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Calabria, ovvero la grande malata d'Italia

E’ la grande malata d’Italia. Una malata al cui capezzale si alternano medici le cui ricette, miracolose, prima di assumere l’incarico, diventano inutili palliativi all’atto pratico. La Calabria assomiglia, sempre più, ad un moribondo i cui rantoli vengono percepiti soltanto attraverso i dati e gli indicatori divulgati da qualche istituto di ricerca. Numeri che inesorabilmente inchiodano l’estremità meridionale dello Stivale agli ultimi posti di qualunque graduatoria. Prima della pausa agostana a fotografare la condizione di estrema arretratezza della regione era stato lo Svimez. A distanza di poco meno di un mese, ad offrire la dimensione di una terra che arranca, ci hanno pensato Unioncamere e Ref che, attraverso un’indagine sulla qualità dei servizi pubblici erogati nelle città italiane, hanno dimostrato la scarsa attrattività economica dei centri calabresi. La classifica, pubblicata ieri dal Corriere della Sera, incrocia le valutazioni sulla qualità ed il costo dei servizi con le esigenze di otto categorie di attività economiche. Al termine dell’indagine è stata stilata una classifica che, neppure a dirlo, relega all’ultimo posto un capoluogo di provincia calabrese, Cosenza. La città dei Bruzi, però, non rappresenta l’eccezione, bensì la regola. Sulle 101 aree urbane esaminate, Reggio Calabria occupa il 98° posto e Catanzaro il 96°. In altre parole, le maggiori città calabresi non riescono ad esercitare alcuna capacità attrattiva nei confronti di eventuali investitori. Sia che si tratti di impianti industriali che di attività commerciali, chi vuole fare impresa si guarda bene dal farlo in Calabria. I motivi, questa volta, non sono legati alla vetustà della rete infrastrutturale, alla presenza della ‘ndrangheta o alla distanza dei mercati. Si tratta di ragioni molto più semplici, ovvero la scarsa qualità ed il costo elevato dei servizi, alcuni dei quali, erogati dagli enti locali. Difficile, quindi, attribuire la responsabilità alla mala sorte, a Garibaldi o al disinteresse della politica romana. Chi governa Regione, Province e Comuni, sono calabresi, scelti da calabresi. Non si tratta di marziani piovuti dal cielo. Con chi prendersela, dunque, se le città calabresi spiccano per l’esiguità della raccolta differenziata? Se negli ultimi dieci posti della graduatoria relativa alla gestione della rete idrica figurano tutti e cinque capoluoghi di provincia calabresi, la colpa non può certo essere attribuita al destino cinico e baro. Si tratta di due esempi che offrono la plastica dimostrazione di come buona parte dell’arretratezza della Calabria dipenda proprio da noi. Quanto la situazione generale sia compromessa lo testimonia, la cronica incapacità di gestire ciò che altrove non rappresenta altro che l’ordinaria amministrazione. In un contesto del genere è difficile immaginare un futuro meno grigio del presente, a meno che non vengano compiute scelte rivoluzionarie, anche se, in Calabria la vera rivoluzione è trovare la normalità

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