A scuola con un nano dai piedi d'argilla

 "Nulla può essere accettato senza vagliare. Nemmeno la tradizione”.  La scuola di oggi sembra invece voler affrancarsi del tutto dalla tradizione, o almeno da una certa tradizione. Come quel nano che si rifiuta di stare sulle spalle del gigante. La vita oggi è bassa, puntiamo in basso ed eliminiamo il dopo per prendere adesso. Non ci piace aspettare, non ci interessa “salire” su quelle spalle che ci aiuterebbero a guardare “oltre”.
La tradizione diventa nozione. Tante nozioni. E le nozioni svuotate dal contesto che le produce, dalla mano che le traccia, e dal cuore che le pensa, diventano appunto vuote, sterili, noiose. Manzoni obsoleto, Dante troppo teocentrico, e Pinocchio poverino, così ingenuo, perciò sempre nei guai, se non fosse per quella fata e per le circostanze fortuite o fortunose, casuali o misericordiose che in qualche modo permettono al buono di fare il buono in un mondo di furbi. La morale delle piccole cose, del rispetto per un babbo ferito, della responsabilità presa dopo lunghe lotte con sé stessi, perché giocare ci riesce facile, ma sopravvivere a lungo ci tedia, e preferiamo diventare protagonisti di una vita e di una missione. La morale del bene che vince sul male, del legno duro e freddo che diventa carne viva per una serie di conferme d'amore, oggi non ci interessa più, soprattutto se tra le righe impariamo a leggere parole come responsabilità, rispetto, criticità. Nonostante tutto, Pinocchio a scuola piace, e gli alunni a cui l'ho proposto, dalle scuole Elementari fino alle scuole superiori, lo hanno letto con gusto. Ma Pinocchio e Dante sono iniziative personali di qualche insegnante anacronistico, non più propriamente programma di studio. Per fortuna la libertà della didattica. Per fortuna le leggi in proposito non ci imbavagliano ancora. Ma lo sviluppo di una posizione davvero critica è un rischio. Per lo Stato che ci nutre, per la scuola che si svuota di tutto tranne delle etichette. E per me, che facendo quello che amo, e parlando di quello in cui credo, potrei incorrere nel rischio di stimolare troppo la curiosità dei miei alunni, di creare esseri pensanti, di lanciare nella sfida quotidiana uomini e donne dall'atteggiamento critico, perciò pericoloso. “Fatti non foste a viver come bruti”, gli ripeto spesso, ed insegno in un Istituto professionale, “ma per seguir virtute e canoscenza”. Non mi importa se qui l'italiano è materia secondaria. “Vagliate tutto e trattenete ciò che vale”. Questo è ciò che mi interessa nel mio lavoro: che quelle "spalle" su cui mi siedo, la mia tradizione, Dante e Collodi, restino vivi e cosa preziosa e necessaria. Innanzitutto lo sono per me, quindi spero lo diventino per i miei alunni. Perché sia anche critico, e non nozionistico, il loro imparare.

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