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Regione, affiorano crepe nel Pd: Guccione “azzoppa” Oliverio

Ad un certo punto, nell’Aula di Palazzo Campanella, le bretelle rosse di Carlo Guccione vibravano. Ogni parola, ogni movimento, ogni sguardo dell’ex assessore al Lavoro sembravano tradursi in tuoni e fulmini sulla testa di Mario Oliverio. In pochi mesi, due pilastri del Pd regionale sono passati dall’asse allo scontro. Plastica dimostrazione la discussione sul nuovo Por in Consiglio regionale: Guccione ha attaccato a testa bassa facendo riferimento a copiature mal riuscite dai documenti della Regione Sicilia, ad atti già inviati alla Commissione europea (con conseguente vanificazione del dibattito in Consiglio e mortificazione del ruolo dei consiglieri regionali), alla presentazione di  un emendamento per uno studio di fattibilità riguardante la mobilità nella città metropolitana di Reggio Calabria. Atteggiamenti che il governatore non ha affatto gradito passando al contrattacco e bollandoli come “strumentali”. Non c’è bisogno di commenti per rendere l’idea dello stato d’animo di Guccione: “Presidente lei non si deve permettere”, “non siamo al mercato ma al consiglio regionale”, “se lei si prende la responsabilità allora c’è da preoccuparsi” sono solo alcune delle frasi che certificano una rottura che provocherà nuovi problemi ad un partito sempre alle prese con travagli e tribolazioni. È guerra aperta, infatti, nella compagine renziana. E c’è confusione, tensione, nervosismo: le incomprensioni fra Nicola Irto e Orlandino Greco che hanno portato alla sospensione per 20 minuti della seduta sono un’ulteriore prova. Senza dimenticare i malesseri sempre più evidenti di Flora Sculco, a cui va dato atto di avere un sorprendente temperamento, ed il rientro a casa anticipato di diversi consiglieri regionali che non si sono preoccupati del rischio che la maggioranza andasse sotto (la proposta di discutere l’emendamento di Guccione è stata respinta sul filo del rasoio: 13 a 10). E poi c’è una giunta anonima, che soffre per la mancanza di legittimazione popolare e che, forse per questo, ha dato l’impressione di essere spettatrice passiva della discussione: la sensazione è che ci sia anche il timore d’intervenire e di essere accusati da una minoranza che, quasi quasi, non credeva ai propri occhi nel vedere la controparte sfilacciarsi sotto i colpi del fuoco amico. La strategia dell’uomo solo al comando vacilla a meno di un anno dalle elezioni: Oliverio alza la voce, ma è in difficoltà. I suoi ruggiti presto non basteranno a rintuzzare attacchi e richieste di chiarimenti (“strumentali” o meno) della sua stessa sponda politica.

 

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