L'amore al tempo delle serenate

I ricordi di gioventù di mia nonna parlano di serenate e di amori “fatti da lontano”, eh si a quel tempo l'innamorato lo potevi solo guardare da lontano. Mia nonna nacque e crebbe in un piccolissimo centro vicino a Nicotera, Badia. Crebbe con una nidiata di fratelli maschi che erano una vera tortura! Discoli e liberi scorazzavano per i campi creando scompiglio a mio nonno Peppino innamoratissimo di mia nonna. Mio nonno si presentava, di notte, con un amico “fidato”, sotto la finestra della sospirata per dedicarle una serenata; questa doveva servire come proposta formale di fidanzamento – per la famiglia di mia nonna – e da dichiarazione d’amore per la stessa. Devo dire che i mie bisnonni erano consenzienti, oltre la fama di donna dura della madre di mio nonno erano benestanti e questo contava a volte più dell'amore. Se la famiglia della ragazza non era consenziente alla proposta di fidanzamento, per il giovane spasimante erano dolori. La serenata si chiudeva, infatti, con insulti e secchi d’acqua che la mamma della fanciulla versava, indispettita, dalla finestra. I mie bisnonni accettarono quella serenata ed aprirono la porta di casa. Se si apriva, il ragazzo entrava, prendeva accordi coi genitori della sospirata e, il giorno dopo, entrava in scena ‘u mbasciaturi” colui che provvedeva a mediare e portare avanti le trattative tra le due famiglie (condizioni, abitazione, data di matrimonio, dote, pranzo matrimoniale, ecc.). La frase di mio nonno appena vide mia nonna fu molto bella:” l'oru si canusci puru ntà campagna”. Il primo incontro si fece nella masseria di famiglia. Da quel momento in poi il fidanzamento produceva un sacco di diritti e doveri per cui difficilmente poteva essere sciolto. Tornando alla serenata, le esperienze del passato ci insegnano che non erano rari i casi in cui, il “menestrello”, cantando per conto dell’amico, rimaneva lui stesso innamorato della ragazza. Figuriamoci le dicerie! In tal caso, trattandosi di “dolori di cuore” e di famiglia, molto gravi, era il giovane tradito a prendere l’iniziativa: indispettito si presentava sotto il balcone dell’amata e, in preda ai morsi della “rabbia”, dava di piglio ad alcuni versi di “sdegno”. Capitava anche questo nei nostri borghi, eppure oggi queste belle tradizioni sono scemate del tutto. A questo punto, se la ragazza non s’affacciava, quanto meno per smentire le dicerie del paese e dare un cenno di conforto al giovane, voleva significare che anche lei si era innamorata del “menestrello”. Ma, la serenata di “sdegno” o di rottura era un caso limite; quasi nella totalità delle volte il fidanzamento veniva accettato e, dopo alcuni giorni, il ragazzo portava i propri genitori presso la famiglia dei suoceri per chiedere la mano della figlia e la ragazza veniva “singata” (segnata): davanti a parenti e amici, il fidanzato metteva ufficialmente l’anellino al dito della fanciulla e da quel momento le due famiglie erano legate da vincoli indissolubili di parentela. Ovviamente il rito del “singo” potevano farlo in pochi per i tempi erano limitate. Solo i ricchi potevano permettersi il fidanzamento con l'anello. “U mbasciaturi” ed i “suppesseri” ( i suoceri) discutevano della vita economica dei giovani e di cosa portavano ( la dote). Trattandosi di una cosa familiare davvero seria, l’inadempienza da parte di una delle due famiglie, causava lo scioglimento definitivo del fidanzamento (era proprio questo il motivo per cui spesso si ricorreva al notaio). E' chiaro che a quel tempo non vi  erano possibilità come ora e quindi le fontane erano i luoghi fondamentali dove le ragazze da lontano venivano scelte. Una volta in casa vi era un cerimoniale da seguire mai uscire da soli era al vertice. Sedersi accanto escluso visitare la fidanzata due o tre volte a settimana. E soprattutto, “i cordi longhi si fannu serpi”, dicevano gli antichi, per cui entro 6 mesi ci si sposava. I fidanzati (zziti) potevano scambiarsi dei regali, ma, in caso di rottura del rapporto, venivano restituiti dal primo all’ultimo, specie se si trattava di regali in oro.

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