Il terremoto del 1908 ed i soccorritori romani a Reggio

Reggio e Messina hanno festeggiato da alcune ore la nascita di Cristo quando, alle 5,21 di lunedì 28 dicembre 1908, una potente scossa scuote i sismografi di tutta Europa e rade al suolo tutto ciò che si trova in un raggio di diversi chilometri. Dei suoi 140 mila abitanti Messina ne vede perire 80 mila, 15 mila rimangono sotto le macerie di Reggio, tanti altri vengono seppelliti dai resti delle povere case nei centri minori.  L’Italia ed il mondo vengono messi al corrente del disastro solo la mattina successiva, quando il Corriere della Sera pubblica la notizia. A darne comunicazione al Governo è la torpediniera “Spica”, costretta a navigare fino a Nicotera Marina, sulla costa Calabra per trovare un telegrafo ancora funzionante. La notizia recapitata al ministro della Marina, l’on. Mirabello, si presenta con il seguente tenore: "Oggi la nave torpediniera Spica, da Marina di Nicotera, ha trasmesso alle ore 17,25 un telegramma in cui si dice che buona parte della città di Messina è distrutta. Vi sono molti morti e parecchie centinaia di case crollate. È spaventevole dover provvedere allo sgombero delle macerie, poiché i mezzi locali sono insufficienti. Urgono soccorsi, vettovagliamenti, assistenza ai feriti. Ogni aiuto è inadeguato alla gravità del disastro. Il comandante Passino è morto sotto le macerie". I primi soccorsi alle due città devastate giungono alcune ore più tardi, all’alba del 29 dicembre con l’arrivo dei marinai della flotta russa in quei giorni impegnati in manovre delle acque del Mediterraneo. Da tutta la Penisola, oltre agli aiuti predisposti dal Governo presieduto da Giovanni Giolitti, arrivano squadre di soccorso frutto della gara di solidarietà nazionale. Al personale della Sanità militare, cui viene demandato il compito di predisporre gli ospedali da campo e fornire il personale medico e paramedico specialistico, si uniscono contingenti di volontari della Croce Verde, della Croce Bianca, di organizzazioni umanitarie e degli ospedali civili. La Croce Rossa e l’Ordine dei Cavalieri di Malta mettono in funzione anche dei “Treni Ospedale” che si occupano della cura e del trasferimento dei feriti in altre città. Nelle ore caotiche e tormentate del post terremoto Roma assolve il proprio compito di capitale del Regno. Dalla Città Eterna, oltre alle direttiva, partono treni carichi di aiuti. Le squadre di soccorso provenienti dal nord giungono in treno a Roma, da qui proseguono per Napoli da dove  partono le navi sulle quali viaggiano soccorsi e soccorritori. I soccorritori romani concentrano la loro attività soprattutto a Reggio e su buona parte della costa calabra. A poche ore dalla tragedia, Giovanni Cena, per le colonne di Nuova Antologia, da Palmi, una delle cittadine calabresi maggiormente colpite dal terremoto, scrive: "Il tenente, Bodeo, romano, ch’era qui in distaccamento, dopo aver salvato i suoi, ha, con 500 assicelle per letti dei soldati, fatto costruire tredici baracche". Ai militari, che per dovere d’ufficio sono chiamati ad assolvere le mansioni dei soccorritori, si associano centinaia di civili. I romani non si risparmiano nella generosa opera d’aiuto, tanto che in molti casi sono tra i primi a giungere sui luoghi del cataclisma. Come riporta Nuova Antologia "la squadra di Roma, condotta dal Ballori e dal Rossi-Doria, fu la prima ad accorrere a Reggio". Tanti i superstiti strappati alle macerie dall’abnegazione di uomini che compiono fino in fondo il loro dovere. Sull’edizione dell’1-2 gennaio 1909 il quotidiano Roma riporta una corrispondenza spedita da Reggio Calabria il 31 dicembre nella quale si segnala: "Vi confermo ora che Reggio è quasi completamente distrutta. Si calcola che appena da un terzo della popolazione ascenda il numero dei superstiti. Continua l’opera di salvataggio compiuta con grande abnegazione. La truppa è giunta ieri da Napoli. Il servizio sanitario è disimpegnato dalla 9a compagnia di sanità di Roma e dalla Croce Rossa di Napoli". Sul primo dispaccio spedito per le colonne del Corriere della Sera l’inviato Nardini scrive: "Mentre scrivo qui accanto la folla urla disperatamente invocando prontezza di soccorsi. Restare tra queste rovine significa una sofferenza indicibile. I soldati e i marinai fanno sforzi inauditi, benché ormai affranti; anche le suore di carità sono eroiche, e i pompieri di Roma fanno miracoli. Ma ormai tutto è distrutto e nessuna casa è servibile. I morti sono putrefatti, i feriti aggravati, i vivi sconvolti". Tanti i riconoscimenti ai soccorritori romani segnalati sui maggiori organi d’informazione. Del resto le squadre romane non limitano i loro interventi ai centri costieri, spesso si spingono nei paesi più remoti e meno accessibili. A Scilla, scrive Giovanni Cena, "Troviamo, oltre i medici inglesi, una squadra di coraggiosi studenti venuti da Roma, e la Croce Verde di Milano. Arrivati stamani, hanno già visitato i paeselli del monte, Melia, Solano. Ci danno delle cifre di morti e di feriti". A distanza di giorni nelle situazioni più disagevoli e precarie i soccorritori romani continuano a prodigarsi per portare avanti la loro opera. "Anche oggi, quarto giorno della catastrofe – scrive Olindo Bitetti - furono scoperti nuovi superstiti sotto le macerie. I pompieri romani compirono i medesimi eroismi dei russi". Nel marasma di polemiche che accompagna i soccorsi anche la stampa anti governativa evidenzia la presenza e l’attività dei soccorritori romani. L’Avanti!, organo del Partito socialista, del 4 gennaio 1909 a firma di Tommaso Rossi-Doria riporta la presenza a Reggio, già la mattina del 30, dei "medici romani Mancinelli, Cherubini, Ricci [che] hanno subito cominciato a medicare feriti". Ai fiumi d'inchiostro che hanno  giustamente celebrato le imprese dei marinai russi a Messina, quasi mai è corrisposta altrettanta solerzia nel narrare la storia a volte dimenticata di medici, studenti, popolani e soldati romani che sulle rive dello Stretto portarono il vessillo e la solidarietà della capitale d'Italia.

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