Filippo Stirparo e la poetica della nostalgia

Nello scorso mese di marzo è scomparso, a Vibo Valentia, l’amico, parente e galantuomo, Filippo Stirparo. A me piace ricordarlo con le sue poesie.

“Su Surianisu e sugnu caminanti,/ su canusciutu ‘n cià tuttu lu riegnu;/ strati e paisi cuogghiu cià nu pugnu/ e duve c’este festa vaiu e viegnu….”  (Caminanti surianisu). Ed ancora. La lirica, perché di vera lirica si tratta, “Surianu mia mi manchi”, leggiamola insieme: “Spissu u pensieri mio scappa luntanu,/ e vola a l’anni belli chi ija a scola/ e mi giru u paisi,/ sti strati profumati i mastazzola./ I timpi i l’angeli cumbogghianu i spaij/ cuomu cuverta quandu ncimurratu,/ si scindi di Funtani vierzu a Vaij,/ ti trovi allu cummientu rifilatu,/ a villetta, a Chiazza ‘mpopulata,/ piensi a Torretta, u Timpuni, i Babbalani,/ e ti ritrovi cu sti nuomi strani/…Stu paisi è bellu pe davieru,/ è bellu ca è diverzu i tutti l’atri, e tu luntanu cuomu forestieru/ cu na speranza muta mu rimpatri./…”

È il lirico, commovente ed intrigante incipit del libro che dà l’avvio all’itinerario affettivo, generazionale ( che sarebbe stato anche del mio caro papà, sorianese anch’egli e anch’egli protagonista della triste stagione dello sradicamento dalla propria terra) non solo del nostro scrittore e poeta per passione  quanto di tanta altra gente costretta alla diaspora che vuole raccontarsi, ripercorrere la pellicola della vita. Non è un tornare indietro fine a sé stesso, piuttosto un voler capire, un voler indagare sul come eravamo, sul chi eravamo, alla maniera neorealistica. Tutto ciò  può avere un obiettivo didattico – educativo? Certo che sì! Sto parlando del percorso di vita scandito dentro l’album dei ricordi che ha per titolo “ ‘N’accucchiata i fanfugghi” tra “ proverbi, detti, curiosità paesane…e rime”, edito in proprio nel 2002 dal sorianese Filippo Stirparo  affettuosamente adottato da tantissimi anni dalla vicina Vibo Valentia. Una serie di poesiole, racconti, aforismi, proverbi, ritratti e medaglioni di personaggi simpaticamente particolari, direi meglio, un diario tutto valoriale che ripercorre la quotidianità di una, bisogna proprio dirlo, lontana fanciullezza di un piccolo borgo antico, il borgo delle tante chiese,  dai pendii d’incanto da dove si ammirava il mare dei sogni come un infinito irraggiungibile, eppure lì sotto mano, ma pur sempre lontano. Scrittore e poeta, per passione, davvero riservato e discreto ma pur smanioso di raccontarsi, perché cresciuto lontano da quel borgo natio, e di rivedersi con gli amici di giochi e confidenti di tante segrete speranze. È un desiderio naturale perché, come scrive, in prefazione, Martino Michele Battaglia, il lavoro editoriale di Filippo, è “una finestra su uno spaccato di vita vissuta (in parte in prima persona)  all’insegna di quei valori di cui oggi se ne avverte tanto la mancanza, immersi come siamo nella società del consumismo, e che portavano tra l’altro a considerare il proprio paese al centro del mondo, quale modello di moralità e di laboriosità.” Il borgo natio di Fillippo è Soriano Calabro, sì avete capito bene,  il paese calabrese più conosciuto nel mondo dal 1500 per il suo San Domenico, per la tela achiropita che il Santo ha voluto donare, in una notte di settembre, ai primi frati domenicani ivi accorsi per edificare una loro Casa che sarebbe stata il più grande e più importante  monastero del Regno. Ma non solo. Soriano è il paese delle “mastazzola”, i menzionati tipici dolci  che ormai sono entrati a pieno titolo anche nel mercato d’Oltreoceano; è il paese dei “cordari”, dei “cerari”, dei “peddrari”, dei “custurieri”, dei “fuochisti”, dei tipografi,  tutti mestieri, come altri, che fanno risalire la loro origine ai Domenicani. E di questo mondo, che va scomparendo, racconta Filippo Stirparo tra ironia, satira e rimpianti, insomma, come scrive nella postfazione Rocco Cambareri, “è corso ai ripari: ha radunato gli irripetibili giorni attorno a sé tramite questa “raccolta di trucioli”, questi sottili riccioli di legno; riccioli appunto, come quelli che, ancora fanciullo, ornavano il suo capo, ormai anch’esso lucidamente piallato.” Preferisco fermarmi qui, il lettore troverà ancora altrove tra i versi e i racconti altro seme di saggezza antica da spargere non per tornare indietro ma per vivere meglio. Al postutto si può ben dire di avere letto e ponderato in Filippo Stirparo, un poeta – scrittore, non di professione ma per diletto,  che, nel suo percorso memoriale intriso di sottile e triste romanticismo, ha compiuto un viaggio ricordando e rivivendo momenti della sua e nostra vita; insomma ci ha consegnato una testimonianza d’amore attraverso una scrittura densa e luminosa, chiara nelle metafore e nel registro simbolico.

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