Un morto e un ferito. Quando la processione dell’Assunta finì a colpi di fucile

Sarà per il ritorno dei numerosi emigrati, sarà per la solennità dell’evento, ma la festa di “Menzagustu” a Serra ha un fascino particolare. Un fascino che nel corso degli anni si è arricchito di alcuni elementi, perdendone altri. Ciò che, ormai, sembra appartenere al passato è la feroce rivalità che un tempo ha visto contrapposte le due confraternite dell’Assunta, quella di Terravecchia e quella di Spinetto. Una rivalità, nata all’indomani del 1783, in seguito al terremoto ed al trasferimento di una parte della comunità serrese. Al di là dell’Ancinale, oltre al nuovo quartiere, venne costruita la chiesa nella quale trovò ospitalità la statua della Madonna che, fino ad allora, era sempre stata custodita a Terravecchia. Da quell’evento ebbe inizio la lunga contesa tra le due confraternite. L’asprezza del confronto, fu tale che quando i “terravicchiari” decisero di ricostruire la loro chiesa, constatata la volontà degli “spinittari” di non restituire la statua, spostarono sprezzantemente la facciata sul lato in cui si trova oggi, rivolgendo la parte posteriore verso i confratelli rimasti sull’altra sponda del fiume. Una rivalità segnata da due feste nello stesso giorno, da due distinte processioni e da qualche episodi di inusitata violenza. Giusto 155 anni fa, l’ostilità tra le due confraternite sfociò, addirittura, in uno scontro armato, con un morto ed alcuni feriti. Il 15 agosto 1860 c’era tensione nell’area. Garibaldi aveva quasi finito di conquistare la Sicilia e si accingeva ad attraversare lo Stretto. La notizia si era diffusa anche a Serra e l’atmosfera della festa era turbata dalle numerose voci che facevano presagire il peggio. La propaganda filo ed anti borbonica era in piena attività. Da una parte, si diffondeva l’idea che i seguaci dell’Eroe dei due mondi fossero ribaldi pronti a saccheggiare ed a fare terra bruciata attorno a loro. Dall’altra, si parlava dell’imminente fine della monarchia borbonica e dell’inizio di una nuova era. In ogni caso, c’era incertezza. Le persone comuni non sapevano quali potessero essere le conseguenze di ciò che stava accadendo. Ancor meno informate erano le donne del popolo, sempre pronte a divulgare, ovviamente, previo arricchimento di particolari inesistenti, ogni singolo pettegolezzo. Le voci incontrollate si erano diffuse, soprattutto, dopo il ritorno in famiglia dei primi soldati borbonici sfuggiti all’avanzata garibaldina. Come riporta la “Platea”, ovvero la cronistoria vergata dai cappellani della chiesa Matrice, i soldati “ raccontavano i tradimenti, i furti, gli abusi e le violenze praticate dagli amabilissimi nuovi fratelli che piovevano dal Piemonte per regalarci la promessa civiltà, ed anche le donne discorrevano di politica”. L’occasione per alimentare la “discussione” venne offerta dalla processione dell’Assunta di Spinetto. Le comari, tra un Rosario e l’altro, come è sempre successo, avevano trovato il tempo per fare considerazioni e commenti di varia natura. Ad un certo punto, la conversazione scivolò sulle notizie che giungevano dalla Sicilia. “Talune donne petulanti” iniziarono, così, a discorrere “dell’arrivo de soldati nelle famiglie e delle cose da essi raccontate, e delle belle cose da essi raccontate: della venuta delle truppe da Torino e delle loro rapine, e fra di loro si dimandavano: chi sa se anche qui verranno e ci toglieranno le nostre cose?”. In questo conteso nacque l’equivoco che avrebbe dato fuoco alle polveri. Una delle fedeli replicò, “ci penserà la Madonna”. L’arte del pettegolezzo richiede due caratteristiche particolari, orecchio lungo e lingua lesta. Una delle donne che seguiva la processione, con un orecchio ascoltava le litanie e con l’altro quello che si diceva intorno. Tratta però in inganno dal brusio e dalle voci che si sovrapponevano, intese tutt’altra cosa e riferì a chi le stava accanto, “vengono a riprendersi la Madonna”. Questa non perse tempo e lanciò l’allarme, gridando “vengono da Terra Vecchia a levarsi la Madonna”. Nonostante fosse passato quasi un secolo, l’attaccamento per la statua della Vergine, rimasta “prigioniera” degli “spinittari”, non era mai scemato da parte dei confratelli di Terravecchia. Venne, quindi, ritenuto plausibile, che i “terravicchiari” si fossero organizzati per andarsi a riprendere quella che consideravano la loro statua. La notizia circolò rapidamente e scoppiò il “parapiglia, una generale rivolta, un inferno”. Lasciato il Rosario, “tutti corsero a prendere armi, chi scure, chi ronche, chi bastoni, e si avviarono fremendo per la città”. Ciò che stava accadendo a “Spinetto” attraversò ben presto l’Ancinale. I “terravicchiari”, non persero tempo, sciolsero la processione e portarono la statua della Madonna nel palazzo Peronaci. “Subito Guardie cittadine e popolo, armati per resistere furono nel Largo San Giovanni, mentre gli spinettesi arrivano sul ponte”. Le due fazioni si fronteggiarono come soldati di eserciti in guerra. La tensione era altissima. Bastò poco per far scoppiare il finimondo. Partirono le prime schioppettate e com’era inevitabile ci scappò il morto. “A cadere fu “un certo Palello”, colpito a morte “sul ponte” mentre guidava gli “spinittari” che contarono, anche, diversi feriti. “Vi furono grida, schiamazzi, minacce, bestemmie, agitazione in tutto il paese e vigilanza fino alla notte. Le funzioni in chiesa furono sospese per più giorni, sull’accaduto parole e discorsi e poi altri avvenimenti richiamarono l’attenzione del popolo”. Nella notte tra il 18 ed il 19 agosto, infatti, Garibaldi era sbarcato in Calabria. Di lì a poco, i serresi avrebbero spostato la loro attenzione sulle Camice rosse della “colonna Garcea”, giunte nella cittadina bruniana, a fine agosto, per andare a mettere le mani sulle ferriere e sulla fabbrica d’armi di Mongiana.

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