Serra: la lunga storia del presepe di Antonio Amato - lu Diavuliedhu

Avrò avuto 4 o 5 anni quando per la prima volta, mio padre mi portò con sé come aiutante per la realizzazione del tradizionale presepe di famiglia nella sua casa materna. La casa della nonna Nunziata nel quartiere di San Girolamo aveva una grande stanza che in passato era utilizzata come cantina, lì dentro era ancora presente l’odore del vino misto agli aromi del legno e del muschio che per buona parte dell’anno occupavano la fredda cantina. Per mio Padre il presepe non era semplicemente la rappresentazione plastica della natività di Gesù, e neanche inteso come un evento a se stante, per lui era un rito da condividere con la famiglia e con gli amici, era uno stato d’animo che iniziava i primi di novembre in concomitanza con la commemorazione dei defunti e terminava dopo il 3 febbraio con la festa patronale di San Biagio. Difatti, la prima domenica dopo “i morti “ uscendo dalla Curuneda domenicale egli esclamava: “ojhi ‘ncignamu lu prisiepu!”. L’allestimento del presepe durava appunto una quarantina di giorni, nei grigi e freddi pomeriggi invernali la cantina diventava un laboratorio artigianale dove si progettava e si realizzava a mano la piccola Betlemme serrese. Un aspetto assai particolare che contraddistinguva quelle giornate era la convivialità, la partecipazione di amici che incuriositi dai progressi giornalieri dell’opera venivano a farci visita ogni sera, sapendo di trovare (come consuetudine in quella casa) del buon vino è un paio d’ore di spensieratezza. Per prima cosa allestivamo un tavolato volutamente non livellato che formava una "U" all’interno della cantina, tale predisposizione lasciava al centro della stanza lo spazio per i visitatori. Fatto il tavolato si procedeva con i fondali, cioè venivano dipinti degli ampi paesaggi sulle tre pareti, i tre paesaggi riportavano fedelmente le caratteristiche geografiche proprie della Palestina, vi era un’area desertica, un’area ricca di vegetazione ed un centro abitato. Terminati i fondali bisognava decidere dove fare la “grotta” della natività ed intorno ad essa nasceva un grande e ricco presepe fatto di montagne, ruscelli, grotte, pascoli, accampamenti, fuochi e giochi di luci; protagoniste assolute le statuine di terracotta realizzate a mano da artigiani Serresi ed arrivate a noi grazie a mio nonno Giuseppe che fu il primo ad avviare il rito del presepe nella nostra famiglia. La collezione conta poco meno di 50 personaggi, la maggior parte dei pastori gli vennero regalati da un prete di Serra San Bruno, siamo negli anni ‘30 del secolo scorso ed il prete in questione era don Bruno Scrivo detto “di li Fiscazzi” il quale li realizzava a mano in terracotta appositamente su richiesta di mio Nonno, il quale dopo aver realizzato lavori di falegnameria, al compenso in denaro preferiva i preziosi manufatti. Quelle statuine costituivano per lui un patrimonio artistico ed affettivo inestimabile e per 30 anni circa ha  realizzato il classico presepe arricchendolo di anno in anno e coinvolgendo l'intera famiglia ed anche i tanti frequentatori della sua cantina,  fino al 1962 quando improvvisamente morì lasciando 4 figli. Il più piccolo di questi, Francesco Antonio (come amava chiamarlo il Padre) non vede l’ora di mettere mani su quei pastori e far rivivere il presepe del padre per ricreare la magia di quei ‘Natali belli’ con la famiglia tutta unita, ma la nonna Nunziata (sua mamma) non gli affida i pastori perché troppo piccolo. Antonio dovrà attendere il compimento del diciottesimo anno di età per poter realizzare il suo primo presepe con la collezione completa, da allora non si è più fermato, ha realizzato 47 presepi. In 47 anni ha sperimentato infinite tecniche, dalla carta dei sacchi di farina per modellare le rocce passando al sughero, la tecnica del gesso e del tonachino per ricreare le tipiche abitazioni con la cupola, poi le pietre di montagna e tante altre. Ricordo con nostalgia le centinaia di persone che ogni anno venivano a visitare e contemplare il nostro lavoro, la passione con la quale mio padre raccontava i suoi pastori, le mille angolazioni dalle quali ti faceva cogliere i particolari di ogni scena, i tanti aneddoti del passato sui presepi Serresi e sui costruttori. “Ce ne sarebbe da scrivere e da raccontare”.

Con questo mio memoriale voglio però ricordare un grande ‘Preseparo’ come lui stesso amava definirsi; appassionato, fantasioso intraprendente ed innovatore, ha sempre fatto ed amato il presepe, fino al 2015 anno in cui ha realizzato la sua ultima opera. Dal 2017 il testimone è passato a me e mia sorella, a noi è giunto un baule pieno di pastori, cultura e tradizioni, un baule con dentro le speranze e i sogni di chi ci ha preceduto. Non ho mai conosciuto mio nonno ma ho i suoi pastori, e grazie ad essi capisco qualcosa in più della sua esistenza e anche della mia. Sembra uno strano scherzo del destino ma neanche mia figlia conoscerà suo Nonno, ma ancora una volta i pastori saranno lì a ricordarle chi è da dove viene. Il presepe della famiglia Amato: 80 rappresentazioni in quasi 100 anni, 4 generazioni e un unico baule. I bauli nelle case serresi sono tantissimi, ai tempi di mio nonno tutte le famiglie avevano una collezione di pastori da custodire e tramandare, il presepe era un rito comunitario. Oggi siamo rimasti in pochissimi a mantenere viva questa tradizione, mentre i pastori rimangono nei bauli spesso dimenticati. Sarebbe bello far rivivere tutti i bauli e non solo per il significato affettivo ma anche per l’alto valore artistico, si parla di migliaia di statuine di pregevole fattura che sono la testimonianza di una comunità di artisti e di artigiani. Invito tutti i miei compaesani che celano questo patrimonio nelle soffitte a riflettere, ad aprire i bauli e a fare il presepe come si faceva alla Serra con i pastori di la Serra!

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