Certosa di Serra San Bruno, intervista all'ex Priore Jacques Dupont

La visita del Papa Emerito Bendetto XVI alla Certosa di Serra San Bruno, avvenuta il 9 ottobre 2011, ha offerto alcuni spunti di riflessione sul significato della vita certosina, del silenzio e del ruolo del monaco che vigile come “un mozzo” scruta l’orizzonte e perciò il futuro. Da qui sono nate delle domande che abbiamo posto all’allora Padre Priore della Certosa Dom Jacques Dupont che ha accolto il Papa e che vive la vita certosina fatta di clausura, preghiera e silenzio, ormai da oltre quaranta anni, facendo lo stesso percorso dalla Chartreuse di Grenoble alla Certosa di Serra che oltre mille anni fa, fu quello di Bruno da Colonia. Padre Dupont ora è Procuratore Generale dell’Ordine dei certosini presso la Santa Sede ed è uno dei monaci più carismatici del pianeta.

La visita di Sua Santità Benedetto XVI alla Certosa di Serra San Bruno è stata un fondamentale atto di riconoscenza nei confronti della spiritualità certosina, lo stesso Santo Padre ha definito questo luogo come “Cittadella dello Spirito”. Dopo questa visita, nel cuore dei certosini possiamo dire che sia nata qualche consapevolezza in più?

«Benedetto XVI già prima della sua decisione di venire a visitare la nostra Certosa aveva più volte accennato alla spiritualità certosina e all’esperienza di San Bruno. La sua presenza e il pregare insieme, poi, ha offerto un’occasione unica di condivisione. Abbiamo avuto la conferma più autorevole di essere “nel cuore della Chiesa” pur svolgendo una vita ritirata e, in qualche modo, nascosta. La visita del Santo Padre, comunque, più che inorgoglirci ci ha fatto sentire il senso di una responsabilità che grava sulle nostre spalle, che è quella – riprendendo le parole del Pontefice – di far scorrere nelle vene della Chiesa “il sangue puro della contemplazione e dell’amore di Dio”. La consapevolezza che viene dalla visita del Papa è soprattutto quella di averci esortati e confermati nella nostra vocazione di preghiera, fatta sia di lode e adorazione  di Dio che di supplica e d’intercessione per l’umanità intera».

“La visita del Successore di Pietro in questa storica Certosa intende confermare non solo voi, che qui vivete, ma l’intero Ordine nella sua missione, quanto mai attuale e significativa nel mondo di oggi”. Queste le parole di riconoscenza pronunciate da Benedetto XVI nei confronti dell’Ordine Certosino nella celebrazione dei Vespri, come vive la Certosa il rapporto con la Chiesa Cattolica?

«Nella sua omelia in Certosa, il Papa ha fatto delle affermazioni di grande rilievo a questo riguardo. Dapprima, ha ricordato il “legame profondo che esiste tra Pietro e Bruno, tra il servizio pastorale all’unità della Chiesa e la vocazione contemplativa nella Chiesa”. C’è un legame molto particolare tra l’Ordine Certosino e il Pontefice, successore di Pietro, fin da quando, per obbedienza a Urbano II, Bruno abbandonò la solitudine del deserto di Chartreuse per mettersi al servizio della Chiesa. La visita di Giovanni Paolo II in questa Certosa e varie sue lettere al nostro ordine sono le più recenti espressioni di tale vincolo. Poi, Benedetto XVI ci ha lasciato delle parole forti, dicendo: “La Chiesa ha bisogno di voi e voi avete bisogno della Chiesa”. La nostra vocazione di contemplazione nella solitudine è fondamentale – direi, quasi indispensabile – perché la Chiesa possa adempiere la sua missione; ma d’altra parte, non potremo perseverare nel nostro modo particolare di vita se non fossimo sostenuti e riconosciuti dalla Chiesa, dal Papa e dai vescovi».

Fugitiva _elinquere et aeterna captare, (abbandonare le realtà fuggevoli e cercare di afferrare l’eterno) e nel contempo essere “ai margini”, cioè ponte di collegamento tra la realtà terrena e il cielo. Questo “il nucleo” della spiritualità certosina ricordato da Papa Ratzinger, come può la società civile cosi distratta da miti d’ogni genere comprendere l’essenza della vostra missione?

«Nel mondo c’è bisogno di silenzio. Sempre più persone si rendono conto che il rumore e le chiacchiere senza fine non possono dare un senso alla vita, anzi creano una sorta di schiavitù dalla quale si deve allontanarsi. Perciò è importante ritagliarsi ogni giorno una pausa di silenzio per pensare, riflettere e pregare. Questo potrebbe sembrare difficile, ma quando uno sperimenta che da tal esercizio nasce una tranquillità e una pace interiore, in lui cresce l’attrattiva per un silenzio maggiore, ed esso diviene una fonte di vita e di gioia mai provata prima. Come ci ha ricordato il Papa, nel silenzio, s’impara a vivere di ciò che è essenziale, relativizzando ciò che non lo è. E cosa c’è di più essenziale se non la comunione con Dio e la comunione con gli altri?».

Nel libro intervista di Luigi Accattoli “Solo dinanzi all’Unico” ed. Rubbettino, Lei paragona l’opera di Dio a quella di un vasaio che “modella e trasforma in profondità”, in tutto questo qual è il ruolo del silenzio?

«Innanzitutto vorrei precisare che questa immagine non è mia, si trova nella Bibbia. Attraverso il profeta Geremia, Dio stesso dice: “Ecco l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani”. Dio vuole realizzare con noi delle meraviglie, vuole fare di ciascuno di noi un’opera d’arte. Ma, purtroppo, l’argilla non oppone nessuna resistenza alle mani del vasaio, noi siamo spesso refrattari; ci è difficile lasciarci plasmare, trasformare dal Signore. Ecco dove ci vuole il silenzio; non tanto l’assenza di parole quanto saper accogliere e accettare che un altro ci prenda per mano. Riconosciamo onestamente che non ci piace di dipendere da un altro, però qui si tratta di Dio che ci ama e che vuole la nostra vera felicità».

Tenerezza, misericordia e compassione, queste le doti più preziose del cuore Certosino, come aiuta la presenza di Dio a scoprire nel proprio il luogo dell’animo umano dove esse sono custodite e farne un bene comune?

«Tenerezza, misericordia e compassione, non sono che le caratteristiche più vive e proprie dell’amore di Dio. È cercando di stare vicino a questa fonte che in una certa misura se ne è contagiati, è sentendosi profondamente amati nonostante le proprie imperfezioni e la nostra pochezza che diventiamo capaci di amare a nostra volta. Soltanto chi ha fatto l’esperienza della misericordia di Dio, può far nascere nel proprio cuore la misericordia. Se San Bruno ha cantato la bontà di Dio e l’ha comunicato ai suoi compagni e amici, è perché aveva sperimentato le infinite ricchezze del cuore di Dio. Il certosino, nella preghiera, cerca di sentire la trepidazione del mondo e si fa vicino all’umanità con quella compassione di cui Gesù è il più grande maestro e testimone».

A Lei, Padre Dupont, divertono molto i paradossi, “Sia nella Bibbia, sia nei Detti dei Padri si trova tutto e il contrario di tutto” ha detto nel libro intervista. Il filosofo tedesco Ernst Bloch sosteneva che per essere buoni cristiani bisogna essere atei, come potremmo giustificare un paradosso simile?

«Non dimentichiamo che i primi cristiani furono condannati come atei, perché rifiutarono gli dei della città. Ancora oggi il cristiano deve essere ateo per essere fedele al Dio di Gesù Cristo. Si tratta di proclamare, ma soprattutto di manifestare nelle scelte concrete della vita, che niente e nessuno può essere divinizzato. Si devono rifiutare gli idoli di ogni genere. Se Dio solo è Dio, allora il denaro non è Dio, né il profitto, né le leggi dell’economia. Nessuna autorità è Dio, né alcun potere. Il sesso non è Dio, come nessun affetto, nessun legame, neanche quello nazionale. Tutto questo è buono e va rispettato, però non si deve mai assolutizzarlo, sacralizzarlo. Peraltro è così che Gesù ha vissuto. Ed è morto per aver testimoniato che né Cesare, né la legge, né il tempio, né il sabato erano Dio. Ha vissuto fino in fondo per amore del suo Padre, l’unico Dio».

Lei sostiene che compito del monaco che paragona al mozzo di un nave in attesa di una riva sconosciuta, è quello di scrutare i segni del mondo nuovo, un vigilante teso verso il futuro. Come si concilia la clausura con questa missione del monaco certosino?

«Si può richiamare la poesia “L’infinito” di Leopardi, quando dopo aver accennato alla siepe che delimita il suo sguardo dice “Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo, ove per poco / il cor non si spaura”. Perché nello stare nella solitudine, lontano fisicamente dal mondo, il monaco riesce ad attraversare con maggiore lucidità la realtà non facendosi distrarre dalle fatiche quotidiane dell’esistenza. Certo anche i monaci hanno la loro tribolazione, come ogni vita, ma il silenzio, la solitudine, la preghiera e la vita comunitaria dovrebbero aiutarli a mantenere uno sguardo distaccato dalle cose secondarie, dovrebbero permettere loro di mantenere fisso lo sguardo sull’orizzonte ultimo della realtà, sulla meta finale quando saremo una cosa sola con Dio. Il Papa nel concludere la sua omelia così ci ha esortato: “La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita in una Certosa partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele. Rimanendo saldamente uniti a Cristo, come tralci alla Vite, anche voi, Fratelli Certosini, siete associati al suo mistero di salvezza, come la Vergine Maria, che presso la Croce stabat, unita al Figlio nella stessa oblazione d’amore. Così, come Maria e insieme con lei, anche voi siete inseriti profondamente nel mistero della Chiesa, sacramento di unione degli uomini con Dio e tra di loro”. Così ci piacerebbe vivere ogni giorno della nostra esistenza, saldamente uniti a Cristo».

 

 

 

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