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Quando in Calabria arriva la primavera

 Ci fu chi volle fosse avvenuto a Ipponion il rapimento di Persefone (Proserpina) per mano di Plutone. Mentre la madre Demetra (Cerere) la cerca dovunque, ella dovrà trascorrere con il marito sotto terra l’inverno, e nel mondo la bella stagione. I nostri vecchi antichi hanno però un’idea fugace della Primavera, ritenuta breve, e quasi solo una preparazione alla “stagione” per antonomasia, l’estate, che si protrarrà fino ad ottobre e persino novembre. Non c’è qui da noi un passaggio graduale, come nell’Italia Centrale, ma quasi un salto dal freddo ai calori estivi. Il detto avverte “finu a maju non cangiara saju; a giugnu, mutati ‘n tundu”, un proverbio che pare coniato per la collina e la montagna, e non per le coste, ripopolate da pochi decenni. Non è il tempo meteorologico a scandire le costumanze, ma quello sacro. Dopo l’Epifania, viene il momento trasgressivo del Carnevale, “Carnilovara”, “Arzarolo”, parole che evocano l’obbligo religioso di astenersi, da Mercoledì delle Ceneri a tutta la Quaresima, dalla carne sotto qualsiasi forma: le “cuzzupe”, che in origine sono confezionate con grasso di maiale, e che comunque sono guarnite di uova, si preparano, ma non si consumano prima di Pasqua. Tanto meno si toccano le soppressate, cui la Quaresima serve anche come stagionatura. La “Coraisima” dura quaranta giorni, ed è rappresentata da penne di gallina da strappare una ogni settimana. Vi si svolgono i riti quaresimali, con processioni e Via Crucis. La Settimana Santa è scandita dai riti della Cena e dei Sepolcri: bisogna visitare sette chiese. Venerdì Santo si svolgono le processioni della “naca”, in origine parola greca significante culla; in alcuni luoghi come nell’antica Castelvetere oggi Caulonia si avverte, nel Caracolo, un influsso spagnolo. Molti paesi hanno consuetudini particolari: a Davoli è molto suggestiva la processione degli Abeti, con grandi rami e lanterne appese. Resta, almeno a Petrizzi, l’usanza della processione dell’alba di Sabato. Un discorso a sé è quello dei “Vattienti” di Nocera T. e altri luoghi, ma non è qui luogo. Di remota tradizione è la rappresentazione dei Misteri, o “Pijjiate”, in cui si mette in scena la Passione. Agli attori resta spesso il soprannome per tutta la vita: Giudeo, Amor Divino… La Chiesa pensò bene, dai tempi di Jacopone da Todi, di tenere sotto controllo i testi! Mi si consenta la civetteria di citare i miei “Resurrexit” e “Iudas”, dati a Soverato; e “Il pane di Giuda” a S. Sostene, tutti con la regia di Tonino Pittelli.  La Pasqua di Resurrezione si celebra la notte di Sabato Santo; ma un tempo, forse per ragioni di opportunità, era di giorno, e si diceva “spara a Gloria” per le manifestazioni di gioia; e, nel Medioevo, di un “risus Pascalis” anche troppo allegro! Mattina di Pasqua è frequente l’Incontro (“Cumprunta”, “Affruntata”) tra le statue di Gesù, Maria e s. Giovanni Evangelista. Come è noto, la Pasqua, e perciò anche il Carnevale, sono feste mobili, e le date dipendono dal plenilunio di gennaio. Secondo cada il terzo plenilunio seguente, la Pasqua si dice bassa o alta. Con la Primavera si tornava a viaggiare per i sentieri di terra, e anche per mare. Si tenevano le prime fiere: San Giuseppe a Cosenza; a Soverato, la fiera di Pasqua, detta meglio dell’Angelo, perché in origine era legata all’Annunciazione, il 25 marzo. Viaggiavano però per mare anche i pirati saraceni, e si chiamavano “i pagani e majiu”. Calendimaggio (le Calende, il primo di maggio), non ancora festa sindacale e politica, fu sempre solennizzato come inizio della Primavera, con feste e scampagnate; e, come non poteva e non può con essere, con gli amori. La terra produce fiori e i primi frutti. Si raccoglieva il sambuco per farne “u pana e majiu”, che in alcuni paesi si sta recuperando con svariate ricette. Molti sono i lavori di campagna. Entro la luna di marzo, la potatura; per san Giuseppe, gli innesti; e bisogna estirpare le rigogliose gramigne. Inizia la transumanza dai pascoli di marina a quelli di montagna.


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