs. Ai tecnici viene affidato il compito, da un parte, di effettuare prospezioni del sottosuolo, dall’altra d’istruire le maestranze, soprattutto quelle calabresi. “A Stilo prende dimora il sassone Bruno M. Schott” che dirige lo scavo di nuovi filoni. Intanto, a capo delle ferriere, viene posto un amministratore che alla dipendenza del Ministero delle Finanze ha l’incarico di riordinare la produzione. In Calabria viene inviato, anche, Giovanni Conty che, a causa delle difficoltà riscontrate, chiede di essere messo nella condizione di ristrutturare l’intero complesso o in alternativa di essere avvicendato. Con l’ultimatum Conty trasmette a Napoli la proposta di varare una norma a tutela del bosco ed un dettagliato piano di sviluppo. Il piano contiene la proposta di trasferire l’attività in località Cima, alla confluenza dei fiumi Ninfo e Allaro, al centro di fitti boschi equidistanti dalle due coste.

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