Ai pescatori italiani prigionieri in Libia non rimane che chiedere la cittadinanza turca

E’ durata meno di una settimana la prigionia dei marinai della nave turca "Mabouka”, presi in ostaggio il 5 dicembre scorso davanti alle coste libiche dagli uomini del generale Haftar.

Ad indurre a miti consigli l’uomo forte della Cirenaica, è stato l’intervento tempestivo e deciso della diplomazia di Ankara.

Senza usare giri di parole o le formule astruse tante care ai politici nostrani, il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, ha dichiarato: “ Ricordiamo che se gli interessi turchi in Libia verranno presi di mira ci saranno delle gravi conseguenze e gli autori di queste azioni verranno considerati degli obiettivi legittimi“.

In altre parole, o ci restituite i marinai o interverremo militarmente.

A rendere il messaggio più persuasivo, ci hanno pensato i caccia turchi che si sono fatti vedere in volo dalle parti di Jufra e Sirte.

Vista la parata, a Bengasi hanno capito l’antifona ed il 10 dicembre hanno rimesso in liberta la nave con il suo equipaggio.

La vicenda, qualora, ce ne fosse stato bisogno, ha palesato l’irrilevanza del governo italiano che, a distanza di oltre cento giorni, non è ancora riuscito a riportare a casa i 18 marinai sequestrati sui loro pescherecci mentre si trovavano ad oltre 70 miglia dalla costa cirenaica.

Con tutta evidenza, a dispetto degli interessi che l’Italia vanta in Libia, l’azione diplomatica condotta dalla Farnesina non è stata presa molto sul serio.

Pertanto, nonostante le ripetute rassicurazioni fornite ai familiari, non c’è d’aspettarsi che i marinai facciano ritorno a casa neppure  per Natale.

A questo punto, ritenendo impensabile che Haftar si faccia impressionare dalle pusillanimi dichiarazioni di Di Maio, ai poveri pescatori non rimane che chiedere la cittadinanza turca.

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La "Mano de Dios" in prima serata e i pescatori italiani ostaggi del silenzio

Da quasi una settimana, Tv e giornali non perdono occasione per regalarci qualche ricordo apologetico di Maradona. Dopo averne parlato tanto, anche troppo, stasera una rete nazionale manderà in onda, addirittura in prima serata, la partita dei mondiali di Messico '86, tra Argentina e Inghilterra. Quella, per intenderci, del famoso goal segnato con la mano, altrimenti detto la "Mano de Dios".

A tutto questo can-can, fa da contraltare il vergognoso silenzio sui 18 pescatori italiani prigionieri in Libia da tre mesi. Del resto, perché parlarne, a chi vuoi che interessi. In fondo, sono solo 18 lavoratori che da 90 giorni non vedono le loro famiglie.

In Calabria la droga usata dai terroristi islamici

La Sezione antiterrorismo della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, in seguito ad indagini svolte dai finanzieri del Comando provinciale reggino, in collaborazione con l’Ufficio antifrode della dogana di Gioia Tauro, ha disposto il sequestro di oltre 24 mila compresse di tramadolo sbarcate al porto gioiese, provenienti dall’India e dirette in Libia.

L’input investigativo è partito dal II Gruppo della guardia di finanza di Genova che, nell’ambito di una operazione dello scorso maggio, aveva proceduto ad un analogo sequestro nel porto del capoluogo ligure.

La vendita al dettaglio del farmaco sequestrato avrebbe fruttato circa 50 milioni di euro, in quanto ciascuna pastiglia, sul mercato nero nord africano e medio orientale, viene venduta a circa 2 Euro.

Il tramadolo è una sostanza oppiacea sintetica, il cui uso è stato ripetutamente accertato negli scenari di guerra mediorientali, tanto da essere soprannominato “droga del combattente”, essendo utilizzato sia come eccitante, sia per aumentare le capacità di resistenza allo sforzo fisico.

Secondo le informazioni condivise con fonti investigative estere, il traffico di tramadolo sarebbe gestito direttamente dall’Is (Daesh), al fine di finanziare le attività terroristiche che l’organizzazione pianifica e realizza in ogni parte del mondo. Parte dei proventi illeciti derivanti dalla vendita della sostanza, sarebbero destinati a sovvenzionare gruppi di eversione e di estremisti operanti in Libia, in Siria ed in Iraq.

L’operazione si è avvalsa, anche, della preziosa collaborazione della Dea americana e della Direzione centrale dei servizi antidroga presso il ministero dell’Interno e del supporto del Comando generale della guardia di finanza.

L'Italia, i migranti ed un piano per l'Africa

Iuventa è variante rara di Iuventus. Nulla di sportivo, vuol dire gioventù in latino. È una nave tedesca che, impipandosene delle leggi italiane, va a prendere “migranti” e li scarica in Italia; e per far ciò è palesemente d’accordo con gli scafisti. Chiaro? Non li “salva” da morte; li trasporta. Ma l’aria è cambiata, e la nave è sotto sequestro, e speriamo ci resti.

 Il governo, e in esso quello che è il vero ministro degli Esteri, cioè quello degli Interni, Minniti, mostra una strana e improvvisa decisione, e impone un codice di condotta molto logico; e chi non firma, è fuori. Vorrei fosse vero. Intanto pare che il numero dei “migranti” sia in calo. Qualcuno si stupisce che io approvi Minniti: ma i fatti sono fatti. E anche la lotta per i cantieri non mi dispiace.

 Un corollario: se Minniti fa anche il ministro degli Esteri, perché non risparmiamo lo stipendio di Alfano che sta lì a scaldare la sedia?

 Navi italiane operano in acque libiche: è la prima volta dal 1942. Il generale che controlla Tobruk, Haftar, minaccia di bombardarle. Sarà una rodomontata, sarà quello che volete, però vorrei informare il lettore che, ove mai ciò avvenisse, il dovere del comandante della missione non è di fare politica estera o stare a sentire il parere dei giornali, ma difendere le navi con uso di tutte le armi. E siccome non bastano, ci vorrebbe subito un sostegno da nostri aerei e altre navi.

 Insomma, le cose si sono messe in movimento, e non si sa dove possono finire. L’aria è cambiata, e nemmeno i più fanatici immigrazionisti continuano a sostenere la follia di “accogliamo tutti” e comunque.

 Ora è il tempo di un piano per l’Africa. Ma questo è un altro discorso.

L'Italia, l'immigrazione e il cambio d'umore

È tutto da vedere cosa faranno effettivamente le nostre navi in Libia. Quello che conta, oggi, è rilevare il cambio di umore, il messaggio esplicito o subliminare che si sta percependo. Siamo passati, infatti, e in pochi mesi, da “accoglienza di disperati… ”, a “combattere gli scafisti”, il che significa, di fatto, impedire le partenze, e quindi gli arrivi.

 Da notare che il mutamento è avvenuto senza che protesti nessuno. Cerchiamo di capire cosa sia intervenuto, in questi pochi mesi.

  • La pubblica opinione è quasi unanime nel cambio di umore.
  • Il numero degli sbarcati è cresciuto in modo preoccupante;
  • Gli sbarcati sono in realtà trasportati in Italia non solo da navi private, ma da navi militari di Stati europei che si guardano bene di portarli sulle proprie coste, pur comode e vicine.
  • È ormai noto che i governi italiani hanno firmato dei patti suicidi, noti come Dublino; e la gente ormai lo sa.
  • Gli sbarcati vorrebbero approdare in Italia, ma per poi andarsene in Europa. L’Europa ha chiuso le frontiere anche fisicamente. Schengen, infatti, riguarda unicamente i cittadini degli Stati firmatari, mica tutti gli esseri umani.
  • Lo stesso per la più che ovvia distinzione tra profughi – pochissimi e a ben determinate condizioni – e migrazione di massa.
  • Il puerile tentativo di prendersela con l’Ungheria e basta cozza con l’evidenza del muro di Calais e delle randellate di Ventimiglia della polizia francese.
  • Perciò gli sbarcati restano in Italia, dove è sotto gli occhi di tutti che non hanno niente da fare, e dove non c’è lavoro se anche lo cerchino.
  • Sono ormai quotidiani gli scandali e casi dubbi connessi con l’accoglienza; e il buonismo si sta rivelando, se non sempre, spesso, un lucroso affare. Lo stesso per le navi private, le quali, con il solo rifiuto di polizia a bordo, rilevano una lunghissima coda di paglia.
  • Il salviniano “Aiutiamoli a casa loro”, scappato di bocca anche a Renzi, va finalmente preso sul serio.

 Sono interessanti anche alcuni risvolti della missione navale italiana.

 Essa è italiana e non europea, ed è il fallimento dell’Europa l’unica volta che poteva agire solidarmente in politica estera.

 È una risposta allo schiaffo francese della settimana scorsa, quando Macron convocò i libici senza avvertire il governo italiano; tanto più che lo strombazzato accordo pare sia fallito.

 È una missione militare, con tutti gli automatismi che ciò comporta: se attaccati, i nostri militari dovranno (non “potranno”) reagire facendo uso delle armi.

 Concludo con un suggerimento sussurrato a Gentiloni: ne parli e ne faccia parlare il meno possibile. In questo momento, tutto ci serve tranne del chiasso, se dovesse succedere qualcosa di brusco.

Libia: la Francia si prende il petrolio, l'Italia gli immigrati

 Natura abhorret a vacuo, e anche in politica, soprattutto in politica estera, i vuoti si riempiono. L’italietta blatera, supplica, accoglie, paga; e Macron prende in mano la situazione, convocando a Parigi i due principali contendenti della situazione libica, per metterli d’accordo a forza, e così stroncare il traffico dei cosiddetti “migranti”. “Migranti”, solo per gli Italiani; la Francia li considera clandestini, e li respinge a mano armata.

 Insomma, Macron fa in Libia quello che dovrebbe fare l’Italia, e che l’Italia non ha il fegato di fare: imporre l’ordine, e risolvere alla radice il problema. L’Italia di Gentiloni e Alfano colleziona un altro pezzo pregiato delle figure di non dico che è abituata a mettere in bella mostra: gli altri agiscono da maschi, e noi piangiamo da buonisti patetici. Gli altri si piglieranno l’influenza politica sulla Libia e il petrolio, e noi staremo a guardare.

 Come minimo, il governo italiano dovrebbe fare dell’ironia internazionale: Macron sta, infatti, riparando i guai creati dal suo predecessore Sarkozy assieme ad altri due arruffoni, Obama e Cameron, i quali, con la passiva assistenza di Berlusconi, abbatterono e assassinarono Gheddafi, precipitando nel caos la Libia e l’intera Africa. Un governo italiano serio dovrebbe dirlo a bocca piena; per poi protestare…

 Protestare? Macron risponderebbe che “Natura abhorret a vacuo”, e che lui sta riempiendo il vuoto lasciato da chi doveva riempirlo: l’Italia. E avrebbe ragione.

 In politica estera, due sono i fattori più negativi: l’indecisione e il buonismo; bisogna sempre mostrare una faccia dura, in qualsiasi circostanza; sempre pretendere di più per poi far finta di cedere; e sempre essere pronti a far seguire alle parole i fatti. E subito, senza tentennamenti; o delle nostre paure e remore e sottili dispute ideologiche approfitta al volo qualcun altro più deciso di noi.

 Ma chi volete che agisca così? Alfano? Mancano a lui e ad altri l’aspetto e il tono della voce!

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Immigrazione clandestina, fermato uno scafista

Sottoposto a fermo lo scafista di un’imbarcazione soccorsa, in acque internazionali, da una Nave della Marina Militare Italiana e arrestato, in flagranza di reato, un uomo con precedenti specifici in tema di immigrazione clandestina per aver fatto reingresso nel territorio dello Stato italiano senza idonea autorizzazione.

 È questo il bilancio dell’attività investigativa condotta dagli uomini della Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria – Sezione Criminalità Straniera e Prostituzione – con il coordinamento dalla locale Procura della Repubblica.

 L’uomo sottoposto a fermo – Kamodiallo Daoudiallo di 19 anni, originario della Guinea – è gravemente indiziato di essere stato al comando di una delle imbarcazioni a bordo delle quali hanno viaggiato una parte dei cittadini extracomunitari sbarcati al porto di Reggio Calabria nella giornata del 26 maggio scorso, dopo essere stati soccorsi in mare dalla Nave della Marina Militare Italiana “Libra”.

 Al giovane, la Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha contestato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché avrebbe condotto, dalle coste libiche verso il territorio dello Stato italiano, un’imbarcazione a bordo della quale viaggia parte dei migranti giunti al porto di Reggio Calabria. L’accusa è aggravata ulteriormente l’aver consentito l’ingresso in Italia di più di cinque persone, di aver esposto le persone trasportate a pericolo di vita, di aver sottoposto le persone a trattamento inumano o degradante e di aver commesso il fatto allo scopo di trarre profitto, anche indiretto.

 Un secondo uomo di origine egiziana – Saber El Kot El Sayed Kamal, di 43 anni  è stato arrestato in flagranza di reato in quanto responsabile del reato di reingresso illegale nel territorio dello Stato italiano in violazione della normativa prevista dal Testo unico immigrazione, in quanto già destinatario di un provvedimento di espulsione emesso lo scorso anno dal Questore della provincia di Catania.

Dalla ricostruzione dei fatti operata dagli investigatori della Squadra Mobile è emerso che i migranti che erano a bordo delle imbarcazioni, dopo aver pagato ingenti somme di denaro agli organizzatori del viaggio, sono partiti dalla Libia alla volta delle coste italiane, senza scorte di cibo e acqua ed in precarie condizioni igienico-sanitarie.

 L’ Autorità giudiziaria ha convalidato i provvedimenti ed emesso, contestualmente, ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico del cittadino guineano sottoposto a fermo e nulla osta all’espulsione dal territorio nazionale nei confronti del cittadino egiziano tratto in arresto.

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Guerra in Libia: i miliari italiani sparano, ma nessuno ne parla

Morto in Libia?

Il bello di internet è che circola di tutto. Io ho un amico di Facebook molto informato sulle questioni mediorientali e arabe in genere, il quale mi dice che in Libia sono avvenuti scontri armati tra non si sa chi e il “governo riconosciuto da” una non meglio definita “comunità internazionale”. E fin qui, quasi ordinaria amministrazione. Ma mi dice che sono coinvolti anche i nostri militari, che avrebbero combattuto. Vero però che i nostri si trovano a Misurata, ma non è in capo al mondo. Comunque, relata refero, ovvero ho riferito quanto mi dicono. I nostri? Già, credo pochissimi ricordino che l’Italia ha mandato in Libia un ospedale; e, per proteggerlo, qualche centinaio di militari bene armati: un pietoso espediente per giustificare una base in Libia. Ma la guerra, come l’amore, si fa in due; e perciò può darsi anche che i nostri sparuti medici e molti soldati siano al centro di conflitti non politici o nominali ma veri.

Del resto, oggi 20 marzo si tiene un vertice sui migranti, e Serraj, capo del suddetto governo, non sarà presente; e il tg dice che l’assenza è dovuta agli “scontri”. Insomma, c’è del vero. Come avrete visto, nessun tv e nessun giornale scrivono una mezza parola sulla situazione in Libia e su che facciano i nostri cento e cento difensori di un piccolo ospedale. Meglio, cari lettori, meglio: ve l’immaginate lo starnazzo italico, con pacifisti, femministe, ecumenici, terzomondisti, filosofi del disarmo… No, meglio il silenzio; come del resto sui nostri in Afghanistan, Libano, Bosnia eccetera. Meno se ne parla, più l’Italia può fare politica; e ne va anche della sicurezza dei militari. Durante il Ventennio, il governo mise mano all’effettiva conquista della Libia, che nel 1911 si era limitata, e anche male, alle coste. Fu una guerra irregolare, tra imboscate e repressioni; e anche molto difficile. La consacrò il film di Augusto Genina, del 1936, “Squadrone bianco”, con l’incredibile scena girata nel deserto sotto un autentico ghibli. Ma nel 1936 era tutto finito; e due anni dopo le province mediterranee vennero direttamente annesse al Regno d’Italia, con la concessione agli indigeni di una cittadinanza particolare: caso forse unico nel colonialismo europeo. Nel decennio precedente, invece, il governo ordinò – calma: esattamente come oggi! – un bel silenzio stampa. Supplì alla carenza quella che i soldati chiamano “radio scarpa”, cioè il passaparola. Quando un militare non si faceva vedere, o per leciti o per artefatti motivi, si mormorava: “Morto in Libia!” Io l’ho sentita in caserma, nel 1974, da un anziano maresciallo.

Vero che qualcuno era morto davvero.

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