Giuseppe Musolino, il fascino misterioso di un brigante – L’antefatto

Quello che segue è il primo di una serie di articoli, nei quali verrà ripercorsa la vita avventurosa del brigante Giuseppe Musolino.

Gl’infami debbono morire; io uccido per ira; uccido perché mi rovinarono mentre io ero innocente [….]. I briganti sono uomini coraggiosi che vendicano le ingiustizie! I briganti debbono essere omicidi sì, ma onorati”.

In queste brevi, ma lapidarie parole, pronunciate da Giuseppe Musolino nel corso di un’intervista pubblicata sull’Avanti!, il 19 novembre 1900, potrebbe essere racchiusa l’intera parabola criminale di uno dei più celebri banditi della storia Italia. Una parabola iniziata per caso, ma seguita con calabrese pervicacia, fino alle estreme conseguenze.

Nato nel 1876 a Santo Stefano d’Aspomonte, Musolino sembra essere destinato a vivere un’esistenza anonima. Ma, una delle misteriose rotte tracciate dal fato, incrocia il cammino del giovane taglialegna aspromontano.

La fatale freccia del destino scocca il 28 ottobre del 1897 quando, nell’osteria paterna, Musolino incrocia il mulattiere Vincenzo Zoccali. Dall’incontro scaturisce una rissa le cui conseguenze, in un arco temporale compreso tra il 1899 ed 1901, si tradurranno in sette omicidi, nove tentati omicidi ed un’incredibile caccia all’uomo che si concluderà a poco meno di mille chilometri dalla Calabria.

La contesa che contrappone Zoccali a Musolino, non è una delle tante, banali, liti da osteria. Si tratta, al contrario, di una vicenda nella quale entra in gioco un universo valoriale d’altri tempi. Onore, lealtà, amicizia, rispetto della parola data. Sono questi, alcuni degli elementi, che hanno fatto di Musolino “l’ultimo brigante”. Non un semplice criminale, quindi, ma un uomo in lotta per affermare la giustizia naturale su quella legale.

Per comprendere appieno i sentimenti che hanno armato la mano di Musolino, bisogna fare un passo indietro.

Colui che è destinato ad assurgere alle cronache europee, all’epoca dei fatti non ha ancora vent’anni e vive con il padre, don Giuseppe il quale, dopo una vita trascorsa a lavorare da boscaiolo, una volta rimasto vedovo, nel 1893 ha deciso di aprire un’osteria a Santo Stefano d’Aspomonte, dove abita insieme ai figli: Vincenza, Anna, Ippolita, Giuseppe e Antonio.

In paese Giuseppe junior è conosciuto con lo stesso nomignolo del padre, “peddicchia”.

Nel 1896, tra Rocco Versace e Vincenzo Zoccoli, cugino ed omonimo dell’avversario di Musolino, sorge una contesa originata dal commercio delle castagne.

Il contenzioso tra i due ex soci finisce davanti al conciliatore del Comune. Zoccoli riceve soddisfazione dal giudice e per indurre Versace a saldare il debito si rivolge al cugino. Dal canto, suo Versace si fa spalleggiare dal cognato Rocco Romeo, il quale chiede aiuto a Musolino.

Nel tardo pomeriggio del 27 settembre 1897, Vincenzo Zoccoli s’imbatte casualmente in Antonio Romeo e Giuseppe Musolino.

Il mulattiere si ferma e con modi piuttosto spicci, intima a Romeo d’invitare il cognato a saldare il debito. Intervenuto a difesa dell’amico, Musolino deve rintuzzare l’ira di Zoccali che lo diffida dal prendere parte alla contesa. L’episodio sembra rimanere senza conseguenze, fino alla fatale serata del 28 ottobre 1897. Come d’abitudine, anche quella sera, Musolino entra nell’osteria gestita dal padre e dalla sorella. Seduti attorno ad un tavolo ci sono: Vincenzo Zoccali, il carbonaio Luigi Prioli ed i commercianti di legname Pietro Sofi e Antonio Surace. Secondo alcune versioni, Zoccali avrebbe offerto da bere a Musolino. Quest’ultimo avrebbe declinato l’invito, provocando la reazione del primo. Rimandare al mittente il vino, nel codice delle bettole, rappresentava una manifestazione di sommo disprezzo.

Zoccali, quindi, avrebbe invitato Musolino a seguirlo all’aperto per un chiarimento. Una volta fuori, dalle parole si passa ai fatti e saltano fuori i coltelli.

Al processo Musolino racconterà: “A un cento e più passi, vi era la casa dello Zoccali; quivi, Zoccali estratto un peccia-parde (una specie di ago dalla grossezza poco meno del mignolo e lungo una trentina di centimetri, munito di manico) mi aggredì; a lui si unì; sopraggiungendo, il fidanzato di sua sorella il quale si fece sotto con un rasoio. Io cercai di parare i colpi con la mano sinistra e ricevetti parecchi colpi in quella mano tanto che mi fu gravemente ferita; atri colpi riportai sul corpo, e un altro mi bucò l’orecchio. In questo punto sopraggiunse mio cugino Nino, […]; egli, per liberarmi, tirò due colpi in aria che andarono a vuoto e che furono causa della sua condanna a otto anni di reclusione”.

L’intervento del cugino, Antonio Filastò (Nino), che per aver sparato i due colpi di pistola verrà arrestato e successivamente condannato ad otto anni di reclusione, permette a Musolino di conquistare la strada di casa.

Il 29 ottobre, verso le 4 del mattino, mentre sta per entrare nella stalla, Zoccali viene bersagliato a colpi  di fucile. A quel punto qualcuno avrebbe detto: “Mannaia, neanche questa volta sei morto”; poi un’altra voce, accompagnata da quattro colpi di pistola, “eccoti anche questa”.

La mattina successiva Zoccali va in caserma a denunciare Musolino ed il cugino, Francesco Filastò, accusandoli di aver premuto il grilletto contro di lui.                                                                                                                                                                                                                                                        (1 – Continua)

 

Articolo pubblicasto su: www.mirkotassone.it

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Giuseppe Musolino, l’ultimo brigante uccise anche nelle Serre

E’ stato considerato, da più parti, l’ultimo dei briganti. Un uomo in lotta per affermare la giustizia naturale su quella legale. A lui sono stati dedicati libri, articoli di giornale, film e persino un’ode da Giovanni Pascoli. La parabola di Giuseppe Musolino ha caratterizzato l’arco temporale compreso fra 1889 e 1901, quando è diventato il più celebre brigante italiano. A far lievitare la sua fama e con essa la taglia posta sul suo capo (passata da 100 a 20 mila lire), furono le sue gesta. Autore di sette omicidi compiuti e nove mancati, Giuseppe Musolino era nato nel 1876. Destinato, molto probabilmente, ad un’esistenza anonima, la vita del taglialegna di Santo Stefano d’Aspromonte subì una decisiva virata il 28 ottobre del 1897, in seguito ad una rissa scoppiata in un’osteria. Protagonisti della tenzone, i fratelli Vincenzo e Stefano Zoccali, da una parte e Antonio Filastò e Musolino dall’altra. Sembra una rissa come tante, se non fosse che, il giorno successivo, qualcuno ferisce a fucilate Vincenzo Zoccoli. Sul luogo del tentato omicidio viene trovata la coppola di Musolino che verrà arrestato, sei mesi dopo, a Reggio Calabria dalla guardia municipale Alessio Chirico. Il processo, apertosi nel 1898, si conclude con la condanna a 21 anni. Determinanti, in fase di giudizio, le false testimonianze di Rocco Zoccali e Stefano Crea. La detenzione dura poco poiché, il 9 gennaio 1899, insieme ad altri tre compagni, Musolino riesce a scappare dal carcere di Gerace Marina, l’odierna Locri. Nel volgere di poco meno di tre mesi tutti gli evasi verranno rintracciati ed arrestati. L’unico a sfuggire alla cattura é Musolino che, una volta libero, anziché cercare riparo all’estero, inizia a consumare la vendetta che aveva giurato di compiere al termine del processo. Una vendetta implacabile che insanguinerà anche il territorio delle Serre, dove Musolino arriverà nel mese d’agosto del 1899 per colpire il suo nemico principale, Vincenzo Zoccali. Dopo aver ucciso, in appena otto mesi, cinque persone ed averne ferite gravemente altre quattro, il brigante abbandona il suo covo aspromontano per dirigersi sul massiccio delle Serre. Indossati giacca e pantaloni di velluto grigio, con in testa un cappello e sulla spalla il fucile Vetterli, la sera del 26 luglio Musolino lascia il suo rifugio. Seguendo tratturi, mulattiere e vecchi passi, arriva nella provincia catanzarese con l’intento di eliminare Vincenzo Zoccoli il quale, dopo essersi inizialmente rifugiato a Reggio, ha raggiunto il resto della famiglia, trasferitasi a Gerocarne in seguito all’attentato dinamitardo con il quale Musolino, a maggio, ne ha distrutto la casa. Al termine di quattro giorni di cammino, l’1 agosto arriva nel cuore delle Serre. Qui si muove senza grandi precauzioni, anche perché non esiste nessuna foto segnaletica che possa permettere ai carabinieri di riconoscerlo. Leggenda vuole che il brigante sia passato da Spadola, dove avrebbe comprato le sigarette e si sarebbe fermato brevemente a parlare con la proprietaria della rivendita; mentre poco fuori paese avrebbe acquistato delle ricotte da Francesco Tassone (bisnonno materno del direttore del Redattore, Bruno Vellone) al quale, nell’atto di dargli il resto, avrebbe risposto: “ A galantuomu non si torna riestu”. Non si tratta di semplice memoria orale, gli episodi trovano, infatti, riscontro nella documentazione custodita nell’archivio del Museo storico dei carabinieri a Roma. La mattina del 7 agosto, Musolino è a Gerocarne, appostato lungo la strada che conduce in un fondo del bosco “Marano” dove Vincenzo Zoccali ha trovato lavoro. Nascosto dietro un cespuglio, vede sfilare davanti al mirino del suo fucile decine di carbonai. Verso mezzogiorno, ad attirare la sua attenzione è un ragazzo, vestito con una giacca marrone ed un paio di pantaloni di velluto, che conduce due muli. Nonostante il cappello a larghe tese ed i folti mustacchi, riconosce, Stefano Zoccoli, fratello del suo acerrimo nemico. Senza indugio esce dal nascondiglio e gli si para innanzi. Riconosciutolo, il ragazzo carca disperatamente di scappare. La vendetta di Musolino è implacabile. Stefano Zoccoli cade ferito da una fucilata che lo attinge alle spalle mentre cerca di scavalcare un muretto. Ricaricato il fucile, si avvicina al moribondo e lo finisce con un colpo allo stomaco. Rientrato da Gerocarne, il 19 agosto è a Sant’Alessio dove uccide Alessio Chirico, la guardia che lo aveva catturato. Molto probabilmente, dalle montagne delle Serre Musolino transita anche nel gennaio del 1901, quando a Fabrizia viene arrestato Stefano De Lorenzo, uno dei banditi che, il 9 marzo 1900, insieme a Musolino ed a Giovanni Iatì era riuscito a sfuggire alla cattura alla grotta “Mingioia”. Nel paese delle Serre, De Lorenzo, viene arrestato dai carabinieri mentre con un sacco in spalla, nel quale verranno trovate  una scure e numerose cartucce, si sta dirigendo verso monte Pecoraro. Il sospetto, seppur non confermato, è che si trattasse di rifornimenti destinati a Musolino il quale, in seguito all’imponente dispiegamento di forze sul territorio è costretto a cercare riparo fuori degli ormai insicuri rifugi abituali. Con l’arrivo al Ministero dell’Interno di Giovanni Giolitti, il 15 febbraio 1901, il cerchio delle forze dell’ordine si stringe e Musolino deve lasciare la Calabria. Verrà fermato ad Acqualagna, non lontano da Urbino, il 9 ottobre 1901, quando i carabinieri, Amerigo Feliziani e Antonio Laserra, senza averlo riconosciuto riusciranno ad arrestarlo perché rimasto impigliato in un fil di ferro. Trasferito, il 24 ottobre, nel carcere di Catanzaro con un treno speciale, Musolino verrà giudicato e condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Lucca. Rimarrà nel carcere di Portolongone fino al 1946 quando, in seguito al riconoscimento dell’infermità mentale, verrà trasferito nel manicomio di Reggio Calabria, dove morirà il 22 gennaio del 1956. La breve ma intensa parabola criminale di Musolino sembra inverare una celebre frase Walter Benjamin: “Anche se non si distinguessero in  nulla dagli altri criminali, i briganti resterebbero pur sempre i più nobili tra i delinquenti, perché sono gli unici a possedere una storia”.

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