Divario Nord-Sud, Guccione: "In Calabria indicatori di povertà sopra la media nazionale"

"Continuano ad aumentare i divari territoriali e a testimoniarlo è l’ultimo rapporto Istat del 2021 che fotografa in maniera evidente il gap tra Nord e Sud in materia di servizi essenziali e spesa sociale.

I dati sono allarmanti e dovrebbero farci riflettere soprattutto se si pensa, come riporta oggi in un articolo il quotidiano “Il Mattino”, che per i disabili “vivere al Sud riduce i diritti a un quinto”. In Friuli Venezia Giulia si spendono 12.708 euro per disabile, in Calabria ci fermiamo a 306 euro procapite, mentre a livello nazionale la spesa sociale per l’assistenza ai disabili è aumentata del 6,9 per cento.  I livelli di prestazioni sociali, come il sostegno ai disabili, dovrebbero essere uguali in tutte le regioni d’Italia ma, con il passare degli anni, questo traguardo diventa sempre più lontano.

In termini di servizi sociali al Nord la spesa per abitante è il triplo del Sud: si passa dai 569 euro per abitante della Provincia Autonoma di Bolzano ai 27 euro procapite della Calabria. Un divario enorme, con differenze territoriali molto ampie.

La Regione Calabria è ancora molto indietro sulla questione del Welfare. È da anni che ribadisco che non è possibile lasciare un settore così delicato, come quello del Welfare, nel caos più totale. I dati, ancora oggi, confermato la mancata risposta regionale in termini di bisogni sociali e le difficoltà in cui sono costretti a operare le strutture socioassistenziali.

La Riforma del Welfare, come ho detto più volte, non può funzionare se non è accompagnata da un aumento consistente delle risorse. La pandemia, poi, rischia di portare il sistema al collasso. Sono aumentati i bisogni, le disuguaglianze e molte famiglie si ritrovano senza alcuna assistenza sociosanitaria.

Dopo 20 anni di immobilismo, nella passata legislatura abbiamo messo mano al processo riformatore e si era concordi sul fatto che le Riforme per avere successo devono avere le risorse necessarie. In Calabria, invece, siamo al paradosso: aumentano le strutture, siamo passati da 500 a oltre 800, aumentano le rette ma le risorse restano sempre quelle.

Senza un adeguato aumento della copertura finanziaria, di ulteriori 20 milioni all’anno da inserire nel Bilancio della Regione, non saremo in grado di poter erogare prestazioni qualitativamente e quantitativamente adeguate alle esigenze di un tessuto sociale fortemente segnato dalla pandemia.

In Calabria, in base al rapporto Istat del 2021 (dati 2018), i valori degli indicatori di povertà sono decisamente più alti di quelli nazionali. Le famiglie che si trovano in uno stato di povertà relativa nella regione sono il 30,6 per cento rispetto all’11,8 per cento in Italia. Sono dati drammatici e la Calabria deve fare i conti con un mix di ritardi che non sono stati colmati. Bisogna lavorare e fare in modo che la spesa per i servizi essenziali sia uguale in tutto il Paese".

Così Carlo Guccione, consigliere regionale Pd

Il consigliere Gallo (CdL): «Oliverio spende soldi solo per cene e pranzi turistici: ai calabresi briciole»

Indennità pagate con ritardo. Adeguamento Istat corrisposto solo a metà. Appelli ignorati, impegni disattesi.

"Sarebbe alquanto precaria la condizione dei circa 1.400 calabresi infettati dal virus dell’epatite o dell’Hiv per trasfusioni errate, interventi chirurgici errati o infortuni sui luoghi di lavoro, per lo più cliniche ed ospedali". Lo segnala il consigliere regionale Gianluca Gallo, che già in primavera aveva richiamato l’attenzione della giunta regionale, anche presentando un’interpellanza sul tema. «Quell’atto –ricorda il capogruppo della Cdl– è rimasto senza risposta. Il presidente è rimasto sordo pure all’urgenza di adottare provvedimenti necessari e indifferibili».

Il problema, spiega Gallo, «non risiede solo nel ritardo col quale la Regione provvede al pagamento dell’indennità spettante agli emotrasfusi, che di norma dovrebbe avvenire con cadenza bimestrale entro il giorno 10 del mese successivo. Il guaio è che detta situazione è originata dall’esiguità del personale che si occupa del settore e di queste pratiche. Un’assurdità, se si considera che quelle somme, già di per sé scarne, sono l’indispensabile sostegno a fronte di spese mediche alquanto onerose». Caduta nel vuoto «la richiesta rivolta alla giunta regionale perché potenziasse gli organici e si attivasse per evitare le disparità che insorgono dall’essere le indennità liquidate per metà dalla Regione e per il resto direttamente dal ministero, procedendo ad un’unificazione delle procedure in sede di Commissione Stato-Regioni», Gallo sottolinea come Oliverio si sia ben guardato anche dall’assumere iniziative finalizzate a garantire almeno «la liquidazione della seconda tranche dell’importo dovuto a titolo di adeguamento dell’indennità agli indici Istat, ovviamente degli anni passati: un atteggiamento che si commenta da sé e che diventa ancor più grave se si considera che la giunta regionale spende e spande in iniziative di dubbia utilità».

Il riferimento è non solo alle polemiche in atto sui finanziamenti erogati nel recente passato in favore dell’organizzazione del Giro d’Italia, ma anche «alle centinaia di migliaia di euro letteralmente buttati via – afferma Gallo – per organizzare una cena a Spoleto e promuovere, da ultimo, un convegno per tour operator tedeschi: cifre folli, che non garantiranno alcun concreto ritorno economico alla Calabria e che intanto penalizzano i calabresi, in particolare quanti tra essi, come gli emotrasfusi, vivono situazioni di disagio e bisogno».

Conclude l’esponente della Cdl: «Ad Oliverio chiediamo di sospendere per qualche giorno la sua eterna campagna elettorale e adoperarsi perché le problematiche descritte trovino celermente soluzione. Lo invitiamo inoltre ad aprire un confronto col Governo Nazionale, anche col nostro sostegno, affinché venga si addivenga ad un aumento dell’indennità, come già richiesto alla ministra Lorenzin, portandola dagli attuali 750 ad 800 euro. All’apparenza poca cosa, eppure di vitale importanza per tanta gente già segnata da negligenze altrui, che non merita anche il disinteresse delle istituzioni».

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L'Italia che non programma si troverà a corto di medici

Tra pochi anni, mancheranno, per pensionamento, 80 mila medici tra base e ospedalieri; e nessuno li sostituirà. Ragazzi, mi cadono le braccia!

 Se questi medici raggiungono nel 2018 i 65 anni o qualche fornerata, nel 2008 ne avevano 55, nel 1998 45… Ci voleva Pitagora in persona, per fare due conti, già nel 1998, anzi nel 1988? Per calcolare, nel 1988, nel 1998, nel 2008, che nel 2018 si sarebbe posto il problema? A che serve l’Istat? O a fare propaganda di improbabili crescite economiche?

 Non solo, ma una bella mattina si sono inventati il numero chiuso, riducendo così gli studenti e aspiranti medici. E nemmeno lo hanno contingentato: chiuso, e basta; magari per aiutare qualcuno ai danni di qualcun altro. Certi cognomi…

 L’Italia non ha avuto e non ha alcuna programmazione di ampio respiro. Tutto è estemporaneo, provvisorio, fantasioso. Ogni operazione è fine a se stessa, per rispondere a qualche comodo o capriccio o scopo elettoralistico. Si costruiscono strade dove non passa nessuno; e scuole in paesi che si spopolano… E poi ci manca l’essenziale.

 Urge correre ai ripari. Per formare un medico, oggi, occorrono, dopo la scuola superiore, minimo sei anni, senza contare tirocini e specializzazioni. Lo stesso per le altre categorie, che non credo stiano tanto meglio.

 Bisogna intervenire sulla scuola, con un orientamento serio: l’orientamento non è una campagna acquisti, è sforzarsi di riconoscere le vocazioni e inclinazioni degli studenti, ed esaltarle. Come si fa? Smettendola di cianciare che siamo tutti uguali, perché, grazie a Dio, non è vero.

 E facciamo lavorare sul serio gli istituti di statistica.

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Gli italiani diventano più poveri, il Governo pensa a nuove tasse

Come nella migliore tradizione italica, i nodi stanno venendo al pettine. Il tappeto non riesce più a contenere la tanta polvere che la politica ha cercato di nascondere. Dopo sei anni di democrazia bloccata, governi non eletti da nessuno e misure lacrime e sangue, gli italiani sono sempre più poveri.

Mentre il rovello del Governo è come raccattare i soldi necessari ad evitare le clausole di salvaguardia, aumenta il numero dei cittadini indigenti.

Ad evidenziare il livello di povertà presente in Italia, è stata l’Istat con il dossier sul Def. Il documento, presentato alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, ha fotografato una realtà sconcertante.

Una realtà che si cerca di nascondere con banali espedienti linguistici. Il ricorso all’espressione “grave deprivazione materiale”, non alleggerisce affatto lo stato di miseria in cui versa quasi il 12 per cento della popolazione italiana.

Nonostante la reiterata narrazione che vuole il Paese, ciclicamente, fuori dalla crisi, negli ultimi tre lustri, è cresciuto il numero delle famiglie che vivono di stenti.

Secondo il rapporto Istat, i nuclei familiari indigenti superano i 3 milioni. Complessivamente, gli italiani sotto la soglia di povertà sono 7 milioni  209 mila.

La crisi economica ha colpito pesantemente gli over 65 che, tra il 2015 ed il 2016, hanno subito un vistoso processo d’impoverimento. In poco meno di un anno, gli anziani indigenti sono passati dall’8,4  all’11, 1 per cento. Un dato sul quale pesa anche l’assenza di opportunità occupazionali. Sono sempre più numerosi, infatti, i genitori costretti a dividere la magra pensione con i figli senza lavoro.

La situazione peggiore, ovviamene, riguarda il Mezzogiorno dove la povertà è tre volte superiore a quella registrata nell’Italia Settentrionale.

I dati dimostrano come (per continuare la lettura clicca qui)

     

]Articolo pubblicato su: mirkotassone.it

Terremoti, allarme dell’Istat: “In Calabria record di case vecchie e situate in zona pericolosa”

È un record negativo, che la Calabria vorrebbe proprio non avere. I dati, purtroppo, sono preoccupanti, soprattutto alla luce degli eventi sismici che si ripetono sempre con maggiore frequenza. 

Ad illustrare i numeri, che fotografano la realtà, è stato il presidente dell’Istat Giorgio Alleva che ha letto l’apposita relazione davanti alle commissioni Bilancio congiunte nel corso dell’audizione sulla manovra alla Camera. Il 9% del territorio italiano appartiene alla zona sismica 1, quella in sostanza che è più a rischio. Ma se si scende nei particolari, si scopre che per le comunità meridionali la situazione è ancora peggiore: la percentuale sale al 50% in Calabria, al 33% per  Abruzzo e tra il 20% e il 30% per Basilicata, Campania, Molise e Umbria. Sono 9 regioni su 20 non ricadono, almeno in parte, in zona 1. 

“Complessivamente – viene evidenziato nella relazione - il numero di abitazioni residenziali della zona 1 ammonta a circa il 5,6% del totale delle abitazioni italiane: si tratta di poco meno di 1,9 milioni di abitazioni, oltre la metà delle quali (52,5%) costruite prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica (ovvero prima del 1971). Oltre il 42% di queste abitazioni è situata in Calabria, circa il 13% in Campania”. 

La rilevazione è datata 2011 e specifica che “la larga maggioranza (il 77,1%) degli edifici costruiti in questa zona prima del 1971 ha una struttura portante in muratura e solo il 13,5% in cemento armato. Inoltre, più di un quarto degli edifici della zona eretti dopo il 1970 continua ad avere la struttura portante in muratura. La porzione di territorio occupata da comuni in zona sismica 2 (la più ampia per estensione) è pari al 35,2% e include altre quattro regioni (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana). Vi si trovano circa il 32% delle abitazioni residenziali del Paese, per poco meno del 52% costruite prima del 1971. La quota di edifici costruiti anteriormente a questa data con struttura portante in cemento armato è del 16,2%. Sicilia e Campania sono le regioni con il maggior numero di abitazioni in zona 2 (25,2% e 20,1% rispettivamente)”. 

Inoltre, “la zona sismica 3 rappresenta il 32,7% del territorio italiano ed è presente in tutte le regioni ad eccezione della Calabria, il cui territorio appartiene interamente alle prime due zone, e della Sardegna, interamente situata in zona 4. Nella zona 3 si trovano il 40,7% delle abitazioni residenziali, circa il 55% delle quali costruite anteriormente al 1971. Circa il 16% degli edifici della zona costruiti prima del 1971 ha una struttura portante in cemento armato”.

I veri numeri e le false statistiche

Statistiche con il pallottoliere. Alleluia, Soverato è una città ricchissima; quanto meno è la più ricca della provincia di Catanzaro; e la seconda in Calabria. A dire il vero, se faccio appello alle mie sempre più vaghe reminiscenze di quando ero prof, corrono nette differenze tra ricchissima", superlativo assoluto, e "la più ricca", che è superlativo relativo. Come dire, nel mondo dei ciechi, beato chi ha un occhio! Ma forse è vero, in una Calabria che è l’ultima d’Europa, che Soverato stia meglio di altri 407 su 409 Comuni. "Meglio" è sempre e solo superlativo relativo. Da dove si deduce che Soverato ha più soldi di Castrovillari e di Palmi e di Cirò, eccetera? Ma dai numeri. Si pigliano le dichiarazioni dei redditi, si sommano, poi si dividono per gli abitanti. Facilissimo. Eh, ma così il sociologo lo so fare pure io, che in matematica sempre fui una scarpa, però so usare la calcolatrice! Secondo me, i conti vanno ragionati, non brutalmente sottoposti al pallottoliere, sia pure elettronico. Ovvio: se Soverato è popolata per due terzi di impiegati e professori e più ancora pensionati, e i loro redditi risultano (con o senza dichiarazione), la cittadina è più ricca di un posto qualsiasi dove i redditi dichiarati sono più aleatori, o non li dichiarano affatto; ma potrebbero essere minori o uguali o maggiori di Soverato. Vale lo stesso per i cosiddetti "dati", che bisogna vedere chi te li "dà", e se sono effettuali o cartacei. Se un paesello risulta contare, poniamo, 500 abitanti, però a un sopralluogo si vedono case vuote e appena qualche vecchio in panchina, allora vuol dire che almeno  250 abitano altrove, e mantengono la residenza per le tasse o per il voto. Un sociologo serio ragiona così; uno del pallottoliere, somma e divide, e tanti saluti. Ciò comporta che troppo spesso la realtà italiana, e quella calabrese in specie, vengano conosciute in astratto, e senza riscontro con il reale. Così risultano innumerevoli aziende agricole, che però di fatto sono in abbandono da decenni; e tanti sono mogli e mariti che, pur amandosi alla follia, risiedono uno a Fontanarossa e l’altra a Fontanabianca per evadere; eccetera. Non m’interessa qui l’aspetto legale o fiscale: se lo veda chi di competenza. Osservo che troppo spesso le statistiche del pallottoliere ci forniscono una realtà deformata che è una non realtà; e conduce a conclusioni fantasiose, e, peggio, a proposte campate in aria e spacciate per fondate sui "dati". Serve uno studio serio e spietato, fatto con gli occhi e non con i numeri.

 

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Diminuisce il numero di auto circolanti in Calabria

E' in diminuzione il numero di automobili che circolano in Calabria. La statistica rappresenta l'esito di un'analisi condotta dal Centro Studi Continental che ha esaminato numeri forniti dall'Aci e dall'Istat. In particolare, nel periodo compreso fra il 2008 ed il 2014, a Catanzaro, il tasso di motorizzazione, che attesta la quantità di veicoli in circolazioneogni 1.000 abitanti, è sceso da 636,5 a 633,4, pari allo 0,5% in meno. A Crotone si registra un calo dell'1,4% a Vibo Valentia dello 0,6%, a Reggio Calabria dello 0,4%. Fra i capoluoghi della nostra regione, il dato certifica un aumento nella sola Cosenza,  + 2,4%.

Istat: “Calabria regione più povera d’Italia, livelli occupazionali crollati”

Sono stati diffusi oggi dall’Istat i dati della contabilità regionale e provinciale. Il Pil per abitante nel 2014 risulta pari a 32,5mila euro nel Nord-ovest, a 31,4mila euro nel Nord-est e a 29,4mila euro nel Centro. Il Mezzogiorno, con un livello di Pil pro capite di 17,6mila euro, presenta un differenziale negativo molto ampio, inferiore del  43,7% rispetto a quello del Centro-Nord (-43,2% nel 2013). In termini di reddito disponibile, il divario si riduce al 33,3% (-34,0% nel 2013). La spesa per consumi finali delle famiglie a prezzi correnti è di 18,9mila euro nel Nord-est e nel Nord-ovest, 17,2mila euro al Centro e 12,6mila euro nel Mezzogiorno. Il divario negativo tra Mezzogiorno e Centro-Nord è del 31,5%. Nel 2014 il Pil in volume, a fronte di una riduzione a livello nazionale dello 0,4% rispetto all'anno precedente, ha registrato un incremento dello 0,4% nel Centro e una flessione pari all'1,1% nel Mezzogiorno, allo 0,8% nel Nord-ovest e allo 0,2% nel Nord-est. Tra il 2011 e il 2014 le aree che hanno registrato i più marcati cali del Pil sono il Nord-ovest e il Mezzogiorno (rispettivamente -5,7% e -5,6%). La flessione è stata più contenuta nel Nord-est (-4,3%) e nel Centro (-4,2%). Nel periodo 2011-2014 solo il Lazio e la Provincia Autonoma di Trento registrano variazioni positive dell'occupazione mentre Calabria, Liguria, Puglia e Campania segnano le cadute più ampie (con diminuzioni comprese tra il 6% e il 4%). Il reddito disponibile per abitante in termini nominali è pari nel 2014 a circa 20,7mila euro nel Nord-ovest, 19,9mila euro nel Nord-est, 18,5mila euro nel Centro e 13,2mila euro nel Mezzogiorno. La graduatoria delle regioni per livello di reddito disponibile pro capite nel 2014 vede al primo posto la Provincia Autonoma di Bolzano, con circa 22,5mila euro, e all'ultimo la Calabria, con 12,3mila euro. Nel 2014 il reddito disponibile segna una flessione dello 0,6% nel Nord-est e dello 0,1% nel Nord-ovest, mentre aumenta dello 0,5% sia nel Centro, sia nel Mezzogiorno. Nel 2013 Milano è la provincia con il livello di valore aggiunto per abitante più elevato, 44,6mila euro; seguono Bolzano con 36,4mila e Bologna con 33,6mila euro.

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