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Nadile replica a Nisticò sui megaliti di Nardodipace: "Opinioni contraddittorie"

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

«Come al solito, U. Nisticò  è diretto e non usa giri di parole quando deve dire la sua, su qualsiasi argomento.  Così ieri, leggendo il suo articolo, ho visto che metteva in evidenza lo studio fatto dal professor Roma(a mio avviso insufficiente, per quanto ho visto), docente dell'Unical, sulle situazioni di megalitismo, riscontrato nell'alto Ionio cosentino, nelle montagne di Castroregio, e lo comparava con quanto avvenne a Nardodipace all'inizio degli anni 2000. Io fui l’artefice di quella vicenda finita male, come egli dice, almeno nella sua fase iniziale, ma ricapitoliamo brevemente:  dopo aver inquadrato la situazione alla fine degli anni 90 (dopo un periodo iniziale di ricerca negli anni ottanta), e aver capito che ero in presenza di qualcosa di storicamente straordinario, segnalai la questione alla Soprintendenza, e in attesa di una risposta, mi armai di pazienza. Ci vollero oltre tre anni, perché la Responsabile di zona rispondesse; nel frattempo, però, la politica, con l'assessore alla cultura del Comune di Nardodipace, accortasi dell'importanza dell’argomento, si appropriò della cosa, e siccome non ci capiva nulla, si fece aiutare da due Signori esperti, come li definisce Nisticò, che nel frattempo si erano presentati come dotti della materia, peraltro, senza che uno di essi vedesse mai quelle strutture, perché impossibilitato a camminare, e l’altro ipovedente. Su questo piano, quindi, ci troviamo d'accordo con U. Nistcò, quando dice: "Uno spiegò che si trattava dei Pelasgi, e pubblicò dei dottissimi vocabolari italiano – pelasgico / pelasgico – italiano, leggendo dei ghirigori come fossero l’elenco telefonico; l’altro… - e poteva mancare? - tirò fuori Ulisse, e proclamò che quelle pietre erano i Lestrigoni." Ma dissento completamente da lui e lo trovo in forte contraddizione, quando afferma che quella storia è tornata nel nulla come meritava, salvo dire anche, che solo certe persone si possono occupare di quelle cose. Non so chi siano quelle persone competenti, visto quello che sfilò in passerella a Nardodipace, e come l’intelligenzia calabrese affrontò la questione; molti di essi sanno fare progetti e altri guardano alla calabresità, legando ancora di più il laccio con la pietra, al collo di questa terra, per farla affondare sempre di più nell’oceano dell’ignoranza.

Io, quella gente: esperti e politici, li ho combattuti, e per non fare come don Chisciotte quando prese a pugni gli otri pieni, decisi di lasciar campo libero(tanto non sarebbero andati da nessuna parte, perché prima o poi si sarebbero trovati al punto di partenza, a causa della loro incompetenza), per circa dieci anni, il tempo necessario affinchè quell’onda d’urto si esaurisse, e mi permettesse di fare delle ricerche più approfondite sul territorio. Così ho fatto, oggi sono in grado di dimostrare non solo l’antropicità di quelle strutture, perché di ciò si tratta, dato che c’è un pensiero architettonico, motivato da quello religioso e non solo, ma anche di complessi litici di altri luoghi, comprese le pietre di Davoli. E con una parte del lavoro che presenterò a breve, visto che sul piano oggettivo, un sito che avevo tenuto nascosto ai cosiddetti esperti di allora, nel marzo 2015 è stato riconosciuto sito archeologico di carattere megalitico, risalente al secondo Millennio a.C, proprio dalla Soprintendenza, posso dare corso a quanto sostengo.

Ma Nisticò dice anche un’altra cosa, sulla quale non mi trovo d’accoro ed anzi la ritengo grave e dannosa, egli dice: “con il coinvolgimento della scienza geologica” e le perforazioni sul terreno, si potrebbe arrivare a capire se ci siano i segni di un’antropizzazione su quei luoghi o meno, secondo quanto avevano sostenuto gli geologi. Professore, io l’ho sempre considerata una persona fuori dagli schemi, preparata nel suo campo e per questo intelligente, ma se lei sostiene questa tesi, si va ad aggiungere a quella schiera di gente incompetente che ha sfilato sul palcoscenico di Nardododipace, come i due personaggi in cerca d’autore. Quell’occasione - lasciamo stare il folklore, i ciarlatani e la politica che sono elementi di contorno, per quanto spiacevoli siano stati i loro comportamenti, perché sono stati esecrabili - ma come dicevo, quell’occasione, drammaticamente mise in luce la debolezza di fondo del sistema culturale calabrese e delle istituzioni di riferimento, che non hanno saputo analiticamente guardare a quelle cose, prescindendo da pregiudizi storici (che l’intelligenzia stessa si porta dietro da sempre) non ha saputo “eviscerarsi” e guardare nel suo intestino, e vedere se tutto fosse fatto solo di grecità o di altre civiltà anteriori di millenni, a quella.

Essa, ancora una volta non ha saputo trarre una considerazione oggettiva, dimostrando i propri limiti e le proprie carenze, ha saputo solo balbettare o stare alla finestra, negando tutto, senza mai visionare in maniera scientifica quelle strutture archeologiche, ma classificarle come siti naturali, non dico non riconoscendo l’aspetto mitologico che racchiudono nelle loro forme, comunque, nemmeno le linearità e le geometrie con le quali si mostrano agli uomini e al cielo. Quella civiltà, Professore è una civiltà che si è espressa sui nostri territori(non costruendo colonne doriche o corinzie, o dipingendo vasi di terracotta) per millenni, costruendo templi per noi inusuali  e di  pietra, raffigurandosi i loro dei, nei luoghi considerati sacri alla loro dea;  vivendo in villaggi con delle capanne a base circolare e coperte di pelle di animali e fango, cibandosi di cacciagione, frutti di bosco e grano raccolto; essa ha vissuto in questa terra, forse esportando il proprio pensiero. Oggi, noi, quando incontriamo quegli dei in disuso, non siamo più in grado di capire, e per questo diciamo che quelle pietre sono come la natura le ha fatte. I Greci, invece, quando si trovavano difronte a queste cose, ribadivano il concetto di patriarcalità, depotenziando quello di madre, e li lasciavano in pace; per noi sono solo stronzate, a volte solo utili ad abbellire le nostre ville. Le nostre montagne sono un paradiso strapieno di quegli dei e di quei concetti fuori moda, e non è con gli geologi o con gli archeologi della Soprintendenza, abituati a sollevare qualche grammo di polvere lungo le coste calabre, che si possono capire quei complessi litici, ma con paziente osservazione e un overdose di mitologia greca e orientale, con qualche leggera conoscenza della linguistica. Lasciate che gli geologi, quindi si occupino di faglie e terremoto, perché il tesoro non è sotto il suolo, non è nascosto dalla terra, ma dalla vegetazione, e dalla miopia culturale delle persone! Il tesoro è la disposizione sul terreno di quelle stesse pietre e di ciò che esse disegnano.

La disposizione e la forma, sono per noi come pagine della Biblioteca di Diodoro Siculo o di Apollodoro, o anche dei  Miti di Igino».

 

 

 

 

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