Il salto di qualità della 'ndrangheta, da organizzazione criminale a spregiudicata holding economico-finanziaria

"La 'ndrangheta conferma le sue peculiarità rispetto alle altre organizzazioni criminali mafiose nazionali. La flessibilità della struttura di tipo orizzontale, a base familiare, legata alla tradizione ma pronta all'aderenza ai più diversificati contesti, ha consentito alla criminalità organizzata calabrese di trasformarsi, nelle sue forme più evolute, in una dinamica e spregiudicata holding economico-finanziaria. Tale strutturazione rende la 'ndrangheta meno vulnerabile all'azione di contrasto rispetto alle organizzazioni di tipo verticistico e le assicura anche spiccate capacità di ingerenza politico-amministrativa". E' quanto emerge dalla "Relazione annuale sulla politica dell'informazione per la sicurezza" consegnata dai servizi segreti italiani alle Camere. A differenza di Cosa nostra "alle prese con il ricambio dei vertici delle famiglie" e della Camorra che presenta due facce, "gangster in azione nel napoletano, profilo imprenditoriale nell'hinterland", la 'ndrangheta è stata capace di assumere un'organizzazione tale che le ha consentito di diventare  "una spregiudicata holding economico-finanziaria" con interessi ramificati sia in Italia che all'estero.

Gli omicidi al Nord ed i luoghi comuni sulla Calabria

Negli ultimi tempi sono accaduti alcuni fatti orrendi, quali l’uccisione della ragazzina Yara e quella della professoressa ingannata e strangolata… eccetera; e tutti accaduti nell’Italia Settentrionale e Centrale. Di tali omicidi viene dato ogni giorno amplissimo resoconto su tutti i giornali e tv eccetera, con dovizia di particolari pruriginosi.  Di Bossetti, presunto assassino e presunto figlio illegittimo, sappiamo ogni benché minimo particolare di cronaca rosa e nera. Della professoressa, anche di più. Se poi ci diamo alla fredda legge dei numeri, siamo indotti a concludere che il numero di delitti di sangue è nettamente superiore a Nord e Centro che a Sud; ma questo potrebbe spiegarsi con il divario di popolazione. Comunque, ne succedono tanti; e, ripeto, ce li raccontano in tutte le salse. Tutt’altro che silenzio stampa, dunque: però, prestate attenzione, ogni singolo caso viene affrontato come singolo caso. A nessuno viene a mente di sproloquiare che a Brembate o nella Bermagasca tutte le ragazzine vengano uccise da tutti i muratori abbronzati, e che la colpa sia del dominio veneziano o, prima, di quello visconteo. In Calabria è successo un caso torbido nell’ambiente degli spacciatori indigeni e zingari, a quanto pare: un pregiudicato e la sua convivente sono stati uccisi per immaginabili sporchi motivi; e con loro un bambino, che, con inopportuno nome de “il piccolo Cocò” è divenuto così noto da occupare larghissimi spazi sui mezzi di comunicazione, e divenire simbolo della mafia. E così larghi che si recò sul luogo il Santo Padre in persona. La mafia non c’entrava, a quanto pare, ma è un dettaglio. L’importante è che il mondo sa che forse uno di Brembate ha ucciso una ragazzina; ma sa che in Calabria vengono uccisi dalla mafia tutti i bambini, e perciò occorre la presenza del papa. Quello di Yara è un delitto isolato, quello di Cocò è un fatto universale. Perché accade questa distorsione? Le cause sono due:

  • -          la potenza dei luoghi comuni e delle frasi fatte nella penna e nella voce di giornalisti improvvisati e poveri di lingua italiana;
  • -          l’antimafia segue cena, cioè il fenomeno per cui ormai migliaia di calabresi campano, fanno soldi, acquisiscono fama e compiono carriere politiche, ostentando la lotta antimafia; a costoro serve la mafia, guai se non ci fosse la mafia! Infatti, appena si è saputo che sono stati gli zingari, Cocò è sparito anche dalle cronache locali.

 Non sarebbe ora di finirla, in Calabria, con tutti questi sciacalli, alcuni pochi in buona, i più in mala fede?

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Mafia e antimafia, ovvero l'immagine stereotipata della Calabria

Se violentano e uccidono una ragazzina in Lombardia, a nessuno viene a mente che i Lombardi abbiano il virginicidio per abitudine, ma tutti sperano di sapere se è stato Caio o Mevio; se succede una cosa qualsiasi in Calabria, la colpa non è di Mevio o Sempronio, è della Calabria. Uccidono una sfortunata ragazza? Ecco che la Chaouqui vomita sull’intera regione e sulle sue donne; e di predicozzo in predicozzo piace ai predicatori, e finisce, unica donna, in una commissione di preti. Poi finisce anche sotto processo, ma aspettiamo… L’ignoto presidente di un’ignota squadra di uno sport ignoto di Locri dice di aver trovato sull’auto dei bigliettini più o meno minacciosi, e una gomma non è chiaro se tagliata come si disse prima o solo sgonfia o sgonfiata come si disse poi. Il succo sarebbe che qualcuno vorrebbe, secondo il presidente, la chiusura della detta squadra. Egli la ritira, si ritira, l’affida al sindaco… e noi, che non ce la beviamo tanto, aspettiamo le indagini. Ma siamo in Calabria, e si scatena subito la nostra anima barocca, con il corteggio di manifestazioni, interviste, marce, notorietà improvvisa degli ignoti. Repubblica, quotidiano di enorme diffusione nazionale, si fionda subito – ognuno ha la sua Chaouqui – e scopre la verità: la mafia è misogina, odia le donne, le vuole chiuse in casa. Elementare, vero? Intanto si cercano nuovi proprietari (come mai proprietari, se a dimettersi è il presidente? boh!); un avvocato che vive a Roma propone l’affare a degli amici, i quali mostrano, pare, di essere interessati, però, come è banale, vogliono vedere le carte. Il presidente uscente non consegna le carte, e spiega ciò con il rispetto della “privacy”. Gli interessati lo mandano, giustamente, a frasche. Tutta la Calabria comincia a sentire olezzo, tranne gli antimafia segue cena e di mestiere che invece hanno deciso che è stata la mafia. Così tutta Italia sa che la mafia minaccia le ragazze di Locri. Non è emerso da alcuna indagine, non c’è alcuna prova, non si sa niente… ma l’opinione pubblica e giornali e tv non amano l’analisi, corrono subito alla sintesi e ai titoloni. Qual è la sintesi, in Calabria? Che qui c’è una realtà sola: la mafia. In antitesi, l’antimafia. Basta, non c’è altro: storia, arte, letteratura, lavoro, mare, amori, odi, pettegolezzi… insomma, tutto ciò che costituisce una qualsiasi comunità umana? Niente, solo mafia; con qualche contorno di arretratezza, violenza e tristezza, il tutto in dialetto con i sottotitoli. Perché la Calabria non reagisce a questa sua identificazione con la mafia? Ma perché un 5% appartiene alla mafia; e un buon 40% prima o poi campa, anche lautamente, con l’antimafia. E l’altro 55%? Sono quelli, ma anche il 40, in privato, che in privato mi danno ragione; però, che vuoi… A proposito: non è che a Milano pensino alla mafia vera, quella del traffico mondiale di droga, delle banche… no, poveracci, e per colpa nostra, pensano che la mafia sia che io appena esco di casa vengo rapinato dei 20 € che mi porto dietro. E che io esca in un posto senza donne, tutte chiuse negli harem e violentate. Tranne la Chaouqui, ovviamente, che è molto emancipata. 

 

 

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Locri calcio a 5: e se la mafia non c'entrasse nulla?

MI faccio interprete di numerosi commenti che in vario modo esprimono qualche perplessità sul caso delle fanciulle di Locri minacciate, elle o chi per esse, dalla mafia. O così dicono, e così subito ripetono il Governo nazionale, l’Amministrazione regionale, vari politici, e un mare di opinionisti politicamente corretti, e, consentitemi, piuttosto frettolosi. La grande stampa si è fiondata come avvoltoi sui cadaveri, e che cosa le è venuto a mente? Che si tratta della misoginia calabrese: eh, mi pare il famoso articolo della Chauoqui, oggi a rischio di galera vaticana! Secondo loro, la mafia non vuole che le ragazze… eh, amici miei, quant’è brutta l’ignoranza, se Repubblica ignora il matriarcato della Locri greca, e la poetessa Nosside eccetera. Tradizione mai interrotta: nel dubbio, v’informo che mia madre di Siderno, km 4 da Locri, giocava a calcio durante il Sabato fascista degli anni 1930. Gli antifascisti borbottavano, ma l’allora solo pittoresca e sparutissima mafia non trovò nulla di cui interessarsi al proposito. Intanto è stato universalmente deciso che le minacce alla squadra locrese sono di origine mafiosa. Così, alla grossa, senza uno straccio di indagini, senza una prova, senza che i minacciati siano stati interrogati da un giudice, da un maresciallo… E tutti gli antimafia sono solidali. Beati loro, che sono sempre così sicuri! Io invece non sono mai sicuro di nulla, anzi so che dubium initium sapientiae, cioè che è sempre meglio dubitare. Ciò è vero in genere, ma dovrebbe essere il minimo indispensabile, quando si tratta di reati e roba simile. Se io dico di essere minacciato, intanto devo sporgere denunzia; poi bisogna che aiuti le indagini, dichiarando come mai ritenga di essere minacciato, e da chi. Esempio: alcuni anni fa io subii il taglio proditorio di due gomme dell’auto. Siccome si sapeva in paese di un imbecille uso a questi scherzi, e che la cosa spiacevole era accaduta anche a vari concittadini apolitici e di indole più mite della mia, non mi sfiorò l’idea che fosse una minaccia o un’intimidazione; e mi limitai a invocare sul tristanzuolo un semestre ininterrotto di mal di denti: arài, in greco; defixio, in latino; jestima, in dialetto calabrese; e spero di cuore gli sia accaduto. Trattavasi, infatti, di mascalzoncello senza alcuna connotazione mafiosa o politica. Orbene, può darsi che le minacce siano genuine e mafiose, come può darsi siano frutto di un cretinetti qualsiasi, un mitomane, uno sfaccendato. Nel primo caso, bisogna assumere tutti i provvedimenti del caso; nel secondo, ci si ride sopra. Chi deve stabilire se è il primo o il secondo caso? Beh, la Magistratura, la Compagnia dei CC, il Commissariato di PS… Non certo i giornalisti o gli antimafia più o meno dilettanti o di mestiere, i quali non hanno gli strumenti e i metodi per compiere indagini ed emettere sentenze. Peggio, tutti questi estemporanei interventi rischiano di costituire un fosco polverone che copre ogni paesaggio chiaro e non chiaro. Per dirne una, se la minaccia si rivelasse un equivoco… e dico solo questo, la folla di ministri e sacerdoti e dotti e conferenzieri non sarà certo d’aiuto a un giudice che volesse impiparsene della retorica e fare solo il suo banalissimo dovere. Come fa, un giudice, ad assolvere, eventualmente, la mafia? Oppure a condannarla, s’intende: ma solo dopo le indagini. In dubiis, pro reo: non è garantismo peloso di recente invenzione, è un antichissimo principio di diritto romano. Intanto, in bocca al lupo alle fanciulle calciatrici, epigone, senza saperlo, della squadra di mia madre.  

 

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Aziende confiscate alle mafie: la Calabria si piazza al terzo posto

La Calabria è la terza regione d’Italia (12%) per numero di aziende confiscate alle mafie in via definitiva: è preceduta da Sicilia (33%) e Campania (23%) ed è seguita, a sorpresa, dalla Lombardia (11%). In tutto, sono state confiscate 2.292 aziende. La particolare graduatoria, scaturita da un’elaborazione sugli ultimi dati disponibili, del luglio 2015, dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati è stata illustrata oggi alla Camera di commercio di Milano, durante il convegno “Buone prassi per contrastare l’economia illegale: l’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati alle mafie”. I lavori sono stati avviati dal componente di giunta della Camera di commercio di Milano Massimo Ferlini che ha spiegato che “Legalità e sicurezza sono alla base di un’economia e di imprese sane. Conoscere le dimensioni e caratteristiche del fenomeno criminale – ha asserito - è uno strumento utile per combattere l’illegalità che rappresenta oggi un costo significativo per l’economia e limita la crescita e competitività delle imprese del nostro territorio. In questa direzione si muovono anche iniziative come lo sportello RiEmergo che la Camera di commercio mette a disposizione delle imprese più in difficoltà per sostenerle nel processo di denuncia e affrancamento da situazioni di illegalità”. Rilevanti anche le parole di Roberto Alfonso. “L’obiettivo della legislazione sulla confisca e il sequestro dei beni – ha specificato il procuratore generale del Tribunale di Milano – è quello di restituire alla collettività ciò che il crimine le ha sottratto. In questa direzione va il costante impegno delle istituzioni che ha permesso di raggiungere in questi anni straordinari risultati rispetto alle attese degli anni '90. Un passo ulteriore – ha concluso - ci attendiamo dalla modifica al Codice Antimafia attualmente in approvazione in Parlamento”.

Amministratori sotto tiro: una minaccia ogni giorno. I sindaci calabresi fra i più colpiti

Gli amministratori locali sono sempre più sotto tiro. Auto incendiate, lettere contenenti minacce e proiettili, spari alle abitazioni, uso di esplosivi, sempre più aggressioni verbali e fisiche. Tentati omicidi. Alcuni sindaci, anche del Nord, costretti a vivere sotto scorta. Altri che si sono dimessi per paura o pensano di farlo perché avvertono un profondo senso di solitudine e la lontananza delle istituzioni. Il rapporto 2014 di “Avviso Pubblico” presenta dati agghiaccianti relativamente alle intimidazioni e alle minacce a cui sono soggetti tante donne e uomini che ricoprono un incarico pubblico su mandato dei cittadini.

Sono 361 gli atti di intimidazione e di minaccia nei confronti di amministratori locali e funzionari pubblici censiti da “Avviso Pubblico” per l’anno 2014, il 3% in più rispetto al 2013. Un numero impressionante. Una media di 30 intimidazioni al mese. Praticamente una ogni 24 ore. E questi, sono soltanto i fatti di cui si è venuti a conoscenza consultando una molteplicità di fonti di stampa, sia nazionale che locale. Il fenomeno, per l’anno 2014, ha interessato 18 regioni, 69 province e 227 comuni, a dimostrazione di come, seppur in modo quantitativamente differenziato, quello delle minacce e delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali e del personale della PA sia un fenomeno che ha assunto un carattere nazionale.

È ancora una volta il Sud d’Italia con il 74% dei casi – sommando anche il dato delle isole – l’area geografica dove gli amministratori locali e il personale della PA risultano maggiormente esposti. Segue l’area del Nord Italia con il 14% dei casi – ottenuto sommando Nord Est e Nord Ovest – e il Centro Italia con il 12% dei casi. A livello regionale, il primato degli atti intimidatori e minacciosi nei confronti degli amministratori locali e del personale di PA per il 2014 spetta alla Sicilia – 70 casi, pari al 20% del totale – seguita dalla Puglia – che l’anno scorso aveva il primato della classifica e che nel 2014 ha fatto registrare 54 casi, pari al 14% del totale – dalla Calabria e dalla Campania, entrambe con 52 casi, pari al 14% del totale. Seguono le regioni del Centro-Nord, tra cui: il Lazio (8%), la Lombardia (4%), il Veneto e la Liguria (3%). La Sardegna si colloca al sesto posto della classifica nazionale con il 6% del totale dei casi censiti, rispetto al quarto posto registrato nel 2013. A livello provinciale, il primato degli amministratori sotto tiro spetta ad una provincia campana, quella di Napoli (29 casi), seguita da quella di Palermo (28 casi), Cosenza e Roma (19 casi), per concludere con quella di Foggia (15 casi). 

In relazione alle tipologie di minacce e intimidazioni, come avvenuto per le passate edizioni del Rapporto, si è operato una distinzione tra minacce dirette e indirette. Le prime sono da intendersi come rivolte direttamente alle persone che in un determinato periodo storico della loro vita ricoprono un incarico politico o amministrativo. Le seconde, invece, sono riferite a mezzi e strutture pubbliche ovvero a parenti e collaboratori di persone colpite direttamente. 

Dall’analisi degli episodi riportati nella cronologia del Rapporto è risultato che la maggior parte delle minacce e delle intimidazioni sono soprattutto dirette – 83% dei casi – ed hanno come bersaglio gli amministratori locali – 73% dei casi – e, tra questi, in particolare: i Sindaci (47% dei casi), seguiti dagli assessori (25%) dai consiglieri (19%) – in particolare, capigruppo di forze politiche – per finire con i vice Sindaci (5%) e i presidenti/vice Presidenti dei consigli comunali. Nell’analisi dei dati, si è potuto constatare come ad essere oggetto di atti intimidatori siano stati non solo amministratori locali di città di medio-piccole dimensioni, ma anche Sindaci di città capoluogo come: Catania (Enzo Bianco), Livorno (Alessandro Cosimini), Lucca (Alessandro Tambellini), Monza (Roberto Scanagatti), Palermo (Leoluca Orlando). A Firenze, è stato colpito l’allora Vicesindaco e attuale primo cittadino Dario Nardella; a Venezia il Vicesindaco, Sandro Simionato. Un atto intimidatorio è stato compiuto anche nei confronti del Presidente della Provincia di Salerno, Antonio Iannone e di quello della Provincia di Barletta-Andria-Trani, Francesco Spina. Tra il personale non politico minacciato direttamente, il 13% dei casi riguarda dirigenti, funzionari e impiegati della PA. Si tratta, in particolare, di comandanti e agenti di Polizia municipale; di responsabili degli uffici tecnici, del personale, dei servizi di fornitura dell’acqua e della raccolta e trattamento rifiuti; di assistenti sociali; di commissari prefettizi che amministrano comuni sciolti per mafia; di commissari straordinari e presidenti di enti; di responsabili degli uffici stampa.

Nel corso del 2014, la principale forma di intimidazione e di minaccia a cui si è ricorso contro gli amministratori locali e il personale della PA è stato l’incendio – 31% dei casi – così come nel 2013. Nella maggior parte dei fatti censiti, le fiamme sono state appiccate di notte ed hanno distrutto automobili di proprietà personale (64% dei casi), oltre che mezzi dell’amministrazione pubblica (17%), strutture e uffici pubblici (10%). A fuoco sono andate anche abitazioni di amministratori, attività commerciali e aziende di loro proprietà (9%). Gli incendi non solo hanno causato dei danni ingenti ma, in alcuni casi, hanno messo in pericolo la vita di persone che vivevano in abitazioni sotto le quali erano state parcheggiate le auto oggetto degli atti vandalici, generando paura e terrore non solo per i diretti interessati ma, altresì, per la popolazione che abita nelle vie o nei quartieri dove i fatti sono avvenuti. Insieme al fuoco, si è ricorsi a danneggiamenti delle auto di proprietà personale, mediante il taglio degli pneumatici, la rottura della carrozzeria oppure sono stati tagliati alberi da frutto situati in terreni di proprietà privata. Sono stati danneggiati e saccheggiati palazzi pubblici – com’è accaduto a Palagonia (Ct) – e sono state redatte delle scritte minacciose sui muri di palazzi pubblici. Un’altra modalità a cui si è ricorso per minacciare e intimidire amministratori locali e personale della PA è quella che abbiamo definito “minacce scritte”. In questa categoria, rientrano le lettere contenenti minacce, anche di morte (46% dei casi); lettere che, insieme ad uno scritto, contengono anche dei proiettili (calibro 7,65, 38, 357 magnum, pallottole di fucile, ecc.), o delle polveri – a ricordare il pericolo antrace durante gli attacchi terroristici dei primi anni 2000 – o una foto della persona che si vuole minacciare con segni (es. croci) e simboli (32% dei casi); lettere diffamatorie; messaggi minacciosi e intimidatori inviati via fax o postati sui profili Facebook. 

Rispetto al 2013, lo scorso anno sono quadruplicati i casi di aggressione fisica (12%), che si sono tradotti in agguati compiuti soprattutto da parte di singole persone che hanno dato schiaffi, tirato pugni, bastonate e spintoni agli amministratori locali, non solo in luoghi pubblici – lungo strade, vie o piazze, magari al termine di un comizio pubblico – ma anche all’interno degli uffici comunali. Raddoppiati rispetto al 2013, risultano i casi in cui si è fatto ricorso ad armi e ordigni (8% dei casi). Per quanto concerne le armi, queste sono state impiegate per sparare contro case e auto personali, contro mezzi e uffici pubblici (es. Municipi). Gli ordigni impiegati sono stati di vario tipo: bottiglie molotov, petardi, bombe carta, veri e propri esplosivi, come avvenuto nel caso di un assessore del Comune di S. Vito dei Normanni (Br). L’uso di ordigni si è registrato in Calabria (provincia di Cosenza), Campania (provincia di Napoli e Caserta, in particolare, in quest’ultimo territorio, contro la Sindaca di Recale) e Puglia (in provincia di Brindisi e di Taranto).

Nella maggior parte dei casi è da sottolineare come siano rimasti ignoti i soggetti che hanno messo in atto gesti di intimidazione e minaccia verso amministratori locali e personale della PA. Questa situazione testimonia, da una parte, come l’impunità sia tutt’oggi un tratto distintivo di questo fenomeno e, dall’altra, come le modalità di protezione di donne e uomini che in certi contesti operano in qualità di amministratori pubblici sia da ripensare nelle sue forme e modalità di attuazione. Un altro dato che merita di essere portato all’attenzione è la ripetitività degli atti di intimidazione e di minaccia. Nello specifico, si fa riferimento al fatto che, in determinati territori – in particolare al Sud – alcuni amministratori locali sono diventati dei bersagli in più situazioni, sia durante il 2014 che nel passato. Analizzando i fatti riportati nella cronologia del presente Rapporto, si può constatare che quando le autorità competenti sono riuscite a rintracciare dei responsabili, si è trattato per lo più di persone che vivevano condizioni di vita particolari. Trattasi, ad esempio, di disoccupati o persone che hanno perso il lavoro e non riescono a ricollocarsi, persone che chiedono sussidi pubblici, tossicodipendenti, persone sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio, pregiudicati, sorvegliati speciali, soggetti che nutrono un sentimento di odio verso migranti o nomadi. A minacciare, in certi casi, sono stati anche dipendenti pubblici – o di imprese che avevano appalti con i Comuni – nei confronti dei quali si stavano per prendere, o sono stati presi, dei provvedimenti disciplinari. Minoritarie sono risultate le situazioni in cui è stato accertato, o è possibile ipotizzare, l’intervento di personaggi legati al mondo mafioso.

 

TIPOLOGIA DI MINACCE E INTIMIDAZIONI

MINACCE VERBALI

 

• Minaccia telefonica

• Minaccia verbale con arma in pugno (es. coltello)

• Insulto verbale in luogo pubblico (strada, bar, uffici, ecc.)

 

MINACCE SCRITTE

 

• Biglietto con minacce su parabrezza di auto personali

• Lettera con minacce (anche uso di espressioni dialettali locali)

• Lettera con minacce e proiettili (calibro 22, 38, 357 Magnum, scacciacani, da carabina) 

• Lettera diffamatoria

• Lettera con minacce e foto

• Lettera con minacce e polvere

• Minaccia mediante invio di fax

• Minaccia attraverso social network

• Scritte minacciose sui muri di abitazioni personali o di uffici pubblici

 

AGGRESSIONE FISICA

 

• Aggressione fisica (da parte di singoli o di gruppi di persone): calci, pugni, schiaffi, spintoni, bastonate, uso di coltelli, tentato investimento con auto

• Tentato omicidio (Accoltellamento, tentativo di investimento con auto)

 

USO DI ARMI DA FUOCO

 

• Spari a case e auto personali

• Spari contro edifici pubblici

• Spari contro mezzi pubblici

 

USO ORDIGNI 

 

• Uso di ordini: bottiglie molotov, petardi, bombe carta, esplosivi

 

 

INCENDI

 

• Incendio abitazione, attività, proprietà e auto personali

• Incendio auto di congiunti/parenti

• Incendio ufficio pubblico

• Incendio mezzo pubblico

• Incendio oggetti davanti abitazioni personali

• Incendio oggetti davanti edifici pubblici

• Incendio discariche

 

DANNEGGIAMENTI

 

• Danni alla carrozzeria di auto di proprietà personale

• Danni a edifici pubblici

• Taglio pneumatici auto personali o dell’ente 

• Taglio di piante da frutto di proprietà personale

 

ALTRO

 

• Affissione manifesti funebri con nome di amministratori viventi

• Busta con proiettili spedita via posta

• Busta con polvere spedita via posta

• Collocazione di proiettili in uffici pubblici (davanti e dentro)

• Collocazione di proiettili in uffici elettorali

• Deposito di animali morti, o di parti del loro corpo, davanti  ad abitazioni personali o uffici pubblici

• Entrata in abitazione senza eseguire furto

• Escrementi nei pressi di uffici pubblici

• Falso allarme bomba comunicato a mass media in forma anonima

• Furto in uffici pubblici 

• Lumini cimiteriali lasciati davanti casa

• Manomissione di computer 

• Manomissione di mezzi pubblici (es. auto di rappresentanza del Sindaco) 

• Minaccia di utilizzare acido per sfigurare volto

• Pagine di giornale con disegnate bare e con scritti necrologi

• Scritta minacciosa su strisce pedonali

• Stalking

• Uso abusivo e illegale di microspie

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Orlando: "La'ndrangheta e'sempre piu' forte al Nord e oltre confine"

"La mafia si è sicuramente indebolita, ma altre organizzazioni criminali come la camorra e la 'ndrangheta si sono rafforzate soprattutto al Nord e oltre i confini nazionali". A dichiararlo, il ministro della giustizia Andrea Orlano, intervenendo alla cerimonia  svoltasi a Palermo per ricordare la strage di via D'Amelio nella quale il 19 luglio 1992 vennero assassinati il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. "E' fondamentale, quindi, fronteggiare le mafie nelle terre di origine - ha aggiunto - ma anche rafforzare la cooperazione internazionale contro le organizzazioni criminali".

Catturato in Calabria un latitante mafioso condannato per omicidio

E' stato catturato un uomo di 50 anni considerano dagli inquirenti tra i personaggi che rivestono un ruolo apicale nella cosca catanese dei Cappello. Personale della Direzione investigativa antimafia del capoluogo etneo, supportato dai colleghi di Torino e di Catanzaro, lo ha arrestato nelle vicinanze di Rossano Calabro, in provincia di Cosenza. Paolo Balsamo era in stato di latitanza da giugno e deve scontare una condanna a 30 anni di carcere perché ritenuto responsabile di associazione mafiosa ed omicidio. Dopo essere riuscito ad evitare di finire in manette il mese scorso, è stato scovato mentre era in compagnia di alcune persone calabresi su cui gli inquirenti stanno adesso indagando per capirne il ruolo a 

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