San Nicola, l’avventurosa storia della traslazione delle reliquie

La Chiesa ha dedicato la data del 6 dicembre a san Nicola.

Giunta in Italia in epoca bizantina, la devozione nei confronti del vescovo di Myra si diffuse in maniera capillare, dopo il colpo di mano compiuto da un manipolo di marinai baresi.

Le ossa del Santo vennero portate in Puglia in maniera piuttosto rocambolesca.

Nel marzo del 1087, tre navi cariche di frumento, partirono da Bari dirette ad Antiochia. Durante la navigazione sorse l’idea d’impossessarsi delle reliquie di san Nicola custodite nella basilica di Myra, nell'attuale Turchia.

Accolta con entusiasmo, l’idea iniziò a concretizzarsi quando le navi giunsero ad Andryake.

A dare l’abbrivio al piano, fu un pellegrino, imbarcato su una delle navi, che s’incaricò di scendere a terra e perlustrare la zona. Compiuta la missione, ritornò con la notizia che Myra pullulava di soldati convenuti per rendere omaggio ad un capo di cui si stavano celebrando i funerali.

Scoraggiati, i marinai baresi, decisero di rinviare il loro intendimento e fecero vela verso Antiochia, dove appresero di un analogo progetto coltivato dai veneziani.

Si trattava, quindi, di una corsa contro il tempo e contro i marinai della Serenissima.

Accelerate tutte le operazioni, i baresi, a metà aprile, levarono l’ancora per poi buttarla ad Andryake, dove vennero mandati in perlustrazione due passeggeri che, al loro ritorno, portarono la notizia che i soldati avevano lasciato la città.

Data la situazione, non si poteva perdere tempo. Venti marinai rimasero a presidio delle navi, mentre altri quarantacinque, armati di tutto punto, si misero sulla strada per Myra.

Giunti nella basilica, custodita dai monaci di rito greco, i baresi con modi piuttosto spicci manifestarono le loro intenzioni. Rotta la lastra sepolcrale, uno dei componenti la spedizione iniziò ad afferrare le ossa di san Nicola dalle quali si sprigionava un intenso profumo.

Scappati a gambe levate, i marinai fecero appena in tempo a salpare prima che una folla inferocita giungesse al porto.

I perigli, però, non erano ancora finiti ed il viaggio di ritorno iniziò a presentare innumerevoli difficoltà.

Negli equipaggi iniziò a circolare l’ipotesi che qualcuno si fosse impossessato di una reliquia.

I comandanti delle navi imposero ad ognuno di giurare sui Vangeli, di non aver commesso il furto. In cinque confessarono e restituirono le reliquie, dopodiché la navigazione riprese senza intoppi.

A portare a Bari la notizia dell’esito positivo della missione, furono alcuni messaggeri, inviati mentre le navi si trovavano nel porto di San Giorgio.

Il 9 maggio, le reliquie di san Nicola giunsero finalmente nella città pugliese.

A questo punto, sorse il problema su dove custodire i sacri resti del vescovo di Myra. Dopo lunghe ed interrabili dispute, si decise di edificare una nuova chiesa in onore del Santo.

La costruzione venne portata a termine nel volgere di pochissimo tempo. Nel 1089, infatti, papa Urbano II, accompagnato dai cavalieri normanni, i nuovi signori della Puglia, consacrava la cripta ponendo le ossa di san Nicola sotto l’altare, dove sono custodite tuttora.

Di questa storia, vecchia di oltre mille anni, sopravvivono ancora alcune usanze. Una delle più singolari è quella legata alla donazione di un panino ai fedeli.

La tradizione risale al 1087, quando l’abate Elia fondò un ospizio per i pellegrini poveri cui venivano offerti due pernottamenti e tre pasti gratuiti.

Quando, con l’unità d’Italia, la basilica perse i suoi feudi, il pranzo venne ridotto a un semplice panino. La tradizione si è progressivamente diffusa in tutti i luoghi in cui si venera san Nicola, a tal punto che, ancora oggi, nel giorno della festa il panino viene distribuito ai fedeli che lo riportano a casa come oggetto di devozione.

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Filogaso e l'antica fiera di san Nicola

Anche quest’anno si svolge  in paese, in occasione della ricorrenza della festa di San Nicola, una fiera che ha origini antichissime. Il Tango, nel suo libro del 1650  dal titolo “Apprezzo”, cosi descrive lo svolgimento della fiera : “In detta Terra una volta l’anno se fa’ una feria alli 6 di dicembre il dì di Santo Nicola, dove concorrono tutte le terre, e casali convicini à compra e vendere tutte sorti panni, e tele,  Ravagne di creta che si fanno a Soriano, et altre cose .”

La fiera si svolgeva in un ampio piazzale (un antico castrum) nei pressi della chiesa dedicata al Santo, distrutta completamente dal terremoto del 1783 e ubicata, sempre secondo il Tango, tra la porta d’ingresso di Panja e la chiesa di S.Antonio Abate.

 I commercianti in tempi anche recenti, nel rispetto di quella tradizione, vendevano  le stesse mercanzie descritte dal Tango.

C’erano quelli che vendevano generi alimentari, tessuti, vasi di terracotta, oggettistica varia; e quelli che vendevano bestiame (pecore, maiali, vitelli, buoi, ecc ..).

Le persone accorrevano, come allora, dai paesi vicini sia per comprare la merce esposta, sia per venerare il Santo. Un culto molto sentito e diffuso tra gli abitanti del paese, anche se gli studiosi come Gerardo Marchese non sono riusciti a trovare nessun dato circa le origini di tale festa e venerazione per il Santo.

Ancora oggi, a distanza di tanti secoli, i ”filogasesi “ venerano e tramandano la tradizione, anche se, a causa dello spopolamento e delle mutate condizioni socio-economiche, la fiera non ha più l’importanza di un tempo.

Oggi le bancarelle sono poche e vendono solo dolci, tuttavia, la Fiera mantiene intatto lo spirito religioso e l’usanza di un tempo. I cittadini  comprano i torroni ed i mostaccioli tipici di Soriano dalle bancarelle allestite lungo il corso per regalarli ai propri figli.

Noi bambini di allora, al contrario di quelli di adesso, aspettavamo quel giorno con gioia per assaggiare quei dolci tipici “sorianesi “sapendo che per assaggiarne altri bisognava aspettare le feste natalizie.   

 

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San Nicola, la Calabria e il ratto delle reliquie

Auguri a tutti i tantissimi Nicola. Il santo è detto di Bari per la venerazione e la trasudazione miracolosa, ma veneratissimo dovunque, come Nicola o Nicolò; e, per lunghe vie, la nordica Santa Klaus. Infatti, Nicola, quando era vescovo, compì uno strano atto di beneficenza, penetrando di notte in casa di un padre snaturato che voleva prostituire le figlie, e portando loro la dote “per condurre ad onor lor giovinezza”, canta Dante. Dalle pulzelle, la leggenda passò ai bambini per altro miracolo, aver resuscitato tre infanti uccisi da un cannibale e già prossimi a essere mangiati. Gli scettici ed evemeristi ricorderanno il mito di Tantalo e Pelope.

 Ma le Reliquie di Nicola vengono da Mira in Anatolia, oggi Turchia. Partì da Bari una spedizione armata, e condusse le Spoglie a Bari. Partecipava anche un nobile Asciutti da Castelvetere, oggi Caulonia.

I Longobardi del duca, poi principe di Benevento inviarono da Salerno delle navi da guerra a Lipari per togliere agli Arabi le Reliquie di san Bartolomeo Apostolo. Lì erano giunte miracolosamente dal Mar Nero assieme ai santi Luciano e Pupieno, poi andati in Sicilia; e a noi san Gregorio Taumaturgo e sant’Agazio. Per varie vicende, le Reliquie dell’Apostolo finirono a Roma, dove si visita una chiesa di San Bartolomeo dell’Isola. I due “calabresi” sono a Stalettì e Squillace.

La spedizione più celebre è quella dei Veneziani per le Reliquie di san Marco. La cantò il d’Annunzio nella “Nave”. Riguarda anche questa la Calabria: quando tornavano costeggiando, i Veneziani incapparono in una tempesta, e vennero salvati da gente di Cropani. Per sdebitarsi lasciarono loro una rotula del santo, che sarebbe conservata nella Collegiata dell’Assunta; e Venezia concesse a Cropani la cittadinanza.

Possedere sacri resti è un fatto importante in sé, sia sotto l’aspetto religioso sia sotto quello di una sorta di protezione magica: merita perciò un’impresa di uomini coraggiosi e pii; e una vera operazione di guerra navale. I santuari e le città ne traggono vantaggi per l’accorrere di pellegrini e devoti: quello che oggi, più banalmente, chiamiamo turismo religioso.

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Spadola: entrano nel vivo i festeggiamenti in onore di San Nicola

Entreranno nel vivo sabato 6 agosto i festeggiamenti in onore di San Nicola di Bari in corso di svolgimento a Spadola. Ad animare la serata principale della festa più importante del borgo della Minerva, sarà il gruppo emergente degli “Amakorà” che, a partire dalle 21, porterà sul palco di piazza Ionadi le tipiche sonorità della musica tradizionale calabrese. Il concerto della band che si è aggiudicata il premio “Kaulon 2013” precederà lo spettacolo di fuochi pirotecnici. All’insegna della tradizione il programma di domenica 7 che inizierà alle 16 con i giochi popolari ed andrà avanti, alle 21, con la rappresentazione teatrale “Pee’ curpa du’ caputrenu”, portata in scena dalla compagnia “I commedianti”. A concludere la serata, sarà lo spettacolo pirotecnico della “Vaccaaredhjia”. Per quanto riguarda, invece, il programma religioso, a partire dalle 16 di giovedì 4, presso il cimitero, è prevista la celebrazione di una messa in memoria dei defunti. Dedicata agli infermi, invece, la giornata di venerdì 5 che inizierà, alle 16, con la celebrazione della messa e “l’amministrazione della manna di San Nicola agli ammalati” e proseguirà, alle 18,30 con la processione e l’accompagnamento della statua del Santo dalla chiesa Matrice a quella della Confraternita. Alle 18 di sabato 6 si svolgeranno, invece, i “Vespri solenni”. Per la giornata conclusiva di domenica 7, il programma prevede, infine, la messa, cui seguirà l’accompagnamento per le vie del paese del simulacro  di San Nicola. Al termine della processione i fedeli tributeranno l’ennesimo omaggio al Santo con la tradizionale “Marcia”.

La festa di san Nicola e la tradizione del panino ai fedeli

La Chiesa ha dedicato la data del 6 dicembre a san Nicola. Giunta in Italia in epoca bizantina, la devozione nei confronti del vescovo di Myra si diffuse in maniera capillare dopo il colpo di mano compiuto da un manipolo di marinai baresi. Le ossa del Santo vennero portate in Puglia in maniera piuttosto rocambolesca.

Nel marzo del 1087, tre navi cariche di frumento, partirono da Bari dirette ad Antiochia. Durante la navigazione sorse l’idea d’impossessarsi delle reliquie di san Nicola custodite nella basilica di Myra. Accolta, con entusiasmo, l’idea iniziò a concretizzarsi quando le navi giunsero ad Andryake

. A dare l’abbrivio al piano, fu un pellegrino, imbarcato su una delle navi, che s’incaricò di scendere a terra e perlustrare la zona. Compiuta la missione, ritornò con la notizia che Myra pullulava di soldati convenuti per rendere omaggio ad un capo turco di cui si stavano celebrando i funerali.

Scoraggiati, i marinai baresi, decisero di rinviare il loro intendimento e fecero vela verso Antiochia. Giunti in città scoprirono che alcuni veneziani stavano accarezzando lo stesso progetto. Si trattava, quindi, di una corsa contro il tempo e contro i marinai della Serenissima.

Accelerate tutte le operazioni, i baresi a metà aprile levarono l’ancora per poi buttarla ad Andryake, dove vennero mandati in perlustrazione due passeggeri che, al loro ritorno, portato la notizia che i turchi avevano lasciato la città. Data la situazione, non si poteva perdere tempo. Venti marinai rimasero a presidio delle navi, mentre altri quarantacinque, armati di tutto punto, si misero sulla strada per Myra.

Giunti nella basilica, custodita dai monaci di rito greco, con modi piuttosto spicci, i baresi manifestarono le loro intenzioni. Rotta la lastra sepolcrale, uno dei componenti la spedizione iniziò ad afferrare le ossa di san Nicola dalle quali si sprigionava un intenso profumo. Scappati a gambe levate, i marinai fecero appena in tempo a salpare prima che una folla inferocita giungesse al porto.

I perigli, però, non erano ancora finiti ed il viaggio di ritorno iniziò a presentare innumerevoli difficoltà. Negli equipaggi iniziò a circolare l’ipotesi che qualcuno si fosse impossessato di una reliquia. I comandanti delle navi imposero ad ognuno di giurare sui Vangeli di non aver commesso il furto. In cinque confessarono e restituirono le reliquie, dopodiché la navigazione riprese senza intoppi.

A Bari la notizia dell’esito positivo della missione, venne portata da alcuni messaggeri, inviati mentre le navi si trovavano nel porto di san Giorgio. Il 9 maggio, le reliquie di san Nicola giunsero finalmente nella città pugliese. A questo punto, sorse il problema su dove custodire i sacri resti del vescovo di Myra.

Dopo lunghe ed interrabili dispute, si decise di edificare una nuova chiesa in onore del Santo. La costruzione venne portata a termine nel volgere di pochissimo tempo. Nel 1089, infatti, papa Urbano II, accompagnato dai cavalieri normanni, i nuovi signori della Puglia, consacrava la cripta ponendo le ossa di san Nicola sotto l’altare dove sono custodite tuttora.

Di questa storia, vecchia di oltre mille anni, sopravvivono ancora alcune usanze. Una delle più singolari è quella legata alla donazione di un panino ai fedeli.

L’usanza risale al 1087, quando l’abate Elia fondò un ospizio per i pellegrini poveri cui venivano offerti due pernottamenti e tre pasti gratuiti. Quando, con l’unità d’Italia, la basilica perse i suoi feudi, il pranzo venne ridotto a un semplice panino. La tradizione si è progressivamente diffusa in tutti i luoghi in cui si venera san Nicola, a tal punto che, ancora oggi, nel giorno della festa il panino viene distribuito ai fedeli che lo riportano a casa come oggetto di devozione.

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Spadola ed i misteri del fuoco sacro di "Puricinedha"

Come da tradizione inizierà domani, con il rito di “Puricinedha”, la novena in onore di San Nicola, santo patrono di Spadola. All’imbrunire, il borgo della Minerva sarà avvolto dal fumo acre prodotto dalle fiamme che divoreranno i fantocci realizzati con la paglia. In un’atmosfera carica di suggestioni la serata, dominata da un icastico apparato sincretico, sarà, dunque, illuminata dal fuoco sacro di “Puricinedha”. Si tratta di una misteriosa ricorrenza in cui al sentimento cristiano si combina una rappresentazione liturgica che affaccia lo sguardo su culti di chiara derivazione pagana. Ogni rione, ricorrendo all’uso della paglia, allestirà fantasiose rappresentazioni che al crepuscolo verranno date alle fiamme. Il fuoco, quindi, elemento catartico e liberatore, sarà il protagonista indiscusso di un’usanza che riunisce un’intera comunità. Quanto il cerimoniale sia antico lo testimoniano le decine di indizi che lasciano ipotizzare una stretta filiazione con i riti in onore di Demetra, la versione greca di Proserpina, divinità romana della terra e del raccolto. Nei culti e nei sacrifici dedicati a Demetra un posto centrale era, infatti, riservato al fuoco. Quanto la vicinanza simbolica si avvicini al mito di Demetra lo testimoniano numerosi indizi, non da ultimo la carne di maiale, metafora della fertilità e protagonista indiscussa del desco allestito per l’occasione. Un mito, quello di Demetra, dal quale derivano anche i misteri di Eleusi, dal nome della città greca dove ogni anno, per nove giorni, venivano celebrati "i grandi misteri" descritti, tra gli altri, da Schurè ne “I grandi iniziati”. Singolarmente anche a Spadola i festeggiamenti che separano “Puricinedha” dalla festa in onore di San Nicola, durano nove giorni. Una manifestazione, quindi, di chiara derivazione pagana legata ai cicli agricoli ed alla divinità della terra. In tutta la cerimonia rivive quello che alcuni antropologi hanno definito lo “ spirito del grano”, liberato grazie all’impeto del fuoco. Un tempo, infatti, quando la paglia aveva un valore fondamentale era uso realizzare i vari personaggi con gli scarti della mietitura. Si tratta di una tradizione che ha forti richiami con quanto accade in alcune regioni agricole del nord Europa dove lo spirito, trasposizione della divinità, viene rappresentato da un animale, solitamente un gallo. Secondo alcune tradizioni descritte dall’antropologo James George Franzer, nei tempi remoti, il mietitore che falciava le ultime spighe nelle quali era custodita l'essenza dello spirito del grano, veniva sacrificato al fine di propiziare la rinascita del ciclo agricolo. All’apice del momento sacrificale era posto, infine, lo spargimento al suolo delle ceneri. Successivamente, all’ultimo mietitore, è stato sostituito un volatile che solitamente usa nascondersi nei campi. “In Transilvania – scrive Franzer, ne” Il ramo d’oro” - si lega un gallo vivo nell’ultimo covone e lo si uccide con uno spiedo; poi lo si spenna, si butta via la carne e si conserva la pelle e le penne fino all’anno dopo; a primavera si mescola il grano dell’ultimo covone alle penne del gallo e lo si sparge sul campo che dev’essere lavorato”. Un altro uso, parallelo a quello del sacrificio dello spirito, prevedeva che con le ultime spighe si facessero delle bambole di paglia che, a scopo propiziatorio, venivano tenute in casa. Una tradizione, quindi, che pur lontana dal suo significato originario, nell’epoca dell’informatica e delle grandi tecnologie, continua, ancora, a far rivivere le arcane suggestioni di un rito senza tempo.

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