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Simbario, quando a carnevale si festeggiava la nascita del figlio

Ogni popolo ha le sue tradizioni, ogni paese i suoi costumi. Una regola ferrea, soprattutto, in una nazione, come l’Italia, dove, a tratti, la diversità sembra essere l’unico, vero, elemento unificante.

Una millenaria diversità che emerge, con prepotenza, nella rappresentazione delle festività, nel corso delle quali, attorno ad un elemento archetipico unificante, si sono sviluppati modelli celebrativi totalmente diversi.

A questa regola, generale, non fa eccezione, neppure, il carnevale che pur finendo, per tutti, alla mezzanotte del martedì grasso, inizia in giorni e tempi differenti a seconda delle diverse zone.

Una ricorrenza che per molti rimanda ai Saturnalia romani, anche se, in realtà, rappresenta la reinterpretazione cristiana di una festa di passaggio da un anno all’altro, che si ritrova in varie tradizioni, sia orientali, che occidentali.

Sull’origine del nome, poi, c’è una pluralità di ipotesi, alcune delle quali riconducono al latino medievale “carni levatem”, ovvero “sollievo per la carne”, nel senso di temporanea liberazione dagl’istinti più elementari.

Altre, invece, come segnala Alfredo Cattabiani, nel suo “Lunario”, la interpretano come “carnes levare, cioè togliere le carni, o da carni vale!, “carne addio”, perché una volta in questo periodo si esaurivano in orge gastronomiche le ultime scorte di carni prima della primavera”.

In ogni caso, filo conduttore del periodo carnascialesco, erano le follie, gli scherzi e le beffe. Così, attorno al carnevale, ogni comunità ha costruito la sua tradizione ed ogni paese lo celebra alla sua maniera, secondo un canovaccio che, in molti casi, rimanda a qualche, non sempre documentato, episodio storico. Prova ne è, ad esempio, il celebre carnevale d’Ivrea, con la sua tradizionale battaglia delle arance, nel corso della quale viene ricordata la medievale rivolta della popolazione contro i feudatari.

In altri casi, invece, la tradizione ha lasciato il passo ad un nichilistico progresso, che nel volgere di pochi anni, ha portato alla dispersione di un patrimonio che affondava le sue radici in secoli di storia.

Tra le tradizioni, più eccentriche e bizzarre, svanite del nulla, quella che si celebrava a Simbario, dove il carnevale era l’occasione per festeggiare la nascita del primo figlio.

Una “costumanza” riportata da Bruno Maria Tedeschi, in una delle relazione contenute nel “Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato – Distretto di Monteleone di Calabria”, pubblicato nel 1859, nella quale, il sacerdote serrese scrive: “Il genitore […] non può esimersi dalla obbligazione di far festa, che ordinariamente si riserba pei giorni di carnovale. Allora si riuniscono tutti gli amici, che non sono pochi, e assaltano schiamazzando, con le maniere più rozze del mondo, il nuovo padre di famiglia, il quale già preparatosi a quell’attacco, come vuole l’uso, deve abbandonarsi ad una fuga precipitosa, e quelli ad inseguirlo, menando furiosamente le calcagna”.

La folle corsa per le vie del paese aveva un suo scopo preciso, non a caso, finiva sempre allo stesso modo.

Una volta raggiunto, il novello padre “viene coperto di mantelli e di lenzuola in modo da rimanerne schiacciato; poscia posto a cavalcioni sopra pertiche incrociate in guisa di barella, viene trasportato in mezzo ad un baccano di risa”, manco a dirlo, “nella taverna, ov’è nell’obbligo di far gli onori a tutti quei compagnoni”. Iniziata la festa, com’è facilmente intuibile, i rumorosi ospiti “non mancano di alleggerire il commestibile, e dar fondo a un competente numero di barili di vino, alternando le libazioni con canzoni, brindisi e balli grotteschi, che appena la notte interrompe”.

Una festa caratterizzata, quindi, dalla spropositata assunzione di cibo e vino, da parte di uomini che, con il neo padre, festeggiavano il carnevale, ovvero, quel limes oltre il quale iniziavano i rigori della quaresima, con i suoi giorni di “magro”, senza carne e senza stravizi.


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