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Un buon papà fa davvero tanto bene!

Ecco il segreto di una marcia in più nell’azione educativa di un bambino: un papà partecipe,presente ed attento. É ciò che, sulla scorta di recenti ed importanti ricerche, svelano gli esperti.

Un bambino che già dai primi giorni di vita viene accudito anche dal proprio papà, coinvolto emotivamente e che vive con sicurezza il proprio ruolo di genitore e compagno, sarà meno propenso a disturbi del comportamento in età preadolescenziale.  A dimostrarlo è una ricerca pubblicata sul British Medical Journal e condotta dall'Oxford University, dimostrando che l’empatia e l’attenzione ai bisogni emotivi del bambino da parte di entrambi i genitori, hanno un enorme peso sullo sviluppo del piccolo e sul suo benessere.

Ad affermare ciò è la psicologa Maggie Radshaw, una delle autrici dello studio che sottolinea quanto sia importante il coinvolgimento di un padre attento, capace di mitigare gli effetti negativi di una eventuale depressione materna.

Ma i ruoli di madri e padri sono distinti? “Un papà emotivamente coinvolto nella cura del bambino fin dai primi giorni di vita permette al piccolo di stabilire un legame di attaccamento sicuro, come quello che si sviluppa con la madre” sostiene Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, specialista di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Milano. “Il vantaggio è evidente: avere due figure di riferimento che gli dedicano attenzione e gli dimostrano affetto rende il bambino più sicuro di sé, lo fa sentire protetto, sereno”.

L’amore dei padri per i figli non è certo la novità,semmai l’elemento innovativo è il modo in cui oggi i padri lo esprimono. Da sfatare è il falso mito secondo il quale un padre presente e attento possa essere un padre debole: si possono, assolutamente, coniugare i due aspetti e coesistere le manifestazioni di tenerezza e quelle di autorevolezza.  Vi è semplicemente necessità di imparare a conciliarle.

Il ruolo del papà nell’azione educativa, allora, in cosa consiste? Con il mutamento della società sono mutati anche i ruoli, passando a modalità sempre più flessibili che variano da coppia a coppia: caduti i modelli rigidi  del passato, siamo passati ad uan situazione “fluida”. É così che ogni nucleo familiare cerca il proprio equilibrio, il proprio assetto: d’altronde l’arrivo del primo figlio è sempre uno shock, un momento in cui gli equilibri si rompono ed è richiesta sempre più pazienza e capacità di adattamento.

Ed allo stesso modo, non esiste un’unica maniera di essere un buon papà. Ciò che conta davvero è “insegnare al figlio, sin da piccolo, che c’è qualcos’altro oltre alla mamma” dice Pellai. “e glielo può insegnare compiendo gli stessi gesti che compie la mamma, cambiandogli il pannolino o coccolandolo, ma in modo inevitabilemnte differente. Quando un papà culla il suo bambino per farlo addormentare, il suo corpo non odora di latte, la sua ninna nanna ha un tono più basso, le sue mani sono più grandi, i movimenti diversi. In questi momenti il piccolo impara che anche al di fuori del raggio materno ci sono sicurezza, amore e protezione”.

Vi sono diversi codici, quali quello normativo e quello di cura ed accoglienza: entrambi possono e dovrebbero coesistere in ciascuno dei genitori. “Ottenere il rispetto delle regole passando dall’imposizione autoritaria all’autorevolezza(...) è molto meglio se un bambino osserva le regole date dai genitori perchè si fida di loro e li ama, piuttosto che per paura della punizione”.

L’importante è il lavoro di squadra che richiede un grado di collaborazione che non si ottiene a caso:  alla base vi sono consapevolezza e condivisione di un piano educativo, tenerezza e fermezza.

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