'Ndrangheta, Operazione "Saggio Compagno 2": nomi e dettagli degli arrestati nel blitz all'alba

Alle prime luci dell’alba di oggi, supportati da personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori, dell’8° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Vibo Valentia e da militari delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia, Catanzaro, Cosenza, Chieti e Verbania, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di complessive 19 persone (18 destinate in carcere ed 1 destinata agli arresti domiciliari), ritenute responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso (capo d’imputazione contestato a 14 indagati), estorsione, detenzione abusiva di armi, ricettazione, favoreggiamento personale, danneggiamento seguito da incendio, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate, violazione di disposizioni per il controllo delle armi ed in materia di armi clandestine, detenzione di stupefacenti, tutti aggravati dal metodo mafioso. L’odierno provvedimento si inserisce nell’ambito dell’operazione "Saggio Compagno", che già il 15 dicembre e l’8 gennaio scorsi aveva portato all’esecuzione di un decreto di fermo e di altra ordinanza di custodia cautelare in carcere rispettivamente nei confronti di 36 e 29 persone, oltre al sequestro preventivo di beni mobili, immobili e conti correnti del valore complessivo di circa 400.000 euro. L’operazione "Saggio Compagno" era stata così denominata, in quanto trae origine dall’appellativo con cui il principale indagato, Giuseppe Ladini, si rivolgeva, sostengono gli inquirenti, al suo più fidato sodale, Leonardo Tigani. Le indagini erano state avviate dai Carabinieri della Compagnia di Taurianova nel novembre 2013, sviluppando ulteriormente alcune acquisizioni investigative  dell’operazione "Vittorio Veneto", che all’epoca aveva consentito di trarre in arresto 8 persone per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e violazioni in materia di armi, nonché successivamente determinato la collaborazione del presunto esponente di vertice di quel sodalizio, Rocco Francesco Ieranò (tuttora detenuto). Quest’ultimo, dopo essersi dichiarato fin dall’inizio 'ndranghetista ed appartenente alla Locale di Cinquefrondi, ha riferito preziose informazioni in merito all’assetto della struttura criminale di cui faceva parte, con particolare riferimento al ruolo rivestito da Giuseppe Ladini, indicato come ‘ndranghetista appartenente alla stessa locale, con un ruolo apicale associato alla carica del "Vangelo". Il complesso delle articolate attività tecniche (intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché riprese video) e di riscontro, incrociato ed analizzato con le risultanze investigative derivanti anche dalla collaborazione di Ieranò, ha permesso di: individuare i soggetti appartenenti all’organizzazione mafiosa identificata in Locale di Cinquefrondi, che peraltro frequentavano l’abitazione di Giuseppe Ladini o comunque gravitavano a vario titolo attorno alla sua figura; cogliere in maniera inequivocabile, secondo quanto riferito dagli investigatori, le varie condotte compiute anche da ciascuno degli odierni arrestati, dimostrando la loro attiva collaborazione alle presunte attività illecite di Ladini e della Locale di Cinquefrondi di cui facevano parte. Riscontri delle prime risultanze investigative, erano infatti già stati anche: l’arresto in flagranza eseguito il 1 marzo 2014 nei confronti di Ettore Crea (tuttora detenuto), rampollo dell’omonima famiglia mafiosa di Rizziconi  trovato in possesso di un fucile mitragliatore di provenienza illecita, la cui compravendita era stata trattata poco prima con Ladini presso la sua abitazione; il fermo di indiziato di delitto eseguito il 25 marzo 2014 nei confronti di Giuseppe Ladini, il quale aveva manifestato l’intenzione di disperdere tutto il materiale illecito di cui disponeva, nonché di darsi precauzionalmente alla fuga; nella circostanza erano state recuperate anche numerose armi e parti di armi, nonché un chilogrammo di cocaina, il tutto, sulla base di quanto ricostruito dai Carabinieri, oggetto delle trattative condotte da Ladini con gli altri indagati; il fermo di indiziato di delitto eseguito il 7 aprile 2014 nei confronti di Antonella Bruzzese, Lorenzo Bruzzese, Emanuele Papaluca, Leonardo Tigani,  Antonio Raco e Antonio Valerioti, sul conto dei quali erano già stati riscontrati, affermano i titolari dell'indagine, evidenti elementi di responsabilità in particolare in ordine al traffico di armi condotto unitamente al Ladini.  Le dichiarazioni del collaboratore Ieranò avevano poi trovato genuina rispondenza, secondo la ricostruzione dei militari dell'Arma, innanzitutto nelle attività tecniche eseguite presso l’abitazione di Ladini, dove peraltro lo stesso, è il convincimento degli inquirenti, continuava a delinquere senza alcuna remora nonostante fosse sottoposto a detenzione domiciliare. Secondo quanto emerso in fase investigativa, inoltre, Ladini, con la stretta collaborazione morale e materiale innanzitutto della moglie e del suo nucleo familiare, avrebbe manifestato la chiara volontà di costituire a Cinquefrondi una nuova articolazione criminale sotto la sua guida; a tal fine, avrebbe intrattenuto  tutta una serie di rapporti con numerosi pregiudicati, facenti capo non solo al contesto delinquenziale cinquefrondese, ma anche ad altre aree della province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, dando quindi prova, sostengono gli inquirenti, della sua caratura criminale e dell’importanza della locale di cui faceva parte. L’odierna misura cautelare, originata dal medesimo contesto investigativo di cui ai provvedimenti eseguiti il 15 dicembre e l’8 gennaio scorsi, è stata quindi emessa nei confronti di ulteriori soggetti ritenuti ugualmente appartenenti e contigui alla 'Locale di Cinquefrondi, a carico dei quali però non erano stati precedentemente ravvisati i presupposti per l’emissione del provvedimento di fermo eseguito il 15 dicembre 2015. Tra i vari fatti contestati, nell’ambito del progetto di Ladini, di costituire una propria 'ndrina, era emerso anche il suo intento di acquistare il ristorante "Il Fungo" di proprietà del presunto "Capo Locale" Costantino (già arrestato in occasione dell’operazione del 15 dicembre 2015): quel luogo non costituiva infatti un mero oggetto di investimento, ma esprimeva Tripodi un’elevata valenza simbolica, in quanto era di proprietà di colui che era considerato il vecchio "Capo Locale” di Cinquefrondi, ma soprattutto era il luogo attorno al quale anche nel recente passato avevano gravitato i personaggi di maggiore spessore della Locale, tra cui Rocco Francesco Ieranò, che in occasione della sua cattura nell’estate del 2013 fuggì proprio da quel luogo.  Inoltre, lo spessore criminale della figura di Giuseppe Ladini e di tutti i personaggi che lo circondavano è emerso anche quando aveva aspramente rimproverato Angelo Petullà e Raffaele Petullà (già arrestati in occasione dell’operazione dello scorso 15 dicembre), per aver aggredito verbalmente e fisicamente un operaio boschivo della zona, ritenuto colpevole di aver tagliato degli alberi in una zona che risultava invece di interesse proprio della famiglia Petullà. Secondo l'intepretazione degli investigatori, la disapprovazione di Ladini, palesata nella sua abitazione ed alla presenza dei  Petullà, si riferiva al fatto che una simile aggressione compiuta nei confronti di un soggetto che si stava recando proprio a casa sua, avrebbe rischiato di incrinare la sua autorevolezza ed il suo prestigio criminale agli occhi esterni.  Altra conferma,a giudizio dei titolari dell'indagine, dell’influenza e controllo del territorio esercitato da Ladini è anche l’episodio in cui un abitante del luogo si era appositamente recato presso l’abitazione di Ladini per lamentare il comportamento del suo fidato sodale,  Leonardo Tigani, il quale, pur avendo ricevuto nel tempo numerosi favori, aveva comunque appiccato un incendio ad una casetta rurale di sua proprietà, quale ritorsione per una controversia di vicinato scaturita dall’eccessiva sporgenza di un albero. Infatti, sono stati diversi gli ammonimenti che Ladini avrebbe conseguentemente rivolto a Tigani, per essersi mal posto nei confronti di una persona che si sarebbe sempre manifestata "disponibile", innanzitutto per non aver denunciato il danneggiamento.  Lo spessore di LadiniI e dall’organizzazione nel suo complesso, sono stati riscontrati, è idea degli investigatori, anche con la reiterata presenza dei pluripregiudicati gemelli Francesco e Raffaele ierace, giovanissimi e presnuti rampolli della criminalità cinquefrondese, i quali, pur essendo già detenuti da tempo, utilizzavano i permessi premio di cui beneficiavano anche per fare visita a Giuseppe Ladini presso la sua abitazione: nel corso di tali incontri avrebbero infatti più volte discusso di numerosi aneddoti – presenti e passati – relativi alla vita ed alle attività illecite della Locale di Cinquefrondi, manifestando quindi tutta la loro consapevole partecipazione ed il loro chiaro sostegno al sodalizio. Oltre alle movimentazioni di armi, numerose sarebbero state anche le contrattazioni per la compravendita di soldi falsi e partite di cocaina. Nell’ambito del focolare domestico, non era infatti così raro, dichiarano i Carabinieri, che Ladini, con l’ausilio dei suoi sodali, prelevasse o trasferisse nel rudere di cui disponeva svariati involucri contenenti stupefacente, che poi confezionava e predisponeva in casa per le sue trattative successive. Anche nell’ambito di tale presunta attività illecita, oltre che per la movimentazione di armi, emerge come i primi e più stretti fiancheggiatori degli affari di Ladini e del suo ruolo di predominio fossero proprio i suoi più stretti familiari, ad ulteriore conferma del ruolo, si legge nell'ordinanza di custodia cautelare., tipicamente esercitato dalla famiglia anche in questo presunto contesto 'ndranghetistico.  Con riferimento al provvedimento restrittivo eseguito nel corso dell’odierna operazione, i destinatari sono stati i seguenti: soggetti indagati per la violazione dell’art. 416 bis C.P., in quanto ritenuti appartenenti alla struttura criminale ricostruita (che si aggiungono a quelli già arrestati a seguito delle pregresse risultanze investigative):

Antonella Bruzzese, moglie di Giuseppe Ladini, in atto già agli arresti domiciliari, individuata quale presunta componente dell’organizzazione, con il compito di coadiuvare il coniuge nella custodia e nella compravendita delle armi, nonché nella gestione dei rapporti con gli altri affiliati.

Antonella Bruzzese, dopo essere stata sottoposta a fermo d’indiziato di delitto nell’aprile 2014 e quindi destinataria di custodia cautelare agli arresti domiciliari per i reati in materia di armi, era già stata condannata nel giugno scorso alla pena di 10 anni 1 e 10 mesi di reclusione e 48.800 euro di multa. Infatti, secondo gli investigatori, era già emersa nella prima fase delle indagini come persona a totale disposizione della consorteria per qualsiasi esigenza, palesando inoltre una spregiudicatezza senza pari nella riscossione dei crediti vantati nei confronti di terzi, nell’occultamento delle armi e nella movimentazione delle stesse;

Giuseppe Bruzzese, in atto già detenuto, individuato quale presunto componente dell’organizzazione in possesso di una dote in corso di accertamento, la cui affiliazione sarebbe stata promossa da  Rocco Francesco Ieranò;

Serafino Bruzzese, in atto già detenuto, individuato quale presunto componente dell’organizzazione in possesso di una dote in corso di accertamento, la cui affiliazione sarebbe stata promossa da Rocco Francesco Ieranò;

Fortunato Foriglio, individuato quale componente dell’organizzazione nell’ambito dell’omonima cosca, con competenza specifica e quasi esclusiva nel settore delle estorsioni. Storico appartenente alla ‘ndrangheta, a parere degli inquirenti,  Fortunato Foriglio avrebbe assunto in più circostanze gravi comportamenti intimidatori, sintomatici della sua presunta capacità di imporre atteggiamenti omertosi, palesando una spregiudicata reiterazione anche delle condotte che già in passato ne avevano determinato la condanna sia per estorsione, che per associazione mafiosa;  

 Raffaele Giovinazzo, in atto già detenuto, individuato quale presunto componente dell’organizzazione in possesso di una dote in corso di accertamento, la cui affiliazione sarebbe stata promossa da Rocco Francesco ieranò, del quale era considerato il fidato braccio destro e con il quale si sarebbe sottratto alla cattura nel luglio 2013, nel corso dell’operazione "Vittorio Veneto";

Francesco Ierace, in atto già detenuto, individuato quale presunto componente dell’organizzazione, facente parte della presunta cosca Ladini, con il ruolo di coadiuvare il capo Giuseppe Ladini;

Raffaele Ierace, in atto già detenuto, fratello gemello di Francesco ierace, individuato quale presunto componente dell’organizzazione, facente parte della presunta cosca Ladini, con il ruolo di coadiuvare Giuseppe Ladini.

I gemelli  Francesco e Raffaele Ierace, discendenti dell’omonima famiglia di presunte tradizioni 'ndranghetiste, sarebbero – al pari di  Giuseppe Ladini – fra i personaggi di maggior rilievo del sodalizio mafioso, in quanto, pur essendo detenuti, avrebbero utilizzato spesso i permessi premio di cui beneficiavano per frequentare l’abitazione di Giuseppe Ladini e sostenerlo nel suo progetto di costituire di una propria 'ndrina autonoma nell’ambito della Locale di Cinquefrondi;

Giuseppe Ladini, in atto già detenuto, individuato quale componente dell’organizzazione in possesso della dote del "Vangelo", presunto capo dell’omonima cosca operante nella Contrada Petricciana di Cinquefrondi;

Maurizio Monteleone, individuato quale presunto componente dell’organizzazione in possesso della dote di "Picciotto", il quale, ancorché incensurato e residente da tempo a Domodossola, in provincia di Verbano-Cusio-Ossola, nei periodi in cui faceva ritorno in Calabria avrebbe partecipato alle riunioni di 'ndrangheta, manifestando la propria disponibilità in favore dei sodali, e quindi fattivo sostegno al sodalizio;

Angelo Napoli, individuato quale presunto componente dell’organizzazione in possesso della dote di "Sgarrista", il quale, ancorché incensurato, avrebbe preso regolarmente parte alla riunioni di 'ndrangheta, dimostrandosi quindi pienamente a disposizione degli altri sodali;

Antonio Raco, in atto già detenuto, individuato quale presunto componente dell’organizzazione, facente parte della presunta cosca Ladini, con il ruolo di coadiuvare Giuseppe Ladini nell’attuazione del programma criminoso della sua 'ndrina;

Leonardo Tigani, in atto già detenuto, individuato quale presunto componente dell’organizzazione, facente parte della presunta cosca Ladini, con il ruolo di coadiuvare Giuseppe LAdini nell’attuazione del programma criminoso della sua 'ndrina;

Antonio Valerioti, in atto già detenuto, individuato quale presunto componente dell’organizzazione, facente parte della presunta cosca LadiniI, con il ruolo di coadiuvare Giuseppe Ladini nell’attuazione del programma criminoso della sua 'ndrina;

Antonio Zangari, individuato quale componente dell’organizzazione in possesso almeno della dote del "Vangelo", insignito anche della carica di "Capo Società" e "Contabile", deputato a rappresentare la "Locale" nei rapporti esterni alla consorteria. Antonio Zangari sarebbe anche colui che interloquiva con il "Capo Crimine" Mico Oppedisano e avrebbe deliberato, unitamente agli altri, le linee guida di condotta degli affiliati e le competenze nel settore delle estorsioni;     

soggetti indagati per altri episodi delittuosi, principalmente riferiti a violazioni in materia di armi e stupefacenti (che si aggiungono a quelli già arrestati a seguito delle pregresse risultanze investigative):

Salvatore Bono, nipote del presunto capo locale Costantino Tripodi, per aver acquistato da Fabio Porcaro, anch’egli accusato di appartenere alla Locale di Cinquefrondi, una pistola calibro 22;

Domenico Papalia, per aver tenuto condotte finalizzate ad approvvigionarsi di stupefacente del tipo cocaina da Giuseppe Ladini;

Salvatore Romeo, per aver detenuto illecitamente due pistole e per aver trattato, unitamente a Giuseppe Ladini, la compravendita di altre armi dello stesso tipo;

Michele Vomera, per aver detenuto e portato illecitamente più volte in luogo pubblico varie armi, oltre che per aver trattato la compravendita di altre con Giuseppe Ladini.

 

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