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Decreto Sud, c'è il si della camera. Massima soddisfazione da parte di Luigi Tassone

Riceviamo e pubblichiamo una nota stampa in cui Luigi Tassone, sindaco di Serra San Bruno, esprime tutta la propria soddisfazione per l'ok ricevuto dal "Decreto Sud" da parte della Camera dei Deputati.

Apprendo con soddisfazione la notizia riguardante l'ok definitivo, da parte della Camera dei Deputati, del decreto Sud, fortemente voluto dal governo Gentiloni, che introduce diverse misure in favore del Mezzogiorno e, in particolare, della nostra regione.

Tra i provvedimenti previsti nel decreto, un finanziamento di 50 milioni euro che mira a favorire gli imprenditori agricoli under 40; un altro finanziamento, fino a 1.250 milioni di euro, dedicato ai nuovi giovani imprenditori under 35, con la misura “Resto al Sud”. Previsti, inoltre, circa 200 milioni di euro per le Zone Economiche Speciali (Zes) e 40 milioni di euro per favorire le politiche attive del lavoro nel Mezzogiorno. Questo governo, sulla scia di quanto fatto in passato dal precedente esecutivo con a capo Matteo Renzi, dimostra nei fatti di volersi occupare seriamente del Sud e dei giovani, ai quali è stata dedicata una specifica misura per dare la possibilità, a coloro i quali hanno buone e positive idee imprenditoriali, di mettersi in gioco per costruire il proprio futuro.

Chi, tra questi giovani, poi non dispone di mezzi per avviare un'attività, avrà a disposizione una potenziale dotazione di 50mila euro (estensibile fino a 200 mila euro, nel caso di un progetto presentato da 5 giovani imprenditori), di cui il 35% a fondo perduto ed il restante 65% con un prestito a tasso zero. Il governo guidato dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha dato una risposta seria e diretta anche nei confronti della nostra regione, tramite una serie di misure che, finalmente, daranno inizio ad un periodo di crescita per l'intera Calabria. Penso sia necessario cogliere al volo queste opportunità e fare tesoro di quanto di buono l'esecutivo sta facendo nei riguardi della Calabria. Dare un'occasione ai giovani che, quotidianamente, devono loro malgrado fare i conti i problemi legati al mondo del lavoro vuol dire ridare a quegli stessi giovani la speranza che qualcosa può finalmente cambiare. E di questo cambiamento si sta finalmente rendendo artefice un governo che ha a cuore le sorti del Sud e della Calabria.

Questo, però, è solo un primo passo. Per il Mezzogiorno bisognerà ancora fare tanto, ma il decreto Sud ritengo vada nella direzione giusta, vale a dire di un governo che ha messo in cima ai propri impegni il Meridione, la Calabria e i calabresi, dando loro una chance. Solo così, soltanto investendo sui giovani e sul loro futuro si potrà finalmente attuare quel cambiamento radicale di cui una regione straordinariamente bella come la Calabria necessita.

Approvato dl Mezzogiorno, U.Di.Con.: “Adesso ripartiamo dal Sud”

“Accogliamo positivamente l’approvazione del decreto legge rivolto alla crescita economica nel Mezzogiorno – ha scritto in una nota il Presidente Nazionale U.Di.Con. Denis Nesci – incentivare le misure di occupazione al Sud è la base da cui ripartire, un’azione necessaria per rigenerare un nuovo motore per l’Italia intera. I benefici e le agevolazioni alle imprese già esistenti, oltre che a quelle nuove, sono un incoraggiamento a non mollare in questo momento complicato per la storia nazionale ed in particolare per quella del meridione”.

Voti a favore 276, voti contrari 121. Questi i freddi numeri con i quali la Camera ha approvato in via definitiva il decreto 91/17 “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”. Una spinta propulsiva, una speranza ed un incoraggiamento per Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

“Moltissimi giovani, in età universitaria e per lavorare in condizioni migliori, hanno deciso, fino ad oggi, di lasciare la propria terra per andare a cercare fortuna altrove – conclude Nesci – con la misura “Resto al Sud”, rivolta ai giovani residenti nelle Regioni interessate dal decreto, questo trend negativo potrebbe cambiare, il condizionale come sempre è d’obbligo e noi, non possiamo che augurarcelo”.

 

Contraddizioni sociali e senso di comunità smarrito: il Mezzogiorno ora deve sfidare se stesso

Una società atomizzata, in cui il senso di comunità sembra essere stato perso, suggestionata da difficoltà economiche e tensioni sempre più palesi. Gli effetti della crisi internazionale hanno amplificato le già esistenti contraddizioni esistenti nella collettività calabrese, moltiplicando le conseguenze di errori storici e rigidità di sistema.

Abbagliati dai prodotti e dagli stili della globalizzazione, i cittadini si confrontano con una quotidianità di problemi che spesso non possono essere affrontati per mancanza di disponibilità finanziarie.  Talvolta, le esigenze si trasformano in stenti alimentando la volontà di ribellione verso le ingiustizie sociali. La giusta pretesa del rispetto dei diritti e del corretto funzionamento delle istituzioni non viene però accompagnata dal riconoscimento dei propri doveri e dalla normale formulazione dell’ordine delle priorità e la protesta sfocia in uno scadente, rancoroso e improduttivo dibattito non sostenuto da informazioni veritiere e, anzi, basato su considerazioni elaborate senza tener conto delle condizioni di partenza e della funzione del proprio agire. Il clima diventa così avvelenato da una cieca invidia sociale.

Ma reclamare equità, trasparenza, possibilità di crescere intellettualmente per aspirare al benessere è, in ogni caso, un diritto sacrosanto.

La sfiducia nel futuro deriva da oggettive situazioni materiali abbinate a deficit civici. La carenza infrastrutturale, l’asfitticità del mercato, la quasi impossibilità ad esprimere capacità manageriali ed imprenditoriali e a tradurre in attività concreta la propria preparazione e formazione professionale sono elementi con cui fare inevitabilmente i conti. C’è poi il decisivo ruolo esercitato dagli apparati di governo.

Nel volume “Sviluppo locale, occupazione e implicazioni informative: una guida” Fadda approfondisce questo aspetto con tesi sostanzialmente condivisibili. “Le istituzioni economiche – spiega - sono il risultato dell’interazione di due fattori: lo stato delle tecnologie produttive disponibili; i rapporti di forza tra i gruppi di potere”. Dunque, se il gruppo di potere dominante riesce a regolare, tramite le istituzioni, l’accesso alle risorse e alla loro distribuzione, le istituzioni stesse poi plasmeranno l’agire dei soggetti e diventeranno stabili, difficili da cambiare. Per innovarle, mutandone il funzionamento, si dovrebbe intervenire introducendo nuove tecnologie o rompendo i rapporti di forza preesistenti tra i gruppi di potere. La perpetuazione del sottosviluppo del Mezzogiorno potrebbe proprio essere il frutto del perdurare delle vecchie istituzioni e del tramandarsi di generazione in generazione dei posti nella politica e nelle amministrazioni locali e del persistere di una mentalità che vede nella cultura dell’espediente la fonte del proprio benessere. Ciò si riversa non solo sulla distribuzione della ricchezza, ma anche sull’efficienza dei servizi pubblici.

La sviluppo, intenso come miglioramento sociale ed economico, passa pertanto da un duplice cambiamento: l’innovazione della mentalità del popolo, che deve recuperare i valori di coesione e senso del dovere; la responsabilizzazione della classe dirigente, che deve avvertire il proprio compito come un onore da valorizzare e non come un privilegio da conservare.

 

Una sfida complessa, ma indispensabile per poter pensare ad un domani meno angusto.

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“Calabria penalizzata da politiche dell’accattonaggio di risorse pubbliche”

“La politica deve avere più coraggio per abbattere il muro del dislivello Nord-Sud che impedisce al Mezzogiorno di uscire dall’emergenza ed al Paese di risalire la china”. Lo sostiene la consigliera regionale di Calabria in Rete Flora Sculco, secondo cui “nonostante la flebile ripresa segnalata dalla Svimez e l’impegno del Governo è indubbio che occorre fare di più e meglio. Se non si agisce insieme, dal centro e dalla periferia, attraverso il coinvolgimento del nostro prezioso capitale sociale, il Mezzogiorno farà fatica a mettere a profitto i suoi punti di forza e il Paese stenterà a voltare pagina. Rimanendo appiattiti in una logica politica che non mette in discussione l’economia di dipendenza del Sud non si potrà che reiterare gli errori del passato”. Spiega la consigliera regionale: “Per andare oltre la drammatica condizione sociale dei nostri giorni, il Mezzogiorno deve riscoprire l’importanza strategica delle proprie risorse e la Calabria deve riscoprire se stessa a partire dalla propria storia che ci ricorda i danni enormi provocati dalle politiche dell’accattonaggio di risorse pubbliche e dello sviluppo eterodiretto. Perciò è urgente una svolta nelle strategie delle classi dirigenti calabresi. Non è tanto utile porsi il problema dell’utilizzo delle risorse finanziarie, a incominciare da quelle comunitarie, quanto di finalizzarle allo sviluppo armonizzato con le peculiarità del territorio e verificare l’impatto che le risorse hanno sulla vita dei calabresi. Verificare, cioè, se hanno la capacità di smuovere antiche criticità o se, al contrario, riproducono ben note dipendenze sia dalla politica centralista che dal sistema imprenditoriale nazionale che spesso ha preso molto e dato molto poco. È tempo, e le intelligenze politiche  per rilanciare le ragioni della Calabria ci sono, di aprire su questi temi un dibattito che ci consenta di ripartire dai nostri luoghi, ripensando, anche con l’aiuto dei nostri giovani e dei centri universitari, il rapporto tra centro e periferia, tra locale e globale, affinché sia percepita l’idea che la riqualificazione delle aree più depresse del Sud passa, in primis, dal rifiuto delle logiche esogene ed estranee alle propensioni delle nostre realtà e, in secondo luogo,  dal mettere in campo un approccio territoriale che abbia come riferimento l’identità culturale della Calabria”. Ancora Flora Sculco: “Tutto ciò che produce, a partite dalle identità dei singoli territori e dalla ricostruzione urgente di un minimo di coesione sociale della regione, innovazione e valorizzazione del patrimonio culturale, non può che rientrare nell’agenda della politica. Non c’è politica che tenga se non si recupera la relazione con il territorio e con il meglio che esso esprime. Soltanto ridando, lungo questo tracciato d’impegno, ruolo, senso e funzione alla politica, si riduce  lo spazio della demagogia imperversante e si dà speranza alla società calabrese e alle nuove generazioni. Insistere su visioni organigrammatiche del potere politico e amministrativo non porta da nessuna parte, anzi contribuisce a delegittimare ulteriormente le Istituzioni”. Conclude la consigliera regionale: “Vivendo in una congiuntura internazionale che evidenzia, alla luce degli eventi epocali disastrosi che minano le basi della civiltà occidentale, il fallimento di modelli economici a forte impronta liberista che hanno acuito le diseguaglianze sociali, proprio i ‘saperi’ del Mezzogiorno italiano e la sua carica valoriale potrebbero rappresentare una speranza per l’Italia”.

La Calabria è la regione più “evitata” dagli imprenditori: i dati Svimez per Provincia

Sempre più giù in ogni classifica relativa a crescita economica, dinamicità, progresso. Sembra proprio notte fonda per la Calabria che, addirittura - secondo i dati illustrati nello studio “L’attrattività percepita di regioni e province del Mezzogiorno per gli investimenti produttivi” di Dario Musolino, pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della Svimez diretto da Riccardo Padovani ed edito da Il Mulino – viene percepita dagli industriali come territorio più arretrato di quanto non lo sia veramente. Lo studio – teso a verificare i motivi in base ai quali gli imprenditori scelgano le aree su cui investire – è stato effettuato su un campione di 225 imprese con sede in Italia, di diversi settori merceologici e almeno 20 addetti. La regione più “desiderabile” risulta essere la Lombardia (punteggio di 4,07 su 5), poi ci sono Emilia Romagna (3,92), Veneto (3,86) e Piemonte (3,58). Nel Mezzogiorno, relativamente bene Abruzzo (2,59) e Puglia (2,47). In fondo al tunnel c’è la Calabria (1,73), che fa peggio anche di Sicilia (1,99), Campania (1,98) e Sardegna (1,88). In particolare, nella nostra regione i valori oscillano fra l’1,74 di Reggio Calabria e l’1,72 di Vibo Valentia e Crotone. La Provincia preferita risulta essere quella di Milano (4,07). L’analisi non cambia passando da un settore all’altro, mentre è interessante notare che, secondo i formulari depositati, gli imprenditori meridionali attribuiscono al Mezzogiorno punteggi generalmente più alti rispetto ai loro omologhi settentrionali, forse perchè vivendo al Sud ne conoscono ogni dettaglio. Lo spunto su cui riflettere è offerto da un coefficiente che confronta “il divario percepito dagli imprenditori a livello soggettivo con quello reale certificato ad esempio dal livello del Pil pro-capite nelle varie regioni”. Il divario reale è di 2, quello percepito è di 2,34: questo significa che il Mezzogiorno viene ritenuto più arretrato di quello che è. I motivi della scarsa capacità di attrarre emergono dalle risposte degli imprenditori: sul banco degli imputati ci sono la carenza di infrastrutture (26,4%), la povertà del tessuto produttivo (21,3%) e la criminalità (13%). Sembra incidere meno l’inefficienza della Pubblica Amministrazione (3,5%). Il Sud viene inoltre inteso come una realtà omogenea e, infatti, nello studio viene rilevato che “l’esistenza di tanti, molteplici, Sud, differentemente attrattivi, non è contemplata. In altre parole, per le imprese del Paese gli svantaggi localizzativi nel Mezzogiorno non presentano differenziazioni, diverse gradazioni, territoriali”. “Questa macroregione – viene sottolineato - non è conosciuta a sufficienza nelle sue varie e diverse realtà territoriali”. Le soluzioni prospettate riguardano la messa in campo di azioni “nel trasporto ferroviario, nella portualità, nell’intermodalità e nelle piattaforme logistiche” per rendere l’area più accessibile, oltre che interventi in tema di legalità. Opportune sarebbero infine “strategie di comunicazione e promozione, a livello centrale e locale, che consentano di scardinare la cappa mediatica che oggi tende a mettere tutto il Sud sotto un unico cappello”.

“Il Sud sta scomparendo da ogni strategia pubblica e privata di crescita”

“Spiace dover constatare, per l’ennesima volta, un’amara realtà: il Mezzogiorno è completamente estromesso dai programmi di sviluppo dello Stato e del sistema creditizio. Dunque, se il sostegno pubblico al Sud è latitante, altrettanto si può dire per le banche e gli istituti finanziari privati”. Lo dichiara il presidente del gruppo di Forza Italia alla Regione Alessandro Nicolò  che aggiunge: “dopo la drammatica fotografia di Demoskopika, giungono nuovi sconvolgenti dati da Bankitalia che rappresentano la cifra della distanza ormai siderale tra il Mezzogiorno e il Nord. Altro che ‘Questione Meridionale’, oggi potremmo parlare, a ragion veduta, della scomparsa del Sud da ogni strategia, pubblica e privata,  di crescita”. “Se le banche investono 6 miliardi in Calabria a fronte dei 216 in Lombardia – riflette Nicolò - è impossibile intravedere anche un solo spiraglio alla recessione in cui naviga la nostra Regione ormai orfana e abbandonata a se stessa. Dall’indagine di Bankitalia: gli impieghi nella sola Lombardia sono più del doppio di quelli che le banche hanno concesso a tutte le regioni meridionali e insulari insieme: in Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata, Campania e Puglia cittadini e imprese hanno ottenuto poco più di 90 miliardi. Una cifra pari a quanto ha ricevuto la sola Toscana. Nel picco di una crisi economica globale che colpisce con più durezza le aree deboli, si sarebbero dovute garantire, invece, maggiore liquidità finanziaria alle aziende e una maggiore certezza ai lavoratori”. Secondo Nicolò: “Se gli stanziamenti dello Stato si riducono; le risorse del Sud vanno a finanziare nuova occupazione al Centro Nord; e le Banche negano l’accesso al credito e l’erogazione dei finanziamenti a piccole e medie imprese, si boccia, nei fatti, qualsiasi flebile tentativo di ripresa. Eppure, le imprese del Mezzogiorno si confermano locomotive dello sviluppo di un Paese ingessato che predilige un approccio rigido e imbalsamato, incapace di intercettare le esigenze del mondo imprenditoriale e produttivo. Un circolo vizioso - stigmatizza Nicolò - in cui rimangono intrappolati idee, talento e creatività, che pur sono copiosi al Sud, visto il know how, le eccellenze e l’innovazione che siamo in grado di esportare”. Ad avviso dell’esponente politico di FI “tanti i virtuosi esempi di start up calabresi che camminano unicamente sulle gambe di giovani i quali con coraggio hanno scelto di rimanere nella loro terra per contribuire ad un progetto di crescita. Ma, su queste basi, qualsiasi valida idea imprenditoriale è senza futuro. Che senso ha poi in questo contesto stimolare i giovani in direzione dell’auto-imprenditorialità, scoraggiandoli sulla prospettiva del posto fisso?”. “Serve dunque - afferma Nicolò - una rigida presa di posizione ed un’assunzione di responsabilità da parte del presidente Oliverio e della Giunta regionale per scardinare meccanismi perversi e dannosi per l’economia e lo sviluppo calabrese, individuando, per mezzo di azioni partecipative ed inclusive di tutte le forze politiche, strumenti e metodi incentivanti e premiali per favorire la nascita ed il sostentamento di nuove attività imprenditoriali e per agevolare l’ordinario funzionamento di quelle esistenti, che a fatica stanno lottando per la propria sopravvivenza. Servirebbe, infine, da parte del governatore un impegno deciso e concreto ai fini di un utilizzo più produttivo dei fondi strutturali. Le risorse dell’Unione Europea rappresentano, infatti, in un quadro di compressione della spesa e di disimpegno generale rispetto alle questioni e problematiche emergenti - conclude il presidente del gruppo di Forza Italia alla Regione - la vera grande opportunità per la Calabria e per l’intero Mezzogiorno”.

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Il Mezzogiorno in mezzo al guado

Dai tempi più remoti il meridionalismo oscilla pericolosamente tra i due estremi dell’esaltazione e dell’abiezione. Tranquilli, non ce l’ho solo con i gruppuscoli odierni, ma con anche con il sommo Platone che celebrava Crotone e Locri oltre il loro merito, e con tutti i poeti e viaggiatori di passaggio che hanno creato il mito della bellezza e prosperità della terra; e con tutti quelli che invece hanno pianto e piangono le miserie del Sud assai più che miserie non fossero. Il Sud è, tutto sommato, una storia e una realtà media. Veloci esempi: non ha grandissimi poeti e letterari, però ha sommi filosofi; ha una sola grandissima città, però una popolazione disseminata in moltissimi piccoli centri vivaci; accolse ondate immigratorie, però non fu mai spopolato, e la sua emigrazione è recentissima rispetto ad altri; non conobbe istituzioni rappresentative neanche nobiliari, ma i suoi paesi e le città ebbero da sempre istituzioni comunali; non fu mai ricchissimo neanche ai tempi della mitica Magna Grecia, però mai patì la fame; non vanta molte glorie militari, però potrei elencarvi un buon numero di condottieri e guerrieri… Insomma, una storia media.

Vedete, gentili lettori, la grande storia, che è storia di gloria e di sangue e mai di pace, avviene quando in una terra ci sono grandi ricchezze e grandi povertà, cosa mai accaduta tra gli Abruzzi e lo Stretto, terra media. La più grave carenza del Meridione è la politica, intendo dire non le astratte ideologie, di cui anzi abbonda, ma il senso del reale, del possibile, della scansione temporale dei procedimenti sociali. A questa dovremmo porre riparo, se vogliano fare qualcosa per il Sud.

Secondo me: Bisogna porre fine agli entusiasmi infantili e immotivati sul passato, che soddisfano le corde vocali degli strilli al Re e i palati delle cene, ma non producono nulla di concreto; a parte che non si fondano sul vero. La storia è meglio lasciarla agli storici, i quali sanno distinguere un documento da una patacca. Devono essere ugualmente vietati i piagnistei più o meno patriottardi. Lo stesso per gli entusiasmi immotivati e infantili per il futuro, magari da affidare a sogni d’indipendenza. Mi diverte pensare ai 666 gruppuscoli che dovessero indicare il futuro re, se già manco ci si mette d’accordo per celebrare una data assieme! Serve mobilitare le energie intellettuali non nei vaghi sogni di gloria, ma nello studio della natura delle cose e della possibile utilizzazione. Esempio, se parliamo di turismo, studiare il turismo del Sud e non “Rimini, Ibiza, Acapulco”: se no facciamo come nella mia città, che costruirono un acquario mai visitato da nessuno, e alla prima pioggia saltarono le macchine e, caso unico nella storia, i pesci morirono affogati: ma l’intento era fare concorrenza a Genova! Ergo, basta chiacchiere e superbia piccolo borghese fondata sul nulla.

Le parole dividono, i fatti uniscono. Bisogna dunque individuare qualche azione concreta, che obblighi i governi italiani e le loro diramazioni locali, e l’Europa, a considerare il Meridione come una realtà capace di esercitare pressione politica, elettorale, economica. Faccio questi discorsi da anni su riviste e in convegni: l’ultima volta, l’anno scorso a Gioia del Colle, e tutti giurano che faranno così. Ma, per dirla con i nostri cugini spagnoli, plumas y palabras el viento las lleva.

Ora qualcuno risponderà ingiurie generiche e bidet di Caserta: tutti gli altri, muti!

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