"Jiucamu a nucidhi?" Quando i bambini giocavano con le nocciole

C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui il gioco era autarchico e favoriva la socializzazione. Lontani dall’era degli smartphone, delle App e dell’interazione virtuale, per divertirsi i bambini si affidavano alla fantasia ed al “sapere” trasmesso da fratelli più grandi. Grazie all’inventiva, il gioco era realizzato con ciò che si aveva sottomano. Oggetti poveri, di uso quotidiano, che nelle mani di bambini e ragazzi diventavano prodotti ludici a chilometro zero. La globalizzazione era di là da venire e la ricreazione dei bambini non era affidata a giocattoli prodotti in serie da altri bambini ridotti in schiavitù. Prima di arrivare a destinazione, gingilli e balocchi non dovevano attraversare gli oceani. Tutto, o quasi, era prodotto al momento, anche perché, lo svago era soggetto a ferree regole di ordine temporale. Il più delle volte, infatti, i giochi cambiavano con le stagione.  L’estate era, senza dubbio, il periodo dell’anno in cui, anche, la natura offriva un valido sostegno alla fantasia. Alcuni  prodotti della terra avevano, infatti, il duplice scopo di alienare la fame ed allietare le giornate. Da metà agosto e fino ai primi mesi dell’inverno, uno dei giochi più diffusi tra i bambini era quello delle nocciole. Un gioco estremamente democratico, perché semplice ed alla portata di tutti. Le nocciole, infatti, potevano essere reperite in qualche orto incustodito o sui bordi delle strade di campagna dove crescevano in maniera spontanea. Trovata la materia prima, iniziava la ricerca dei giocatori. A Serra, la formula di prammatica con la quale procacciare gli avversari era: “Jiucamu a nucidhi?”, ovvero “giochiamo con le nocciole?”. Una volta individuata una zona pianeggiante, i contendenti iniziavano i preparativi. Trattandosi di un gioco individuale, quello delle nocciole vedeva ogni protagonista concentrato sul proprio obiettivo. L’obiettivo era quello di conquistare “li nucidhi” degli avversari. La fase propedeutica era caratterizzata dalla ricerca di “lu badhu”, una nocciola più grande delle altre. Una volta individuata veniva messa da parte. Si procedeva, quindi, alla costruzione “di lu castiedhu” (il castello) composto da quattro nocciole, di cui tre posizionate alla base ed una alla sommità. Infine ci si schierava a qualche metro di distanza per individuare chi avrebbe dovuto iniziare la partita. I giocatori si disponevano in cerchio e “si la jittavanu allu tuaccu” (la conta) per sorteggiare la sequenza con cui ogni protagonista avrebbe preso parte alla partita. Conclusi i preliminari, la contesa entrava nel vivo. A turno, ogni partecipante faceva rotolare “lu badhu” in direzione “di lu castiedhu” con lo scopo di abbatterlo. Le nocciole del “castello” distrutto diventavano di proprietà del lanciatore. Un gioco semplice, in cui non mancavano i bari. Qualcuno, infatti, truccava “lu badhu” riempiendolo di piombo fuso. Chi non disponeva di una quantità adeguata di nocciole per costruire “li castedha” poteva ricorrere alla “fossetta”. In questo caso, il gioco consisteva nello scavare nel terreno una piccola buca nella quale far rotolare da una distanza prestabilita le nocciole. Ogni giocatore usava l’indice per spingere la propria nocciola verso la buca; chi sbagliava cedeva il posto all’avversario, mentre chi faceva centro si appropriava delle nocciole degli avversari. Infine, c’era “l’armata” il cui sviluppo assomiglia al bowling. Le nocciole venivano messe in cerchio ed ogni giocatore, a turno, doveva cercare di colpirle usando il sempre presente  “badhu”. Ogni lanciatore conquistava tutte le nocciole che riusciva a centrare. Finita la sfida il destino delle nocciole era segnato. Talvolta il vincitore le metteva in un sacchetto e le portava a casa, il più delle volte si sedeva per terra e con un sasso iniziava a romperle mangiandone il frutto.

Leave a comment

Make sure you enter all the required information, indicated by an asterisk (*). HTML code is not allowed.