I surianiti, il libro di Gaetano Luciano presentato a Vibo Valentia

“I Surianiti sono sospesi tra il passato e il presente, i Sorianesi sono quelli che amano il rischio, che si proiettano nel futuro; i Surianiti sono quelli legati al “casciuni”, mentre i Sorianesi sono quelli legati alla valigia. I primi non muovono un passo. Hanno bisogno di sicurezze. Il “casciuni” è per loro il passato, il presente e il futuro. I Sorianesi amano la valigia, vogliono camminare veloci. Sono liberi dalla nostalgia. Conoscono il presente e hanno sognato il futuro… “Casciuni” e valigia possono coesistere”.

Ma i “Surianiti per la loro arte di mercanti, devono essere abili improvvisatori di bugie. Fa parte del loro imprinting culturale”. In queste pennellate si coglie l’affresco che Gaetano Luciano ci ha lasciato nel suo libro postumo, “I Surianiti” (Edizioni Adhoc). Il testo verrà presentato lunedì prossimo, 19 novembre, nella sede della Camera di Commercio (Sala Murmura) a partire dalla ore 17,30. Discuteranno dei contenuti Vito Teti (antropologo, Unical), lo scrittore Francesco Bevilacqua e Giuseppe Battaglia (geriatra). Coordina i lavori Nicola Rombolà (vicepresidente della Delegazione Vibonese di Italia Nostra). L’iniziativa è organizzata dalle Edizioni Adhoc e da Italia Nostra (sezione di Vibo Valentia) e sostenuta dalla Fondazione Lico.

Nella sua concezione e struttura il libro può essere letto come un racconto, un memoriale, un’autobiografia romanzata, ma principalmente, alla luce della sorte dell’autore, che ha vissuto gli ultimi mesi della sua esistenza nella disperata lotta contro la malattia che gli ha tolto la vita, diventa una sorta di inconsapevole testamento spirituale. Dentro si coglie una voce corale che scava nella memoria collettiva.

L’autore rievoca la storia dell’origine della sua famiglia attraverso la figura del padre Nino e della madre Vittoria, in cui si intreccia, in modo quasi fiabesco, il magico mondo di un’intera comunità mai paga di operare e di intraprendere nuove esperienze, come la storia del padre Nino che da pasticcere, appartenente alla corporazione dei “mastazzolari” o “mustacciolari”, abbandona questa antica tradizione per entrare in quella della corporazione dei pellai, “i cinonari”.

Di fronte ad una società, quella del secondo Novecento, in continuo movimento, anche la comunità degli artigiani e dei mercanti di Soriano si apre ai mutamenti, nonostante fosse forte il legame con la tradizione.

Ne viene fuori uno spaccato della millenaria storia di Soriano, che parte dagli anni Venti, fino a quando lentamente lascia il posto alla mutazione sia antropologica che economica, come accade al protagonista Nino, quando una mattina del mese di luglio del 1983 si ritrova con Amedeo Luciano ritornato dagli States.

I due rievocano il passato e Nino capisce che i “Surianiti sono come il vento, non riescono a stare fermi, si muovono velocemente da una parte all’altra”. Infine, a mo’ di coda morale del libro, Nino al figlio rivolge queste parole gnomiche, che racchiudono la sua esperienza: “Quanto sta succedendo ad alcuni mercanti della nostra antica patria dimostra che la tradizione e l’innovazione possono camminare insieme speditamente. I figli “d’u lisciato e d’u percurejieu” hanno fatto questa operazione e sono diventati dei buoni imprenditori. Hanno ereditato un “casciuni”, ma hanno comprato una valigia con cui viaggiare e conoscere il mondo della loro professione.

Sono rimasti “surianiti” e nel contempo sono diventati “sorianesi”. Altri cominciano a pensarla allo stesso modo. Penso che questa sia l’unica strada per fare rivivere Soriano”.

Sono una serie di fotogrammi che documentano l’intraprendenza che ha caratterizzato la comunità di Soriano, ricca di vitalità e di umanità. Viene fuori un mosaico con tante tessere, che ha come protagonisti uomini, prodotti e “professioni” che animavano le varie corporazioni. Dai famosi “mustacciolari”, ai “cinonari”, ai “canestrari” e tante altre attività, come mulattieri, “scarpari”, “sportejieri”, “cretari”, “giarrari”, “funari”, “cordari”, “capizzari”, sellai, filatrici.

È un proliferare di personaggi e di attività raccontati con una freschezza di immagini e di ritratti che rievocano un mondo scomparso, rimasto scolpito nella sua memoria e nella memoria dei tanti archivi viventi di Soriano. Emerge una lunga storia che affonda le radici nella civiltà bizantina con i monaci basiliani, sopraffatti dai Domenicani dopo la costruzione del monumentale Convento (1510), che impongono la loro egemonia sia culturale che economica, finché il terremoto del 1783 non rimette tutto in gioco.

In questo appassionato testo viene fuori un’importante ricostruzione storico-antropologica e sociale che vede come principale protagonista il padre, Nino, attorno alla cui figura si dipana il filo dei ricordi. Luciano non solo descrive ma racconta, rievoca, fotografa, ricrea un ambiente, come in un film d’altri tempi, con tratti veloci, e dà vita ai sentimenti che fanno parte integrante della storia di una comunità.

Allarga lo sguardo in una sorta di campo lungo e restringe l’obiettivo per cogliere le emozioni e i sentimenti, cercando di salvare dalle macerie attuali la linfa di umanità che scorreva prima della mutazione antropologica che ha trasformato il tessuto umano e sociale dell’intero Paese.

Una storia locale che si allarga in quella nazionale e internazionale, e che vede protagonisti i nostri migranti. Dentro questa epopea, scorre il sangue della famiglia di Gaetano Luciano, a partire dal nonno, in una sorta di lessico familiare, di diario romanzato, raccontato e trasfigurato con uno stile misurato e carico di colori, senza cedimenti al sentimentalismo, capace di far fiorire nei personaggi caratteri, esperienze, visioni ed emozioni, attraverso una tecnica antica, quello della memoria orale, recuperando tanti termini gergali.

Dentro la storia familiare si riflettono tante altre piccole e grandi storie, fatte di umana semplicità, ma in cui si avverte l’eco degli avvenimenti della Grande storia. Siamo in presenza, come accade in “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg, in una autobiografia trasfigurata in cui l’io narrante è riflesso nello specchio dei suoi genitori, ma anche nel riflesso di tutti gli altri protagonisti che ruotano attorno alla sua famiglia.

La scomparsa del prof. Gaetano Luciano, per tutti “Ninì”, avvenuta il 20 novembre dello scorso anno, ha suscitato una grande risonanza di cordoglio in tutto il mondo intellettuale, politico e culturale del Vibonese, per il suo impegno profuso con passione politica e responsabilità etica e civile, per il riscatto culturale del territorio, a partire dalla grande stagione del ’68, che lo ha visto protagonista come leader della sinistra extraparlamentare in Calabria a cavallo degli anni ’70.

Successivamente eletto vicesegretario regionale del Partito socialista italiano, ha partecipato attivamente alla vita politico-amministrativa della città di Vibo e rappresentando un punto di riferimento per quelle istanze che si richiamavano ai valori fondanti del socialismo e della Costituzione.

Esemplare il suo libro di testimonianza, “Le vie del vento o le rivoluzioni sognate. Cronache della Calabria 1978-1973”, pubblicato nel 2007, che racconta quel periodo entusiasmante, carico di aspirazioni e ambizioni, che ha infiammato le nuove generazioni di tutto il mondo, con i suoi tanti personaggi protagonisti che hanno operato nel Vibonese e in Calabria.

Altro libro che ha testimoniato il suo impegno anche sindacale, è quello sulle sorti del cementificio di Vibo Marina, dal titolo “Raccontare il lavoro”, in cui la responsabilità politica si è declinata nella grande questione meridionale e nel destino di uno dei comparti che hanno per anni contrassegnato la grande sete di lavoro, ma anche la crisi del settore. Emerge ancora una volta, la denuncia di un capitalismo rapace che depredato il territorio e che ha lasciato solo macerie e scempi ambientali.

L’ultima fatica letteraria è stato il pamphlet “La città degli accomodamenti” (2015), una denuncia del degrado culturale e politico di Vibo Valentia, osservata con gli occhi di un “historeo”, di un testimone oculare che si accorge dell’incuria dei beni civili, culturali e collettivi, e ne documenta la miopia della politica e della classe dirigente che non hanno saputo dare un futuro alla città, attenta solo agli “accomodamenti”.

Tra i numerosi scritti che lascia, insieme a un’eredità importante di impegno intellettuale per la conoscenza e interpretazione storico-culturale del territorio regionale e provinciale, si ricordano “Viaggio nel ’68 in Calabria” (1990) e“Uomini in politica a Vibo Valentia” (1994).

Ma trai i tanti impegni e passioni che ha coltivato con instancabile responsabilità etica e civile e che hanno contrassegnato la sua storia, un posto importante Luciano l’ha riservato alla lotta per la salvaguardia dei beni ambientali e storico-culturali nella qualità di presidente della Delegazione Vibonese di Italia Nostra, che ha rivestito per oltre un quindicennio. Suo punto di riferimento la straordinaria opere del fondatore di Italia Nostra, l’illustre filantropo e archeologo Umberto Zanotti Bianco, a cui è stato ispirato un riconoscimento, il “Testimonial Umberto Zanotti Bianco”, a partire dal 2009, per sensibilizzare le istituzioni e le organizzazioni sociali alla promozione e alla tutela del nostro patrimonio storico-ambientale.

Il più significativo esempio che lascia in eredità Gaetano Luciano, attraverso i suoi scritti e il suo impegno si può riassumere nel concetto stesso di “ricerca della libertà come fondamentale istanza e sostanza dell’essere dell’uomo nel mondo. Un concetto che si può ricondurre al pensiero illuminista di matrice kantiana, che considera la libertà dell’uomo come un atto di responsabilità non solo verso se stessi ma verso il mondo, in quanto la realtà è un riflesso dei nostri atti, a partire da quelli apparentemente casuali, come le nostre parole, e da tutto ciò che accade dentro e fuori dalla nostra volontà.

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