Pizzo, il sindaco Callipo contro le scelte della Regione: «Belen sì, Murat no. Non è accettabile»

In merito al mancato finanziamento da parte della Regione Calabria della rievocazione storica murattiana, evento culturale di primaria importanza nel panorama calabrese, il sindaco di Pizzo, Gianluca Callipo, ha diffuso questa lettera aperta che stigmatizza con forza l'esclusione, denunciando il tentativo di marginalizzare il territorio napitino:«Dalla Regione Calabria nemmeno un euro per la rievocazione storica murattiana».

«L’importante manifestazione -continua il sindaco- che ogni anno, ad ottobre, attira migliaia di visitatori che giungono a Pizzo per assistere alla ricostruzione in costume delle vicende storiche che segnarono gli ultimi giorni di vita del re di Napoli Gioacchino Murat, che proprio nella città napitina fu catturato, processato e ucciso, non rientra tra gli eventi culturali finanziati dalla Regione. Una decisione, quella della Regione, che lascia sconcertati, anche in considerazione del fatto che 8 anni fa è stata approvata una legge regionale, la numero 2 del 2009, che dovrebbe garantire promozione e sostegno alle iniziative culturali finalizzate a valorizzare il decennio francese in Calabria (1806-1815). E nessuna altra iniziativa, con riferimento a Murat, è più nota e peculiare di quella che viene promossa annualmente a Pizzo proprio nei giorni di ottobre in cui il cognato di Napoleone Bonaparte fu imprigionato e fucilato nel castello Aragonese.

Un evento che due anni fa, in occasione del bicentenario della morte di Murat, ha visto anche la partecipazione di rappresentanti del consolato francese e dei discendenti dello stesso sovrano, ottenendo un’eco internazionale. Insomma, una di quelle iniziative che la Calabria dovrebbe tutelare e sostenere in maniera prioritaria, perché coincidente con la sua storia e le sue tradizioni. A quanto pare, invece, non c’è spazio per Pizzo e per la rievocazione storica nei bilanci regionali, nonostante si siano trovati invece i soldi (tanti soldi) per finanziare indirettamente la partecipazione di una showgirl come Belen, che per la sua breve apparizione al Festival del Peperoncino di Diamante intascherà decine di migliaia di euro. Non si può assistere in silenzio a uno scippo culturale di queste dimensioni. Ben vengano tutte le comparsate di personaggi famosi, capaci di suscitare la curiosità di turisti e visitatori, ma a patto che siano finanziati anche gli eventi che animano il già troppo asfittico panorama culturale calabrese.

Il Comune di Pizzo, -chiosa il sindaco- per il tramite dell’associazione Murat Onlus, ricorrerà contro la decisione della Regione, chiedendo agli organi competenti di riconsiderare la richiesta di finanziamento per allestire la rievocazione storica murattiana, nell’auspicio che si rimedi all’errore fatto. Qualora dovesse giungere un ulteriore diniego, non è escluso che si decida di adire le vie legali affinché le istituzioni regionali prendano piena coscienza che la misura è ormai colma e non ammetteremo più di essere marginalizzati o ignorati».

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Serra ed i Briganti. I nomi dei serresi ricercati dai francesi

Dopo la vittoria ad Austerlitz, il 2 dicembre 1805, Napoleone, ormai padrone dell’Europa continentale, decise di porre fine alla monarchia borbonica invadendo il regno di Napoli. In seguito ad ogni conquista, l’imperatore d’Ajaccio metteva in moto un collaudato meccanismo di spartizione  che vedeva protagonisti i componenti del suo numeroso clan familiare. Ai “napoletani” toccò in sorte, quale nuovo sovrano, Giuseppe Bonaparte. Un regno breve, destinato a durare poco più di due anni, fino a quando il fratello maggiore di Napoleone, non venne incoronato re di Spagna. Al suo posto, venne inviato Gioacchino Murat i cui meriti di guerra erano stati accresciuti dalle nozze con Carolina Bonaparte. Il regno del cognato di Napoleone si concluderà il 2 maggio 1815 con la sconfitta di Tolentino. L’arco temporale compreso tra il 1806 ed il 1815, passato alla storia come decennio francese, è stato caratterizzato da lutti, devastazioni e ribalderie d’ogni genere. Una lunga guerra senza quartiere, animata, da una parte, dai soldati francesi desiderosi di ristabilire l’ordine e dall’altra dai cosiddetti briganti, la cui lotta era sostenuta dalla corte di Ferdinando IV di Borbone, che dalla Sicilia, dove si era ritirato, grazie al sostegno inglese cercava di riprendersi il Regno, fiducioso di riuscire a replicare i fasti del 1799 quando, le armate della Santa Fede, guidate dal Cardinale Fabrizio Ruffo, avevano restaurato la monarchia dopo aver scacciato i francesi. La cruenta lotta vide, quindi, in prima fila la Calabria dove i briganti, favoriti, dalla natura del territorio e dalla fitta vegetazione riuscivano a muoversi con disinvoltura tenendo in scacco i soldati francesi. Il sangue dei morti, da una parte e dall’altra, intrise la terra di ogni contrada, le Serre non furono risparmiate. Anzi, come riporta la “Platea”, ovvero la cronistoria redatta dai cappellani della chiesa Matrice di Serra, la cittadina della Certosa ed i centri limitrofi diedero un contributo piuttosto significativo alle ragioni della rivolta. Molti, infatti, “definendosi realisti, iniziarono a vivere di ruberie” ed in ”tanti iniziarono a battere le campagne assumendo il nome di ‘Briganti’”. Si trattava di “uomini senza legge che fin da subito si dichiararono nemici aperti dei giacobini, ossia dei sostenitori dei francesi”. Fu così che da luoghi di preghiera e meditazione, i dintorni di Serra divennero rifugio di bande di briganti provenienti da tutto il circondario. Gli episodi più cruenti che interessarono direttamente la cittadina bruniana furono due. Il primo risale al 24 maggio 1807 quando, quattro giorni prima della Battagliata di Mileto, la guarnigione francese di stanza a Serra era andata a dare manforte ai propri commilitoni in vista dello scontro con l’esercito napoletano. Fu in quell’occasione che “150 briganti, guidati da un certo Giuseppe Monteleone, detto Ronca” cui “si erano uniti altrettanti fabrizioti che disarmati speravano di prendere parte al saccheggio” entrarono a Serra e per “otto giorni” compirono assassini e saccheggi. A mettere fine alle devastazioni furono i serresi che avevano combattuto con i francesi a Mileto. Dopo la battaglia, ottenuta l’autorizzazione da parte del comandante delle truppe napoleoniche, generale Reynier, tornarono precipitosamente a Serra e misero in fuga i briganti. Il secondo episodio, invece, risale al 1811 quando, in seguito all’uccisione di due soldati francesi, il generale Manhés, oltre a fare chiudere le chiese, fece esiliare a Maida i preti fin quando non fossero stati consegnati i briganti. Dei ricercati di cui i francesi pretendevano la consegna sono arrivati a noi, tramite la “Platea”, due soli nomi, quelli dei “due Pasquali”, ovvero Pasquale Catroppa e Pasquale Ariganello, gli irriducibili uccisi nel sonno, il 12 aprile 1811, da due pastori di Pazzano che gli avevano dato ospitalità. I briganti serresi, attivi tra il 1806 ed il 1811, furono però molti di più. Complessivamente si tratta di trentadue persone i cui nomi sono contenuti in un documento, la “Nota de’ briganti in campagna, compilata secondo il Decreto del I Agosto 1806, richiamato in vigore con altra Sovrana disposizione data dal Campo del Piale”. Il documento, firmato dal Regio procuratore generale presso la Corte di Calabria Ultra, Giovanni La Camera, dal comandante la Provincia Battiloro e dall’Intendente Pietro Colletta verosimilmente risale ad un periodo compreso tra il 9 settembre 1809 ed il 26 settembre 1810. A farlo ipotizzare, la firma apposta da Colletta in qualità d’Intendente ed il riferimento al “Campo di Piale”. Il primo, infatti, ricevette la nomina il 9 settembre 1809, mentre il secondo cessò d’esistere il 26 settembre 1810. Il “Campo di Piale” era stato allestito da Murat sulle alture dell’attuale Villa San Giovanni con l’intenzione di conquistare la Sicilia. Un’impresa giudicata impossibile ed abbandonata proprio nel corso degli ultimi giorni del settembre 1810. La “Nota” si apriva con un preambolo: “Ogni individuo che si troverà inscritto nella nota suddetta, avrà la facoltà tra gli otto giorni dalla pubblicazione di essa, di presentarsi o al Comandante Militare, o all’Intendente, o al Sotto – intendente del suo distretto, per reclamare contro l’inscrizione suddetta, rimanendo in arresto fino alla giustificazione del richiamo. Spirato detto termine, ogni individuo che non avrà reclamato in persona, sarà in caso di arresto trattato conformemente alle disposizioni degli articoli suddetti. I beni dei briganti scritti nelle dette note saranno confiscati, ed i briganti medesimi saranno trattati come fuor giudicati, e condannati a morte”. Per quanto riguarda Serra, la “nota” riporta complessivamente 32 nominativi i cui cognomi, in molti casi, sono ancora presenti nella cittadina della Certosa. Di seguito i nomi, in alcuni casi corredati dai soprannomi, dei briganti Serresi attivi fino al 1811: Pasquale Ariganello e Pasquale Catroppa (i “due Pasquali”), Bruno Barbara, Antonio Pace Spito, Pietro Valente del Cardeo, Giuseppantonio Tosto, Rocco Scoleri, Annibale Tedesco, Raffaele Pisani dello Zoppo, Domenico dell’Apa Fociliere, Domenico Crispo Lupo, Bruno Mannella, Rocco e Fortunato Pisano, Gennaro e Giuseppe Raghiele, Biagio Pelaja, Rocco Vellone, Giuseppe Figliuzzi, Salvatore Pasquino, Salvatore Tucci, Raffaele Scrivo, Biagio e Salvatore di Francesco, Biagio e Raimondo Greco, Pasquale e Francesco Zaffino, Domenico Rizza Tirri, Michele e Francesco Condeloro, Pasquale Purria,

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