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Caso Marò, la lettura di Stefano Tronconi: “Dall’Italia solo stampelle all’India”

“La rinuncia da parte italiana a rivendicare in modo forte e coerente l'innocenza dei due fucilieri di marina non solo si ritorce regolarmente da oltre tre anni e mezzo contro ogni iniziativa italiana, come avvenuto da ultimo anche con la decisione sfavorevole del tribunale di Amburgo, ma consente all'India di vantare di fronte al mondo intero un inesistente 'credito morale' (e caricando sull'immagine italiana e dei Marò un equivalente 'debito morale') per la morte di due pescatori con cui i Marò però niente hanno a che fare”.  Stefano Tronconi, l’autore di una ricostruzione indipendente, ma che ha finito per incastrarsi e coordinarsi  rispetto a quelle effettuate da Toni Capuozzo e Luigi Di Stefano, offre una lettura forte, schietta, passionale della vicenda che ha investito Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due Marò accusati di essere i responsabili della morte di due pescatori indiani. La sua intenzione è quella di dimostrare, portando a conforto delle proprie tesi una serie di prove raccolte in seguito a rilievi ed analisi puntuali, l’innocenza dei due fucilieri. Ma non rinuncia a guardare oltre gli steccati prettamente tecnici, osservando contesti generali e azioni specifiche.  “L'internazionalizzazione del caso – spiega Tronconi - in assenza di una contestuale rivendicazione forte e coerente dell'innocenza dei Marò, è sempre stata una 'bufala' buona solo per qualche politico nostrano da strapazzo. Lo stesso vale, una volta persa l'occasione di avviarlo ad inizio vicenda, per l'arbitrato internazionale. Senza la rivendicazione forte e coerente dell'innocenza dei Marò purtroppo – è la mesta puntualizzazione - l'unica soluzione di questa farsa potrà infatti venire solo dalla 'clemenza' indiana nei tempi e nei modi che risulteranno più congeniali all'India”.  Questa interpretazione è dovuta alla circostanza per cui “ad Amburgo, l'India ha ovviamente presentato la ricostruzione e le 'prove' costruite a tavolino, già note ed ampiamente screditate, che conosciamo da anni. A questo punto neppure l'India se ne può certo inventare altre. Ma questo poco importa perché il tribunale arbitrale, maldestramente invocato ora dall'Italia, nessun titolo ha od avrà per entrare nel merito della vicenda dovendo per statuto limitarsi a trattare gli aspetti di competenza giurisdizionale. Se questo castello di carte continua a stare in piedi è per il semplice fatto che in Italia c'è chi continua ad offrire all'India ogni possibile stampella ed il ricorso all'arbitrato internazionale previsto dall'UNCLOS è stato solo l'ultima dell'infinita serie di queste stampelle. Un altro tipo di stampella è quella fornita a più riprese negli ultimi tre anni e mezzo dal giornalismo italiano”. Quindi, un esplicito riferimento al dibattito offerto al riguardo dalla politica italiana: “toccando nuovi minimi di decenza, nei giorni scorsi abbiamo sentito dalla voce dei nostri stessi politici che chi guida il nostro Paese è collocabile o tra i 'vermi' o tra le 'bestie'. Faccio solo presente che se tra i 'vermi' vi fosse qualcuno che, al di là dello strisciare davanti all'India, volesse riguadagnare un po' di dignità e tra le 'bestie' vi fosse qualcuno che, al di là del ringhiare vanamente all'India, volesse agire con un po' di razionalità, questa triste vicenda Marò offre ancora lo spazio per fare finalmente quello che nessuno ha fatto finora. E visto che nessuno pare averlo ancora capito, il come posso provare a spiegarglielo io. L'avvio dell'arbitrato internazionale (che i 'vermi' giustamente fanno notare essere stato richiesto a gran voce dalle 'bestie') ha reso oggi ancora un po' più difficile un'azione di forte e coerente rivendicazione dell'innocenza dei Marò. Ma quella – è la conclusione - è da sempre l'unica vera strada percorribile affinché anche Salvatore Girone, dopo quattro tragiche estati, non continui ancora a rimanere ostaggio solo dei tempi e delle convenienze politiche indiane”.

 

 

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