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Arrestato l'imprenditore Filippo Gironda considerato "organico ai Tegano"

Nella giornata di ieri, i carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, hanno tratto in arresto,  in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, l’imprenditore Filippo Gironda, di 40 anni. Coinvolto nell’indagine del Nucleo investigativo dei Carabinieri reggini denominata “TNT 2”, l’uomo è ritenuto responsabile di associazione a delinquere di tipo mafioso ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. In particolare, l’arrestato è ritenuto organico alla cosca “Tegano”, particolare attiva nella città di Reggio Calabria. Secondo gli investigatori l’uomo si sarebbe “attivato, mediante minacce e percosse, per ottenere la restituzione di dieci formelle di tritolo bellico dal peso complessivo di 2 kg, già provento di furto ai danni dell’indicato sodalizio. Per tali reati l’uomo ha già riportato una condanna in primo grado a 12 anni di reclusione”.

Operazione "Coffee Break": confiscati beni per 10 milioni di euro a presunti affiliati alla 'ndrangheta

La Guardia di Finanza, al termine di articolate indagini di Polizia Giudiziaria - coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, Direzione distrettuale antimafia - in esecuzione di provvedimenti ablativi emessi dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria - ha sequestrato prima, e confiscato poi, un ingente patrimonio mobiliare, immobiliare e societario, per un valore stimato di circa 10 milioni di euro, nei confronti di noti imprenditori reggini ritenuti essere organici alla nota cosca "Tegano" operante nella zona nord della città. I destinatari del provvedimento di prevenzione sono i noti imprenditori reggini Giuseppe Lavilla ed i figli Antonio e Maurizio, già assurti alle cronache cittadine per essere gravemente sospettati di appartenere alla criminalità organizzata e specificatamente alla potente cosca "Tegano" operante nel rione Archi della città. Numerosi sono i collaboratori di giustizia che hanno fornito, secondo il giudizio degli inquirenti, utili e riscontrate dichiarazioni nei loro confronti indicando i Lavilla come imprenditori al soldo della cosca "Tegano". Forte è anche il vincolo familiare tra i Lavilla ed i Tegano, infatti Antonio Lavilla è coniugato con Saveria Tegano, figlia del più noto Giovanni. Un quadro che non è sfuggito agli uomini delle Fiamme Gialle di Reggio Calabria i quali, su delega della Procura della Repubblica di Reggio Calabria –Direzione distrettuale antimafia- hanno ricostruito il patrimonio personale e imprenditoriale dei Lavilla. Attraverso una rielaborazione dei dati fiscali e patrimoniali acquisiti, è stata evidenziata, sostengono i titolari dell'indagine, la notevole sperequazione tra redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale accertato. Infatti, attraverso una rielaborazione, sono stati confrontati i numerosissimi dati acquisiti, mettendo in risalto l’aspetto della sperequazione tra redditi dichiarati e l’incremento patrimoniale accertato, per poi procedere ad una nuova e definitiva analisi contabile, che ha consentito di evidenziare, affermano gli inquirenti, un eccezionale arricchimento patrimoniale dei soggetti attenzionati, realizzato nel corso degli ultimi anni. La complessa attività di ricostruzione effettuata dai militari del Gruppo di Reggio Calabri ha portato la Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ad emettere il provvedimento del sequestro in un primo momento e quello della confisca successivamente, con il quale si ritiene di sottratto alla 'ndrangheta un patrimonio illecitamente accumulato tra beni mobili, immobili ed attività commerciali, investito principalmente nel settore dell’edilizia e del noleggio di distributori automatici di alimenti. Tra le società cadute nella rete dei finanzieri, spicca la nota Calabra Vending s.r.l., leader nella distribuzione di macchine automatiche per la vendita di caffè ed alimenti, con sede proprio nel rione Archi della città. Azienda che ultimamente stava commercializzando una nuova marca di caffè, chiamato "Caffè Lavilla". Tra gli immobili oggetto della confisca vi è un intero palazzo, in corso di realizzazione. Nel dettaglio i beni sottoposti a sequestro e poi confiscati sono i seguenti: 1) il 66,66 % delle quote della fi.la. Games s.a.s. di Reggio Calabria; 2) l'8% delle quote societarie della Futurvending s.r.l. di Villa San Giovanni; 3) capitale sociale, quote societarie e patrimonio aziendale della impresa Lavilla s.r.l. di Reggio Calabria; 4) capitale sociale, quote societarie e patrimonio aziendale della Calabra Vending s.r.l. di Reggio Calabria; 5) capitale sociale, quote societarie e patrimonio aziendale della impresa Costruzioni Reggine di Lavilla Antonio s.a.s. di Reggio Calabria; 6) capitale sociale, quote societarie e patrimonio aziendale della Lavilla costruzioni s.r.l. di Reggio Calabria; 7) il 60% delle capitale sociale della Cristal s.a.s. di Ficara Giovanni & c. di Reggio Calabria; 8) il 60% delle capitale sociale della Bar Cristal s.n.c. di Reggio Calabria; 9) intero capitale sociale, quote societarie e beni aziendali della "Business costruzioni” s.r.l. di Reggio Calabria. 10) una autovettura; 11) nove unità immobiliari di cui un intero stabile in corso di realizzazione.

Vibonese, l’allarme della Polizia: “La ‘ndrangheta ha armi e dotazioni migliori delle nostre”

“Giubbotti antiproiettili scaduti o in scadenza, armi datate, materiali obsoleti, poche divise, caschi per l’ordine pubblico non più idonei, macchine con più di 200mila chilometri”. È uno scenario drammatico o quasi quello disegnato dal segretario provinciale del Sap Giuseppe Gaccione, che denuncia una situazione che, di fatto, non mette la Polizia nelle condizioni di essere “competitiva” al cospetto delle potenti organizzazioni mafiose insistenti in Calabria. Specie nel Vibonese, terra abbandonata a se stessa e in cui l’escalation criminale pare inarrestabile, le forze dell’ordine sono esposte a rischi enormi anche a causa dell’insussistenza dell’occorrente. “La ‘ndrangheta – afferma Gaccione - ha armi e dotazioni migliori delle nostre.C’è carenza di personale, mancano i quadri intermedi, cioè coloro che ci possono aiutare a condurre l’attività di investigazione nel territorio, l’apparato è debilitato. Pensi – ci spiega – che l’addestramento anzichè sul campo lo abbiamo fatto davanti ad un computer... Vogliamo garantire ai cittadini la sicurezza che meritano, ma così non è facile”. Per far sentire forte la propria voce il Sap ha attivato su tutto il territorio nazionale una protesta consistente nella non utilizzazione della mensa solidarizzando con il segretario nazionale Gianni Tonelli, giunto al 35^ giorno di sciopero della fame. “Ci sono colleghi – è scritto nel volantino distribuito nel Commissariato di Serra – che sono stati puniti per aver detto la verità. Con coraggio si sono caricati l’onere di denunciare le inefficienze del sistema di sicurezza e per questo vengono perseguitati. La verità non è un reato: tutti sanno che i nostri caschi sono marci, la formazione insufficiente, gli equipaggiamenti inadeguati e l’apparato debilitato dai tagli”.

Faida nelle Preserre vibonesi: ergastolo per Vincenzo Bartone e Bruno Emanuele

Carcere a vita per Vincenzo Bartone ed il 43enne Bruno Emanuele: è questo il verdetto emesso dai giudici della Corte d'assise di Catanzaro al termine del dibattimento processuale avviato in seguito all'inchiesta ribattezzata "Luce nei boschi". Un'indagine incentrata sulla guerra di 'ndrangheta che insanguina l'area delle Preserre della provincia di Vibo Valentia. Ai due imputati, di Gerocarne, è stata addebitata la responsabilità dell'agguato in cui furono trucidati i fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo, uccisi 14 anni fa a Gerocarne. Il Collegio Giudicante ha, invece, prosciolto il 40enne Gaetano Emanuele ed il 50enne  Franco Idà, rispettivamente fratello e cognato di Bruno Emanuele e Giovanni Loielo (cugino di Vincenzo e Giuseppe) e sul quale grava l'accusa di aver assassinato Raffaele Fatiga e Rocco Maiolo, ritenuto capo della clan di Acquaro che allora contendeva il controllo del territorio alla cosca Loielo.

Confiscati beni per 1,6 milioni di euro ad un affiliato alla 'ndrangheta

Un uomo di 46 anni, al quale è stata inflitta una condanna perché riconosciuto colpevole del reato di associazione mafiosa nell'ambito del processo scaturito dall'operazione "Minotauro" che ha smascherato le attività e gli interessi  delle cosche di 'ndrangheta attive in Piemonte, è il destinatario di un provvedimento di confisca eseguito stamane dai militari della Guardia di Finanza di Torino. Le Fiamme Gialle hanno apposto i sigilli ad un appartamento e ad un locale ad uso commerciale, il cui valore ammonta complessivamente a 1.600.000 euro e che adesso verranno affidati alla gestione dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in attesa che siano riutilizzati per scopi sociali. Il 28 maggio dello scorso anno i giudici della Corte d'Appello di Torino gli avevano irrogato una pena a 7 anni di carcere, accompagnata dall'interdizione dai pubblici uffici. Secondo quanto emerso in sede processuale, il 46enne è stato un componente, sicuramente fino ad otto anni fa, della "locale" di San Giusto Canavese, in provincia di Torino. 

 

 

'Ndrangheta. Operazione "Epilogo": in carcere un 52enne

I Carabinieri hanno tratto in arresto un uomo di 52 anni  per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, in esecuzione all’ordine di espiazione pena, emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria. Francesco Russo, di Cardeto, dovrà scontare la pena definitiva di 2 anni, 2 mesi 2 e 23 giorni di reclusione per i fatti accertati dai Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione denominata "Epilogo" eseguita nel 2010. Nella contestuale perquisizione domiciliare, i militari dell'Arma avrebbero riscontrato un allaccio abusivo alla rete elettrica pubblica, procedendo altresì al deferimento dello stesso, unitamente alla moglie convivente, alla locale Autorità Giudiziaria.

Operazione "Crociata": catturati 26 presunti affiliati alla 'ndrangheta

Estorsione, rapine, traffico di droga, usura: sono le attività criminali a cui, secondo gli inquirenti, erano dediti i presunti componenti della "locale" di 'ndrangheta di Mariano Comense, in Lombardia. Nelle prime ore di oggi i Carabinieri del Comando provinciale di Milano, in un'operazione ribattezzata "Crociata" e che ha coinvolto anche i colleghi di Bari, della Brianza, di Crotone e di Reggio Calabria hanno catturato ventisei persone, compreso un uomo di origini albanesi. Altri due destinatari di ordinanza di custodia cautelare sono attualmente irreperibili. Le indagini, iniziate nel gennaio di tre anni addietro, erano sfociate in passato nell'arresto di nove individui ed al sequestro di quasi duecento chili di droga. Sulla base di quanto accertato nel corso dell'inchiesta, i soggetti coinvolti nel blitz odierno piazzavano le sostanze stupefacenti in Calabria, Lombardia e Puglia. L'attività investigativa, peraltro, ha permesso, di scoprire le frizioni esistenti tra il boss dell'organizzazione ed un uomo ad essa appartenente e desideroso di accrescere la propria influenza nelle dinamiche interne al clan.

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Processo "Terminator IV": chiesto il carcere a vita per presunto boss della 'ndrangheta

Deve essere condannato al carcere a vita. E' così che ha completato la sua requisitoria Pierpaolo Bruni, rappresentante della pubblica accusa per conto della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro nel processo a carico di Franco Presta, considerato il capo della criminalità organizzata di Cosenza. in aula sul bando degli imputati anche Francesco Amodio e Vincenzo Dedato, collaboratori di giustizia per i quali è stata richiesta una pena di nove anni e sei mesi. Si tratta del dibattimento processuale denominato "Terminator IV" ed avviato davanti ai giudici della Corte d'Assise del Tribunale cosentino per fare luce sulle dinamiche della faida esplosa un paio di decenni addietro tra i clan della 'ndrangheta attivi nel capoluogo bruzio. Al centro della ricostruzione del pubblico ministero sono finiti pure i delitti in cui furono assassinati Vittorio Marchia, Enzo Pelazza, Antonio Sassone ed Antonio Sena. La prossima udienza è fissata per giovedì quando sono in programma le arringhe degli avvocati difensori. 

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