Riina, la morte e i diritti impazziti

Se passa il principio che uno, se ammalato di qualcosa di grave, esce di galera nonostante non uno ma tanti ergastoli, allora è tana liberi tutti. Riina vuole morire a casa sua? E perché gli altri, invece, devono morire in galera? Ce ne sono, di detenuti con acciacchi!

 E poi, chi l’ha detto che Riina debba morire? Ha 86 anni? Mica tanti. Ha un tumore? Oggi il cancro si cura, e il decesso può essere rinviato di mesi o di anni. I medici sono medici, mica profeti. Se dunque Riina esce dal carcere, se ne va sì a casa, però non muore subito, casa Riina diventa una succursale del carcere, con decine di agenti impegnati a controllarlo che non scappi – eh, la gramigna! – o a proteggerlo da qualche vendetta o da chi pensa di farlo tacere; o a impedire il viavai di mafiosi travestiti da vicini e parenti. E pensate solo ai costi di questa operazione.

 E poi, fatemi capire, in che cosa una morte casalinga sarebbe più dignitosa di una morte in gattabuia?  Che caduta di stile, Riina. Un tempo, quando i pirati venivano impiccati, indossavano il vestito più bello e ricchi gioielli da regalare, secondo l’usanza, al boia.

 Passiamo alla richiesta. Riina ha fatto qualcosa per meritare la clemenza? Ha mai riconosciuto le sue colpe? E, quello che m’interessa, ha mai cantato a sufficienza per spiegare segreti e i risvolti dei vari omicidi da lui voluti o perpetrati? Si è reso utile, per esempio, a chiarire la famosa “trattativa”? Ecco l’occasione: se vuole uscire e defungere dove gli pare, canti a squarciagola, a reti unificate, ci racconti tanti bei fatti.

 I fatti della mafia siciliana, e cioè:

  1. Com’è che la mafia, stroncata dal prefetto Mori per ordine di Mussolini, tornò al seguito degli Angloamericani nel 1943;
  2. Com’è che, fino agli anni 1980, la mafia siciliana fece il suo comodo con l’evidente connivenza dello Stato;
  3. Cosa successe, dopo il 1980, perché lo Stato cambiasse, sia pure in modo impacciato, tale atteggiamento;
  4. Come si scatenò la reazione mafiosa con omicidi e attentati;
  5. Altra storia, la ndrangheta calabrese, che proprio dagli anni 1980, da quattro morti di fame di paese che erano, si trasformò in potenza mondiale del crimine quale ora è.

 Insomma, Riina dovrebbe campare cent’anni, per poter raccontare; e invece lo mandiamo a morire comodo, e magari il più presto possibile.  

 Ma dobbiamo spiegarci. Riina vuole morire comodo? Accontentiamolo. L’assassino di Londra, “italomarocchino”, era stato arrestato, e subito un giudice lo liberò e gli restituì il passaporto! Eccetera.

 Da dove spuntano questi comportamenti e atteggiamenti così assurdi secondo il senso comune e il buon senso? Ma dal primato, anzi dall’unicità dell’individuo: Riina ha diritti, l’italomarocchino ha diritti, tutti hanno qualche diritto, e tutti trovano un giudice o una corte europea che glieli riconoscono. Diritti impazziti!

 E i diritti della comunità: quelli, niente? Il mio diritto di passeggiare senza che un matto mi accoltelli, di visitare una chiesa senza che un altro mi piglia a martellate… il diritto di ascoltare un concerto senza saltare in aria? Il diritto di difendere lo Stato e i cittadini senza dover per forza sentire il mantra che l’Islam è una religione di pace, e che i terroristi invece… Fatti interni dell’Islam, se mai: io rivendico il mio diritto di essere tutelato contro qualsiasi religione o idea o cane sciolto che sia!

 Alla fine, salus reipublicae suprema lex. Altro che scarcerare Riina con 16 (sedici!) ergastoli sul groppone, o mandare a spasso gli assassini.

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