Vecchi e nuovi scavi archeologici a Santa Maria del Bosco

Il primo decennio del ‘900, è risaputo, è stato il felice periodo di un’imponente campagna di scavi archeologici e buona parte della Calabria bruzia, magnogreca e romana ne è stata interessata. Da Crotone a Sibari, da Cirò a Caulonia e tante altre località sono state teatro di interesse per il famoso archeologo Paolo Orsi. A lui il merito di aver scoperto, tra le altre bellezze, l’acrolito di Apollo Aleo a Cirò Marina e il “mosaico dei delfini” a Capo Colonna. Però inspiegabilmente quella campagna non si affacciò sull’entroterra delle Serre, se non solo a Stilo. A Paolo Orsi è possibile che sfuggisse l’architettura normanna? Non sapesse della fondazione cenobitica nel bel mezzo delle montagne tra Stilo e Arena? O forse c’è stato dell’altro: difficoltà logistiche, carenza di risorse o cos’altro? O forse più semplicemente l’area montana delle Serre vibonesi non è stata mai pensata come area archeologica, ignota nelle carte degli studiosi? Non è possibile che ci si è sbagliati a fermare l’indagine archeologica solo sulla storia e sui siti prima del Mille? Sta di fatto che la campagna di scavi dell’Orsi non toccò il primo nucleo cenobitico di Santa Maria del Bosco, l’antico eremo dove visse e morì il patriarca Bruno di Colonia, fondatore della Certosa di Serra San Bruno. Un primo tentativo di ricerca, seppur molto approssimativo in termini tecnico-scientifici, si è operato negli anni che vanno dal 1968 al 1973, voluto dal Priore del tempo Willibrando Pnemburg.  L’esito non è stato, come si potrebbe pensare, povero, anzi: rinvenuti frammenti di pavimento e un gruppo di ossa umane, oggi visibili nella chiesetta di Santa Maria. Scrive il serrese Silvano Onda in “L’Eremo di Santa Maria della Torre” ( Ed. Pellegrini, Cosenza 1992) che: “i pochi resti archeologici rinvenuti a Santa Maria sono molto preziosi poiché costituiscono dei campioni su cui, in futuro, dovranno, visto che non è stato ancora fatto, essere studiati in tutte le loro eventuali componenti.” E non solo.  Onda stimola a fermare l’attenzione  sul frammento di pavimento “ nella sua tipologia, struttura, decorazione, tipo di materiale, sistema di costruzione del pavimento stesso e suo inserimento in un possibile arredamento generale con la chiesa…”. Di questo passo chissà che non si potrebbe arrivare alle tecniche costruttive dell’antica Certosa e ai suoi misteriosi edifici dentro e appena fuori. E allora ben venga un ulteriore tentativo di scavo archeologico come anticipato, in esclusiva dal nostro giornale, ilredattore.it, nei giorni scorsi. Nei prossimi mesi, con rilievi geo-topografici, dovrebbero (quanto mi piacerebbe non dover usare il condizionale), iniziare le operazioni di scavo alle direttive dell’archeologo medievalista Francesco Cuteri, di origini serresi. Anche questa volta l’iniziativa è generata dalla Certosa col suo Priore dom Basilio Tribellato con la collaborazione del Parco Naturale Regionale delle Serre.  Una cosa è certa: questa campagna di scavi non si mostrerà approssimativa e affidata a volontari perché, come ammonisce Silvano Onda, “tutta l’area cenobitica di Serra, in quanto ‘zona sacra’, ha bisogno di un’indagine sistematica artistico monumentale e storica promossa da un ‘centro’ o dalla stessa certosa purché in stretto collegamento con la soprintendenza al fine di giungere a delineare con maggior sicurezza il fenomeno del monachesimo certosino…”.

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