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Palazzo San Giorgio e informazione non allineata: la vendetta (benvenuta) è servita

Precisiamolo subito, a scanso di qualsiasi interessato equivoco: l'Amministrazione Comunale di Reggio Calabria ci ha reso un favore non di poco conto. La decisione di escludere questa testata giornalistica dalla mailing list utilizzata per l'invio di comunicati ci toglie dall'imbarazzo di pubblicare "non notizie" che nulla apportavano in termini di informazione ai nostri lettori. E pur tuttavia, sebbene sia doveroso lasciare fuori dalla porta l'immondo vittimismo di cui tanti si cibano, resta la gravità di una scelta che poco ha a che vedere con la discrezionalità, tenuto conto che l'imparzialità di un ente istituzionale e la sua capacità di incassare critiche, anche pesanti se del caso, dovrebbero essere date per acquisite. L'ipotesi che si tratti di un casuale malinteso, magari addebitabile ad una antipatica, quanto improvvisa, dimenticanza o ad imprecisati motivi tecnici, in questo caso non è contemplata. Non lo è perché la coincidenza ha voluto che l'interruzione, salvo un paio di insignificanti eccezioni, si concretizzasse immediatamente dopo aver scritto un commento, duro ma legittimo, sulle modalità di gestione della comunicazione da parte di Palazzo San Giorgio (qui il link all'articolo in questione). Vicende politiche interne alla vita di un partito di opposizione se oggetto di volgare derisione da parte di un consigliere comunale della maggioranza, sfruttando la longa manus dell'ufficio stampa comunale, come scritto nell'occasione, rimane, a nostro insindacabile giudizio, una imperdonabile caduta di stile, sul piano formale ed anche sostanziale. Nei corridoi del Municipio qualcuno potrebbe ben obiettare che, quando questo giornale è nato, ha chiesto di essere inserito nell'indirizzario ufficiale così da ricevere le relative comunicazioni: vero, verissimo, come scontato ed ovvio che fosse. Lo abbiamo fatto con tutti gli altri enti perché così ci si comporta quando  si è mossi dall'ambizione di voler fornire ogni giorno un quadro il più completo possibile di quel che accade nel territorio di riferimento, nel nostro caso quello calabrese. Un rapporto, invero, tormentato dall'inizio a causa di problemi "tecnici" che, tuttavia, l'impegno e la disponibilità mostrati dalla responsabile avevano risolto brillantemente. Tutto vanificato dalla solerzia vendicativa che ha animato colui che si è abbassato oltre la soglia minima di rispetto per sé stesso cassando un giornale dall'elenco di quelli graditi. Peccato per lui, peccato per loro, soprattutto per quei rappresentanti della maggioranza consiliare, pochi ma esistenti, e di quei componenti della Giunta, pochissimi ma vivi e vegeti, che meritano considerazione. Se questa scelta, che ci inorgoglisce forse oltre misura, fosse addebitabile al massimo livello politico, sarebbe la miglior risposta a quello sparuto drappello di difensori della sedicente "Svolta", ormai ridottisi talmente tanto da suscitare negli interlocutori un sentimento di sana invidia per essere rimasti romanticamente affezionati a qualcosa che si è evaporato in un arco temporale brevissimo. Se, invece, essa fosse ascrivibile ad una libera interpretazione dei materiali autori delle note stampa, ci troveremmo di fronte ad un raro esempio di arroganza che merita soltanto di essere circondata da una vacuo sentimento di disprezzo. Poco male, faremo volentieri a meno di qualche potenziale condivisione sui social network: è il prezzo, in saldo, dell'incapacità, esibita quotidianamente, dalla pubblicistica di regime che non possiede nemmeno gli elementi basilari per distinguere tra propaganda e corretta comunicazione alla cittadinanza. Basterebbe, a questo proposito, dare una veloce occhiata al fascio di notizie che appaiono sulla homepage del sito del Comune di Reggio Calabria: tra ordinanze, disservizi ed orari della Pinacoteca, una manina poco "educata" ha pensato bene di infilare, in data 22 dicembre, le presunte "Dieci buone notizie per la città": un elenco, promozionale ed autoreferenziale, di "fatti concreti" su cui una fetta maggioritaria della popolazione avrebbe ben più di qualcosa da eccepire proponendo una contro-lista delle "Cento cattive notizie per la città". 

Il terremoto del 1908 ed i soccorritori romani a Reggio

Reggio e Messina hanno festeggiato da alcune ore la nascita di Cristo quando, alle 5,21 di lunedì 28 dicembre 1908, una potente scossa scuote i sismografi di tutta Europa e rade al suolo tutto ciò che si trova in un raggio di diversi chilometri. Dei suoi 140 mila abitanti Messina ne vede perire 80 mila, 15 mila rimangono sotto le macerie di Reggio, tanti altri vengono seppelliti dai resti delle povere case nei centri minori.  L’Italia ed il mondo vengono messi al corrente del disastro solo la mattina successiva, quando il Corriere della Sera pubblica la notizia. A darne comunicazione al Governo è la torpediniera “Spica”, costretta a navigare fino a Nicotera Marina, sulla costa Calabra per trovare un telegrafo ancora funzionante. La notizia recapitata al ministro della Marina, l’on. Mirabello, si presenta con il seguente tenore: "Oggi la nave torpediniera Spica, da Marina di Nicotera, ha trasmesso alle ore 17,25 un telegramma in cui si dice che buona parte della città di Messina è distrutta. Vi sono molti morti e parecchie centinaia di case crollate. È spaventevole dover provvedere allo sgombero delle macerie, poiché i mezzi locali sono insufficienti. Urgono soccorsi, vettovagliamenti, assistenza ai feriti. Ogni aiuto è inadeguato alla gravità del disastro. Il comandante Passino è morto sotto le macerie". I primi soccorsi alle due città devastate giungono alcune ore più tardi, all’alba del 29 dicembre con l’arrivo dei marinai della flotta russa in quei giorni impegnati in manovre delle acque del Mediterraneo. Da tutta la Penisola, oltre agli aiuti predisposti dal Governo presieduto da Giovanni Giolitti, arrivano squadre di soccorso frutto della gara di solidarietà nazionale. Al personale della Sanità militare, cui viene demandato il compito di predisporre gli ospedali da campo e fornire il personale medico e paramedico specialistico, si uniscono contingenti di volontari della Croce Verde, della Croce Bianca, di organizzazioni umanitarie e degli ospedali civili. La Croce Rossa e l’Ordine dei Cavalieri di Malta mettono in funzione anche dei “Treni Ospedale” che si occupano della cura e del trasferimento dei feriti in altre città. Nelle ore caotiche e tormentate del post terremoto Roma assolve il proprio compito di capitale del Regno. Dalla Città Eterna, oltre alle direttiva, partono treni carichi di aiuti. Le squadre di soccorso provenienti dal nord giungono in treno a Roma, da qui proseguono per Napoli da dove  partono le navi sulle quali viaggiano soccorsi e soccorritori. I soccorritori romani concentrano la loro attività soprattutto a Reggio e su buona parte della costa calabra. A poche ore dalla tragedia, Giovanni Cena, per le colonne di Nuova Antologia, da Palmi, una delle cittadine calabresi maggiormente colpite dal terremoto, scrive: "Il tenente, Bodeo, romano, ch’era qui in distaccamento, dopo aver salvato i suoi, ha, con 500 assicelle per letti dei soldati, fatto costruire tredici baracche". Ai militari, che per dovere d’ufficio sono chiamati ad assolvere le mansioni dei soccorritori, si associano centinaia di civili. I romani non si risparmiano nella generosa opera d’aiuto, tanto che in molti casi sono tra i primi a giungere sui luoghi del cataclisma. Come riporta Nuova Antologia "la squadra di Roma, condotta dal Ballori e dal Rossi-Doria, fu la prima ad accorrere a Reggio". Tanti i superstiti strappati alle macerie dall’abnegazione di uomini che compiono fino in fondo il loro dovere. Sull’edizione dell’1-2 gennaio 1909 il quotidiano Roma riporta una corrispondenza spedita da Reggio Calabria il 31 dicembre nella quale si segnala: "Vi confermo ora che Reggio è quasi completamente distrutta. Si calcola che appena da un terzo della popolazione ascenda il numero dei superstiti. Continua l’opera di salvataggio compiuta con grande abnegazione. La truppa è giunta ieri da Napoli. Il servizio sanitario è disimpegnato dalla 9a compagnia di sanità di Roma e dalla Croce Rossa di Napoli". Sul primo dispaccio spedito per le colonne del Corriere della Sera l’inviato Nardini scrive: "Mentre scrivo qui accanto la folla urla disperatamente invocando prontezza di soccorsi. Restare tra queste rovine significa una sofferenza indicibile. I soldati e i marinai fanno sforzi inauditi, benché ormai affranti; anche le suore di carità sono eroiche, e i pompieri di Roma fanno miracoli. Ma ormai tutto è distrutto e nessuna casa è servibile. I morti sono putrefatti, i feriti aggravati, i vivi sconvolti". Tanti i riconoscimenti ai soccorritori romani segnalati sui maggiori organi d’informazione. Del resto le squadre romane non limitano i loro interventi ai centri costieri, spesso si spingono nei paesi più remoti e meno accessibili. A Scilla, scrive Giovanni Cena, "Troviamo, oltre i medici inglesi, una squadra di coraggiosi studenti venuti da Roma, e la Croce Verde di Milano. Arrivati stamani, hanno già visitato i paeselli del monte, Melia, Solano. Ci danno delle cifre di morti e di feriti". A distanza di giorni nelle situazioni più disagevoli e precarie i soccorritori romani continuano a prodigarsi per portare avanti la loro opera. "Anche oggi, quarto giorno della catastrofe – scrive Olindo Bitetti - furono scoperti nuovi superstiti sotto le macerie. I pompieri romani compirono i medesimi eroismi dei russi". Nel marasma di polemiche che accompagna i soccorsi anche la stampa anti governativa evidenzia la presenza e l’attività dei soccorritori romani. L’Avanti!, organo del Partito socialista, del 4 gennaio 1909 a firma di Tommaso Rossi-Doria riporta la presenza a Reggio, già la mattina del 30, dei "medici romani Mancinelli, Cherubini, Ricci [che] hanno subito cominciato a medicare feriti". Ai fiumi d'inchiostro che hanno  giustamente celebrato le imprese dei marinai russi a Messina, quasi mai è corrisposta altrettanta solerzia nel narrare la storia a volte dimenticata di medici, studenti, popolani e soldati romani che sulle rive dello Stretto portarono il vessillo e la solidarietà della capitale d'Italia.

Ripristinata illuminazione villetta Caprai, Caracciolo (FI): "Opposizione attenta alla periferia"

"Esprimo la mia soddisfazione per il ripristino dell’illuminazione nella villetta Caprai, sita nel rione di Modena, che ovviamente può e deve essere ancora migliorata. Si tratta - afferma Mary Caracciolo, consigliere comunale di Forza Italia - di una delle prime iniziative seguite con particolare dovizia, sin dall’inizio dell’insediamento, dalla sottoscritta assieme ai tecnici del settore della pubblica illuminazione del Comune di Reggio Calabria e insieme al Consigliere Giuseppe Sera. In un rione particolarmente sensibile alla microcriminalità l’illuminazione di una vasta villetta rappresenta non solo un importante deterrente, bensì un segnale rilevante in termini di pubblica sicurezza. Il contesto in cui si riversa la nostra città è fortemente caratterizzato da problemi in termini di vivibilità; è questa la motivazione che dovrebbe spingere ad implementare tutti i sistemi possibili affinché si abbia un concreto miglioramento della qualità della vita, dove, l’ordine pubblico, rappresenta uno degli indici principali". È opportuno, pertanto, salvaguardare tutti quei luoghi di incontro e di confronto all’interno dei vari quartieri che - sottolinea l'esponente 'azzurra' - caratterizzano il vasto territorio reggino, affinché vengano restituiti alle famiglie, ai bambini, agli anziani, migliorati in termini di decoro urbano e di pubblica sicurezza. Ovviamente la strada è ancora lunga e tortuosa; questo primo step rappresenta un segnale concreto dell’interesse verso la periferia anche dai banchi dell’opposizione, affinché la nostra azione quotidiana di vigilanza, di critica e di proposta si tramuti in azioni tangibili aventi come unica finalità il bene della città. Come Forza Italia vorremmo che la periferia rappresentasse una priorità dell’agenda di questa amministrazione, e con dedizione e sacrificio il mio impegno sarà costantemente rivolto affinché ciò si realizzi".

La Guardia di Finanza ha sequestrato 153 mila luminarie natalizie

A seguito di una pregressa attività infoinvestigativa, corroborata da acquisizione di informazioni, sopralluoghi e appostamenti effettuati nei pressi di esercizi commerciali gestiti da operatori di etnia cinese, gli uomini del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno sottoposto a sequestro amministrativo circa 153.000 prodotti elettrici a bassa tensione quali luminarie elettriche natalizie, in quanto assemblate con componenti non conformi alle direttive europee sulla sicurezza dei prodotti. In particolare, nelle festività natalizie, è stato individuato un esercizio commerciale operante nel centro cittadino, che poneva in vendita decorazioni natalizie ed articoli vari (led ed addobbi elettrici) di provenienza cinese, privi della marcatura "CE", dei requisiti minimi di sicurezza e delle indicazioni circa la provenienza. 

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Reggio ed il terremoto del 1908: morte, distruzione e abbandono

E’ trascorso oltre un secolo dal devastante terremoto che il 28 dicembre 1908 rase al suolo Reggio e Messina. A rammentarne la ricorrenza, più che gli uomini, sono le periodiche ed inquietanti scosse telluriche che si susseguono a largo delle coste calabresi. Segnali con cui le forze della natura sembrano intimare a non dimenticare. Obbedienti, ricordiamo ciò che accadde in Calabria, in particolare a Reggio e dintorni. Dopo il sisma, la città dello Stretto dovette attendere due giorni ed una notte prima che giungesse una qualche forma d’aiuto. Tra la fatale alba del 28 dicembre ed il tragico tramonto del giorno successivo, mentre su Messina convergevano le navi del soccorso internazionale, la città calabrese rimase in balia di se stessa, annichilita, priva di aiuti, preda di approfittatori e ladri. Amaro e impotente fu il commento scritto, a pochi giorni di distanza, dall’inviato della Stampa di Torino, Giuseppe Borghese: “ la povera Reggio è rimasta seconda anche nel compianto degli uomini: la funebre gloria di Messina ha oscurato la sua e perfino la notizia della sua morte tardò più lungamente a propagarsi. Il silenzio tragico che avviluppò per dodici ore Messina durò quasi ventiquattro per Reggio”.  Ai superstiti fu negata anche la soddisfazione di raccontare le proprie peripezie : “ a Reggio i giornalisti son venuti correndo, sono ripartiti correndo: perciò i superstiti sono insoddisfatti, avendo dovuto reprimere quell’avidità di raccontare che è l’unica consolazione di coloro che hanno sofferto le torture e gli spasmi di un inferno terrestre”. Tuttavia, grazie alle “frettolose” cronache di quei primi giornalisti, abbiamo un quadro, per quanto confuso, di quel che avvenne in città nei giorni successivi al terremoto. Sappiamo, ad esempio, che i primi soccorritori giunsero a piedi da Lazzaro, seguiti a breve distanza da una squadra agricola di Cirò, composta da 150 operai armati di vanghe e picconi. “Questa squadra ebbe contegno mirabile e diede aiuto alle migliaia di feriti giacenti presso la stazione. Gli stessi operai provvidero anche allo sgombero della linea ferroviaria favorendo la riattivazione delle comunicazioni ferroviarie. Appena giunti furono circondati da una turba di affamati ed il pane da essi portato venne a loro strappato letteralmente dalle mani, sicché essi dovettero patire la fame fino al giorno 30 quando cominciò l’arrivo delle navi”. Quelle navi però vagarono per giorni prima di trovare nuovi punti d’approdo. Le banchine, infatti, erano state spazzate via da tre gigantesche onde di maremoto generate dalle ripercussioni della scossa sul fondale marino. Provenienti da nord-ovest, dopo aver investito Ganzirri e la costa settentrionale di Messina, le onde si erano infilate nell’imbuto dello Stretto e si erano abbattute con inaudita violenza sulla costa occidentale dell’estrema Calabria. Nelle cittadine rivierasche, a iniziare da Palmi e giù fino a Reggio, come ebbe modo di rilevare il corrispondente dell’Hamburger Fremdenblatt, “la marea era penetrata fino ai primi piani e, carica di bottino in vite umane e beni, velocemente, si era poi rifugiata, così come in passato facevano i saraceni, nel bacino del mar Tirreno”. A Cannitello, su 2000 residenti se ne salvarono meno di 40; il villaggio dei pescatori della Chianalea di Scilla fu sbriciolato e spianato dalla marea. Il 90% dei suoi abitanti scomparve tra le onde. Maremoto e incendi fecero la differenza, ma accomunarono nella distruzione Reggio e Messina. Quel poco che lungo la costa reggina aveva resistito al terremoto fu travolto dalle onde. Su tutta l’area dello Stretto la pioggia fredda e battente aggiunse disagio a disagio, inondando di fango le rovine e ostacolando l’opera di ricerca dei superstiti. Le stazioni ferroviarie di Reggio e Villa San Giovanni erano crollate, il piazzale della stazione di Villa era sprofondato di circa due metri e il maremoto aveva travolto i treni in transito riducendoli ad ammassi di ferraglia. Le onde avevano scagliato barche da pesca e battelli in piena campagna, ben oltre i terrapieni della linea ferroviaria tirrenica. Il ponte in ferro di Pellaro era stato sollevato di peso e depositato sul torrente. Per oltre un mese, passeggeri e merci furono costretti a fare la spola tra i treni in arrivo e in partenza sulle due testate della linea. La maggior parte degli edifici pubblici di Reggio era crollata e dell’edilizia privata si erano salvati solo i pochi fabbricati bassi, costruiti nel rispetto delle norme antisismiche varate dopo il terremoto del 1783. Particolarmente gravi per conseguenze ed entità delle vittime, i crolli dell’Ospedale Civile e della Caserma Luigi Mezzacapo. Il crollo del nosocomio, nel quale perirono 260 dei 280 degenti, privò la città del luogo deputato a fornire cure ed assistenza. L’unica forza militare presente in città, la sola che avrebbe potuto dare un aiuto immediato, era stata annientata dal crollo della caserma Mezzacapo. Dei 600 soldati di leva del 22° Reggimento acquartierati nella caserma, ben 500 erano morti sotto le macerie insieme alla maggior parte dei loro ufficiali. Fu solo la mattina dell’ultimo dell’anno, con l’arrivo in città dei pompieri di Roma, dei volontari della Croce Rossa di Napoli e delle squadre di soccorso partite dalla Toscana, dalla Lombardia e dall’Emilia, che si organizzarono i primi soccorsi e si eressero le prime tendopoli. L’Ordine dei Cavalieri di Malta provvide a organizzare treni-ospedale adibiti al trasferimento dei feriti in altre città. Sulla costa reggina, intanto, operava già la squadra navale inglese i cui ospedali da campo stridevano per lindore e organizzazione nel marasma generale. Pur tra le inevitabili polemiche, con la proclamazione della legge marziale e l’affidamento all’Esercito delle funzioni di coordinamento dei soccorsi, fu poi avviata la fase di normalizzazione. Ma la città, distrutta, ci avrebbe messo trent'anni per risollevarsi.    

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"Casa dei Giovani 2016": Capodanno unico in una location speciale

La Casa dei Giovani "Peppe Condello", centro di aggregazione e formazione giovanile, gestito dall’Associazione Attendiamoci O.n.l.u.s. e divenuto punto di riferimento per le diverse opportunità e i numerosi servizi offerti nell’ottica della formazione globale della persona, sarà la location del Veglione di Capodanno 2016. L’evento è proposto da Attendiamoci, impegnata da quattordici anni per la prevenzione del disagio giovanile e la promozione di occasioni di crescita e formazione globale, e dalla Pilati Beach Crew, realtà giovanile di intrattenimento, che ha deciso di affiancare l’associazione nell’organizzazione di questa serata. Musica live, a seguire dj set con Fabio Panella, Paolo Gatto ed Emanuele Postorino, angolo bar e cornetti caldi alle prime luci dell’alba, per una serata che si incastona perfettamente nel quadro delle iniziative no alcool promosse dall’associazione: questi gli elementi per vivere insieme la notte più attesa dell’anno. Con il ricavato della serata, al netto del contributo della SIAE e degli altri oneri, si contribuisce alla mission dell’Associazione Attendiamoci: prevenire il disagio giovanile e promuovere le risorse personali. Per maggiori informazioni, è possibile visitare il sito www.attendiamoci.it oppure la pagina Facebook dell’associazione.   

 

Sorpreso in flagranza dai Carabinieri: arrestato "topo d'appartamento"

Il rafforzamento del controllo del territorio disposto in occasione delle festività natalizie in tutta la giurisdizione di competenza della Compagnia Carabinieri di Reggio Calabria, con particolare attenzione alle zone prettamente commerciali e alle aree residenziali della città, ha permesso ai Carabinieri dell’Aliquota Radiomobile di sorprendere con le mani nel sacco un topo d’appartamento, mentre il complice è riuscito a darsi alla fuga. Erano le ore 15.00 circa del giorno di Santo Stefano quando la pattuglia veniva allertata dalla Centrale Operativa del Comando Provinciale Carabinieri circa la presenza di due soggetti presenti nell’abitazione sita al piano terra di Via Reggio Campi. L’immediato intervento dei militari ha permesso di sorprendere Demetrio Matteo Serra, 45enne reggino, con diversi pregiudizi per reati contro il patrimonio, in possesso di materiale vario del valore complessivo di 500 euro circa, asportato poco prima dall'abitazione, riconosciuto dal proprietario e a quest’ultimo immediatamente restituita. A seguito del sopralluogo eseguito dai Carabinieri, i locali interessati risultavano completamente a soqquadro. Alla luce di quanto accertato, Serra è stato condotto presso la caserma di Viale Calabria e dichiarato in stato di arresto per il reato di furto aggravato in abitazione. Lo stesso è stato sottoposto agli arresti domiciliari presso la propria abitazione a disposizione dell’Autorità Giudiziaria reggina, in attesa del rito direttissimo.

 

Generazione Famiglia contro "la barbarie dell’utero in affitto"

"Gli uteri non si affittano! I figli non si comprano!" è il messaggio sulle locandine affisse in tutta la città dal circolo reggino di Generazione Famiglia per "denunciare - si legge in una nota trasmessa dal portavoce Giorgio Arconte - la barbarie dell’utero in affitto. Secondo alcuni, l’uso del termine 'utero in affitto' sarebbe offensivo e da sostituire con i preferiti 'gestazione per altri' oppure 'maternità surrogata', termini nati per nascondere un atto di compravendita vergognoso condannato anche dall’UE". Recentemente, infatti, il Parlamento europeo - ricorda Arconte - ha approvato un emendamento al Rapporto sui diritti umani che «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani». Generalmente sono donne povere e bisognose quelle che si lasciano sfruttare da questo odioso mercato, ma l’utero in affitto è un’arma a doppio taglio, da una parte costringe la donna a fattrice di figli per conto terzi, dall’altra riduce i figli allo stato di merce". L’utero in affitto - incalza il rappresentante di Generazione Famiglia - è una violazione dei diritti umani anche quando non implica lo sfruttamento economico e sociale della donna perché comunque un essere umano viene trattato come merce e non come soggetto di diritto, il figlio. Ultimamente anche in Italia si è acceso il dibattito intorno a questa pratica, addirittura le femministe di SNOQ (Se Non Ora Quando) hanno lanciato un appello contro l’utero in affitto sottoscritto da numerosi intellettuali e gente dello spettacolo. Eppure, c’è chi in Italia vorrebbe legittimare questa pratica attraverso l’approvazione del ddl Cirinnà, la proposta di legge sulle unioni civili. Con l’articolo 5 di questa legge, infatti, è previsto il meccanismo della stepchild adoption, che di fatto renderebbe legittima questo commercio anche in Italia pur praticandolo all’estero. È bene, quindi, che il dibattito su queste tematiche sia sempre il più ampio ed approfondito possibile affinché il Parlamento non assecondi spinte ideologiche da parte di piccoli gruppi". La donna - tuona Giorgio Arconte - non è un oggetto, non è il macchinario di una fabbrica, e il bambino non è un prodotto commerciale, non è un bene di consumo!"

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