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Serra, riqualificata "Croceferrata" ad opera dell'associazione San Bruno e Beato Lanuino

«Ricorre quest'anno il IX centenario della morte del Beato Lanuino, naturale successore di San Bruno, alla guida della allora neofondata Certosa della Torre, e, per l'occasione la nostra Associazione, intitolata appunto a questi due Santi, doveva necessariamente suggellare e proiettare nel tempo tale evento». Lo afferma in una nota il presidente dell’associazione San Bruno e Beato Lanuino Cesare Regio. L’idea, grazie all’intuizione del componente del sodalizio, Cosimo Primerano, «è stata quella di restituire degno decoro, al luogo dove nel 1098 avvenne l'incontro tra San Bruno e Landuino. Tale località, denominata “Croceferrata”, si trova a pochi chilometri da Serra, sulla Statale per Soriano Calabro adiacente all'ultimo svincolo della Superstrada delle Serre. E' qui che tra rovi, arbusti ed erbacce, si trovava abbandonato, dimenticato, solitario, un imponente e granitico monumento la cui epigrafe, palesemente incisa a mano, riporta solenne e concisa l'evento storico in cui San Bruno si recava ad accogliere Landuino, già suo primo successore al Priorato della prima Casa Monastica  da egli stesso fondata a Grenoble». L’associazione «nel rispetto e nell'ottemperanza del suo Statuto – rende noto il presidente Regio - pronta ad intraprendere concretamente una linea  di condotta rispondente alle esigenze del momento, coinvolgendo nell'impresa anche terze persone, non direttamente interessate al fine ultimo dell'iniziativa, ha iniziato la messa in opera del progetto di riqualificazione». Da qui «la necessità di rivolgersi all'ingegner Vincenzo Marzi, capo compartimento Anas Calabria, e al geometra Giuseppe Franco, titolare dell'Impresa Franco di Roccella Ionica, i quali, con grande entusiasmo, sensibilità e sollecitudine, hanno accolto le nostre richieste, prodigandosi attraverso uomini e mezzi, non solo a restituire decoro al monumento, ma addirittura creando ex novo un'area circostante, la cui progettazione ben si sposa, integrandosi, con il paesaggio limitrofo. Nonostante tale località sia adiacente al crocevia stradale, essa infonde magicamente un'atmosfera di isolamento, catarchica, contemplativa e rasserenante. Una doverosa menzione spetta «all'artista Francesco Tassone, che, a compimento dell'opera, ha magistralmente restaurato, gratuitamente, la bellissima Croce sormontante il monumento storico e commemorativo a celebrazione del glorioso incontro. Invitiamo i cittadini a visitare e diffondere questa testimonianza lasciata alla posterità, onde perpetuarne la memoria». 

 

 

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Viaggio attraverso il monachesimo in Calabria: dalle origini ad oggi

Diceva san Gregorio Nisseno: “Una diversa generazione è apparsa e una diversa vita e un diverso modo di vivere. La nostra stessa natura ha subito un cambiamento. Quale è questa generazione? Quella che scaturisce dal sangue, né da volere da uomo, né da volere di carne, ma è stata creata da Dio. Come può avvenire questo? Ascolta e te lo spiegherò in breve. Questa nuova prole viene concepita per mezzo della fede, viene data alla luce attraverso la rigenerazione del battesimo, ha come madre, la Chiesa, succhia il sangue della sua dottrina e delle sue istituzioni. Ha poi come cibo il pane celeste. L’età matura è costituita da un alto stile di vita. Le sue nozze sono familiarità con la sapienza. Suoi figli sono la speranza, sua casa il regno, sua eredità è ricchezza la gioia del paradiso. La sua fine poi con la morte, ma quella vita eterna e beata che è preparata a coloro che ne sono degni”. Questi desideri che sanno già di ascetismo trovano campo favorevole in Calabria, nella nostra regione erede di un altro tipo di ascetismo, pagano quanto si vuole, ma sempre ascetismo, quello rivolto agli dei dell’Olimpo greco. È la terra di vivace religiosità legata ai grandi templi di Locri, Kroton, Hipponion e Kaulon ed altri, è la terra della scuola filosofico-religiosa di Pitagora e quella medica di Alcmeone. È la terra, la Calabria, che accoglie le prime aspirazioni di silenzio ed eremitismo, le prime vocazioni monastiche che nel contempo fioriscono tra le Chiese d’Egitto, di Palestina, della Siria, di Cappadocia, della Calcide, dell’Africa, della Gallia e di Roma. Siamo al IV secolo, quando la nostra regione accolse i primi anacoreti a Reggio, come ci viene riferito dal Bios di san Fantino senior di Tauriana e da san Gerolamo. Nel 494 il papa Gelasio impone ai vescovi calabresi di ordinare sacerdoti soltanto quesi monaci che davvero vivono con profonda santità. Il primo grande monaco è Magno Aurelio Cassiodoro che cerca di salvare la caduta dell’Impero di Roma ma soprattutto la sua civiltà, facendo incontrare i Goti e i Romani sulla base del cristianesimo. Ma il tentativo fallisce per la guerra gotico-bizantina e  Cassiodoro, a Squillace, intraprende, attraverso l’ascesi monastica e la cultura, la via della civiltas. Così fonda un monastero con due residenze: sulla spiaggia il Vivarium destinato ai monaci che si dedicano alla cultura, con grandi vasche per coltura ittica; sulla collina il Castellium per quei frati che si dedicano ai lavori umili e manuali. In entrambi la vita ascetica era confortata da una ricca biblioteca con libri dello stesso Cassiodoro ed altri forniti dai monaci amanuensi che nello Scriptorium trascrivevano le opere classiche e le Sacre Scritture. Purtroppo il monastero di Squillace scomparve prima dell’ottavo secolo, nonostante gli interventi favorevoli di san Gregorio Magno. Coevi all’istituzione cassiodorea, in Calabria sorgevano altri monasteri, forse benedettini:  a Tauriana, a Reggio e a Tropea secondo quanto si ricava dall’Epistolario di san Gregorio (590-604). E più avanti Nicolò I nell’863 ricorda il monastero benedettino di Santa Maria di Cosenza, quello di Canale di Pietrafitta ed un altro titolato Santa Maria di Requisita, passato nel secolo XII ai Cistercensi col titolo di Sambucina a Luzzi. Nel 536 Belisario, il generale di Giustiniano arrivava a Reggio e la Calabria diventava regione bizantina e scomparvero i grandi monasteri di fede latina. Dal Pollino in giù, distribuiti per tutta la catena appenninica fino all’Aspromonte, apparve una moltitudine di eremi e anacoreti: speleoti, vegetariani e solitari che vennero da noi fermandosi nelle località più deserte e lontane, più impervie e selvagge. Il grande desiderio di solitudine e di vicinanza a Dio li portava a rifugiarsi in fredde grotte scavate nel tufo e cavità ricavate nei tronchi di alberi secolari; si nutrivano di vegetali selvatici e si dissetavano alle pure sorgenti di rocce, si coprivano di pelli; la giornata passava tra preghiere, contemplazione, lavoro e nelle notti insonni penitenze e mortificazioni del corpo. I giorni di festa, per la Liturgia, si vivevano nella chiesetta comune dalle ricche cupolette come la Cattolica di Stilo e se qui non v arrivava il sacerdote si recavano alla chiesa giù in paese. E i cenobi, laure e  piccoli monasteri lievitarono nella nostra regione con l’arrivo di profughi siriani, egiziani e libici sospinti dall’avanzata maomettana del 636. Altri profughi verranno, dopo il 750, a seguito delle persecuzioni iconoclaste di Costantinopoli e dell’Oriente ed infine altri profughi verranno dalla Sicilia dal sec. IX in poi. I primi cenobi apparsi in Calabria erano costituiti da gruppi, poi diventati comunità, di monaci laici autonomi, nel senso che potevano trascorrere il tempo il tempo dell’eremitismo fin quanto volevano, e ciò avveniva col consenso del loro egumeno, da loro stessi eletto che aveva il compito di essere il loro abate ma senza regole scritte e solo con l’esempio di vita retta. Questi primi cenobi erano davvero piccoli e per numero di cenobiti e per povertà di strumenti da vivere e per materiali da costruzione: la Cattolica di Stilo, la chiesa di San Marco di Rossano e la chiesa sotterra di Paola. Comunque il più antico (prima del IX secolo) cenobio di origine greca in Calabria si può considerare quello di San Fantino a Tauriana dove erano custodite le reliquie del Santo. Altro monastero coevo era nell’allora detta Valle delle Saline a sud di Palmi, era quello di Sant’Elia il Giovane, trasferitosi in seguito a Seminara, dove fu detto anche di San Filareto. Nella stessa area è ancora visibile e meta di pellegrinaggi nei pressi di Melicuccà, la grotta, unico rudere, del monastero di Sant’Elia lo Speleota, capostipite della famosa comunità di monaci basiliani del Mercurion. Coevi al monastero di sant’Elia lo Speleolota a Melicuccà, altri monasteri, seppur piccoli, sono sorti un po’ dovunque in Calabria. Citiamone alcuni: San Nicola di Calamizzi, Santa Maria Theotokos dei Tridetti di Staiti, San Pancrazio di Scilla, Sant’Angelo di Valletuccio, San Nicola di Gallico, San Pietro di Arasì, San Giorgio di Pietracappa, San Filippo d’Argira di Gerace, San Nicodemo di Cellerana a Mammola, San Lorenzo di Arena, Santa Maria Veteri di Squillace, Sant’Angelo di Drapia, Arsafia di Stilo, San Giovanni Theriste di Bivongi, San Giovanni di Campolongo a Cutro nei pressi di Le Castella,  San Nicola di Salica sulle alture di Capocolonna di Crotone, Santa Marina di Umbriatico, Sant’Adriano a San Demetrio Corone, Sant’Anastasia di Rossano, San Giovanni Calabita a Caloveto, Santo Janni a Cutro, Santa Maria delle Armi di Cerchiara, San Giovanni Mercurio a Laino, Santa Veneranda a Maida e così via. Insomma secondo alcune ricerche il numero dei cenobi di origine greca ammonterebbe, solo in Calabria, a quattrocento; ciò testimonia che il monachesimo orientale è penetrato in ogni contrada, anche la più irraggiungibile, della nostra regione. In alcuni di questi siti esisteva lo Scriptorium, come nel monastero cassiodoreo, una sorta di laboratorio per la trascrizione di Codici; di questi, oltre duemila sono sparsi in molte biblioteche del mondo. Certamente non si può non esprimere gratitudine agli amanuensi di quel tempo e già, perché grazie a questi santi monaci eremiti, oggi possiamo scrivere e “leggere” la nostra storia. Dei tanti Codici, oggi ben custodito nella cattedrale di Rossano, resta il famoso Codex Purpureus Rossanensis del VI secolo, edito probabilmente in Siria. Altri Scriptoria, appartenenti ai successivi monasteri di fede latina, esistevano nel monastero di Sant’Angelo di Frigillo a Mesoraca, in quello della Sambucina di Luzzi, nella Certosa di Santo Stefano del Bosco a Serra San Bruno e nel monastero florense di San Giovanni in Fiore. E, voluto e incoraggiato dai Normanni, venne il tempo del monachesimo latino che raggiunse grandi dimensioni ed estensioni in tutta la Calabria ed abbracciò il grande periodo normanno-svevo e angioino. Tra gli innumerevoli monasteri del tempo ne citiamo alcuni e comunque quelli più conosciuti. Intanto visitiamo i monasteri benedettini: Santa Maria di Sant’Eufemia, Santa Maria della Matina presso San Marco Argentano, Santa Maria di Valle Josaphat e delle Fosse in territorio di Paola, il monastero di Corazzo presso Carlopoli, , il Rocca Falluca di Tiriolo, il SS. Trinità di Mileto, il San Nicola di Salettano a Bisignano, San Pietro in Guarano, Santa Maria dell’isola di Tropea, San Pietro di Niffis in San Mauro Marchesato e il Santo Stefano di Abgadori di Isola Capo Rizzuto. Dal 1098, poi, dall’Ordine Benedettino nacque quello dei Cistercensi che subentrarono ai già presenti monasteri: Sambucina di Luzzi, Santa Maria di Corazzo dal 1162, Sant’Angelo di Frigillo di Mesoraca dal 1189,  a Tiriolo dalla fine del sec. XII e a Santa Maria di Acquaformosa. Nel frattempo, dopo aver fondato nel 1084 a Grenoble tra le montagne della Chartreuse un monastero detto Certosa, venne in Calabria Brunone di Colonia al seguito del suo discepolo papa Urbano II, che gli aveva anche offerto la sede vescovile di Reggio, però rifiutata. Così il Santo tedesco volle rimanere in Calabria e tra i boschi delle Serre, con terre offerte dal benefattore Conte Ruggero il Normanno, fondò la prima  Certosa d’Italia e unica in Calabria, dedicandola a Santa Maria della Torre, nel luogo dove oggi vi sono le testimonianze della sua penitenza e del suo vivere quotidiano. Era l’anno 1091. Qualche anno dopo e a pochi chilometri a sud è sorta la Certosa di Santo Stefano del Bosco per quei frati desiderosi di ascesi ma in un ambiente meno rigido di Santa Maria. Siamo nella Certosa di Serra San Bruno visitata dai papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ancora dalle costole cistercensi è nato anche l’Ordine Florense fondato dal “calabrese abate Gioacchino, di spirito profetico dotato”. Siamo davanti al grande Gioacchino da Celico, nato nel 1130 che ha preso il saio monacale alla Sambucina nel 1177 e che diresse il monastero di Corazzo. Però, “ritenendo quella vita monastica piuttosto comoda e ricca”, nel 1191 fondava il cenobio di San Giovanni in Fiore, la cui Regola veniva approvata da Celestino III con Bolla del 1196. Legati ai Florenzi sono nati altri monasteri: Fontelaurato di Fiumefreddo Bruzio, Santa Maria di Altilia di Santa Severina, Pietralata di Pietrafitta, San Giovanni di Abatemarco e tanti altri. Ma nel 1570 Pio V soppresse quei pochi monasteri florenzi rimasti incorporandoli tra i Cistercensi. Concludiamo il nostro viaggio attraverso il monachesimo in Calabria e la sua evoluzione dalle origini ad oggi, senza però trascurare un rapidissimo accenno a quel monachesimo che non fu di origine calabro-greca, ma ugualmente importante per la Calabria. Innanzitutto san Francesco di Paola che, sulla scia dei Francescani Minori del Poverello d’Assisi presenti in modo considerevole in terra calabra, fondò l’Ordine dei Minimi con tanti conventi sparsi nel mondo. Inoltre i Padri Predicatori seguaci san Domenico di Guzman che fondarono nei nostri paesi un’infinità di conventi e dei quali il più importante e conosciuto nel mondo resta quello di Soriano. Al postutto, non possiamo sottacere che tutti monasteri calabresi, a prescindere dall’Ordine di origine, furono grandi artefici della rinascita socio-economica e spirituale della Calabria ed ancora oggi costituiscono il volano per l’incremento del turismo religioso e culturale e soprattutto luoghi di intensa spiritualità da vivere quotidianamente.

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L’essenza della vita certosina: discussione scientifica sul significato di una scelta

Con la relazione di Filippo Burgarella, “Lanuino e il mondo normanno”, si è concluso, il convegno di studi “In morte quoque non sunt divisi. Da Bruno a Lanuino: l’esperienza monastica dell’eremo di Santa Maria della Torre”, organizzato dalla Certosa di Serra San Bruno con il contributo di diversi enti e istituzioni, tra i quali la Regione Calabria, il Parco Naturale delle Serre Calabrese, la Deputazione di Storia Patria della Calabria e l’editore Rubbettino. Un convegno importante perché, tramite una pluralità di “voci”, ha aperto nuove piste di discussione scientifica intorno a un argomento ancora non compiutamente esplorato dagli studiosi. In particolare, le relazioni di Rinaldo Comba, Tonino Ceravolo, Giovanni Leoncini, Silvio Chiaberto, Don Leonardo Calabretta, Roberto Bisio e Francesco Cuteri, hanno utilizzato le lenti dello storico per focalizzare temi e problemi fondamentali dell’attuale dibattito: il rapporto tra eremo e cenobio nella fondazione monastica serrese, il ruolo di Lanuino nell’evoluzione dell’eremo della Torre, le modalità di trasmissione della sua memoria, lo stato della documentazione relativa all’insediamento calabrese, il passaggio della casa religiosa ai cistercensi alla fine del XII secolo, l’analisi della figura di Landuino. Di “taglio” orientato alla disamina delle coordinate spirituali del monachesimo certosino, a partire dal suo iniziatore Bruno di Colonia e anche in rapporto ad altre esperienze come quella di Camaldoli, gli interventi di Cecilia Falchini, Dom Ubaldo Cortoni e Giuseppe Gioia. Altrettanto importante l’apporto degli studiosi, appartenenti a diverse università italiane, che hanno presieduto le tre sessioni del convegno, da Giuseppe Caridi (presidente della I sessione), al già richiamato Rinaldo Comba e a Vito Teti, che ha coordinato la sessione conclusiva. Di grande suggestione, infine, l’intervento del Padre Priore della Certosa, Dom Basilio Trivellato, che, subito dopo i saluti delle autorità civili e religiose, ha proposto una densa e penetrante riflessione sul significato della vita certosina.

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Serra. Al via il convegno su San Bruno ed il Beato Lanuino

Prenderà il via venerdì e proseguirà fino a sabato pomeriggio il convegno di studi “In morte quoque non sunt divisi – Da Bruno a Lanuino: l’esperienza monastica dell’eremo di Santa Maria della Torre”, che si svolgerà nella suggestiva cornice del Museo della Certosa. Una due-giorni che vedrà succedersi le interessanti relazioni di ospiti di notevole caratura intellettuale e provenienti da alcuni degli ambiti culturali più prestigiosi. Il convegno, patrocinato dalla Certosa di Serra San Bruno, dalla Regione Calabria e dalla Deputazione di Storia Patria per la Calabria, si pone come apice delle manifestazioni svolte in occasione del nono centenario della morte (avvenuta l’11 aprile 1116) del Beato Lanuino, primo successore di San Bruno alla guida dell’eremo di Santo Stefano del Bosco e “socius fidelis” del Santo, al punto di essere con lui anche sepolto. Da qui il titolo della kermesse, la prima in assoluto dedicata a questa figura che a diritto può essere annoverata tra quelle di primissimo piano nell’ambito del monachesimo medievale. Si partirà dunque alle 16 di venerdì 17 giugno con la I Sessione di interventi, preceduti dal saluto delle autorità. La II e la III Sessione si svolgeranno nella giornata di sabato, a partire dalle 09:30 e poi dalle 15:30. Le tre sessioni avranno come presidenti, nell’ordine, Giuseppe Caridi (Università di Messina, Presidente Deputazione di Storia Patria per la Calabria), Rinaldo Colomba (Università di Milano) e Vito Teti (Università della Calabria). Tra i relatori, spiccano anche figure di studiosi che hanno abbracciato la vita monastica: Cecilia Falchini, della Comunità di Bose, e Ubaldo Cortoni, del monastero di Camaldoli. Tante altre figure di docenti universitari si alterneranno nel corso delle sessioni del convegno, pubblicizzato tra gli altri dai siti web di alcuni atenei francesi e da Spolia, Journal of Medieval Studies. 

Serra. Definito il programma per la visita in paese di Santa Maria del Bosco

Lunedì 23 maggio avrà ufficialmente inizio la Peregrinatio Mariana che la tradizione serrese prevede per gli anni giubilari. Nel pomeriggio, alle ore 17, muoverà dalla chiesa di Spinetto il corteo che preleverá dalla Certosa il simulacro ligneo di Santa Maria del Bosco. Un programma fitto di celebrazioni attende dunque la Madonna di San Bruno, che lascerà la Certosa dove era giunta il Martedì di Pentecoste. La Madonna di Santa Maria resterà nella chiesa di Spinetto fino al 30 maggio, quando passerà alla Parrocchia di San Biagio. Le celebrazioni nell'Assunta di Spinetto prevedono le Sante Messe alle 7:15 e alle 18. Alle 15, la recita comunitaria del Santo Rosario. Alle 21 i confratelli canteranno l'Ufficio della Beata Vergine.

 

Serra. Pentecoste e Giubileo: le novità nelle celebrazioni

Continuano le celebrazioni giubilari in occasione dell’Anno Santo straordinario della Misericordia, voluto da papa Francesco. E i riti secolari di Serra si fondono con quelli che vengono svolti solo in occasioni particolari quale può essere appunto un Giubileo. Oggi è il Martedì di Pentecoste, culmine della festa della Traslazione delle Reliquie di San Bruno e del Beato Lanuino, di cui ricorre in questo 2016 il IX Centenario della sua morte, avvenuta l’11 aprile 1116. La processione che, come di consueto, prevede il riaccompagnamento del busto argenteo di San Bruno in Certosa vedrà però una novità: da Santa Maria, infatti, muoverà anche il prezioso simulacro ligneo della Vergine, che come da tradizione visiterà la cittadina, in occasione dell’Anno Santo. La peregrinatio di Santa Maria del Bosco avrà dunque inizio dopo la S. Messa delle 17:00, con la processione in cui San Bruno e la sua Maestra cammineranno fianco a fianco in direzione della Certosa. Qui le due statue saranno accolte dalla Comunità Certosina; il Padre Priore affiderà la Certosa a Maria Santissima, recandole in offerta simbolica le chiavi del monastero. La statua di Santa Maria sarà quindi portata all’interno del Convento, dove rimarrà fino a lunedì 30 maggio. Avrà poi inizio la sua visita al centro abitato di Serra.  

Studio della vita di San Bruno nelle scuole di Serra: la proposta del Comune

La spiritualità, la scelta fra la frenesia mondana e la solitudine dei paesaggi naturali, la riflessione e la preghiera. I tratti essenziali della vita di San Bruno e dei certosini saranno inseriti all’interno delle previsioni didattiche delle scuole serresi. È questa l’idea che l’amministrazione comunale vuole concretizzare cogliendo a pieno il senso del Giubileo della Misericordia e creando un veicolo che, attraverso l’approfondimento dell’esperienza del Santo di Colonia, possa diffondere gli insegnamenti derivanti dalla mistica contemplazione. Si tratta di un progetto inserito, seppur in maniera generica, all’interno del Documento Unico di Programmazione, già approvato dalla Giunta guidata dal sindaco Bruno Rosi e posto all’ordine del giorno nella seduta di consiglio comunale di lunedì prossimo. All’interno dell’ambito strategico riguardante “la riqualificazione e la promozione del patrimonio storico e artistico, la valorizzazione delle bellezze naturali, delle tradizioni, della gastronomia locale e della creazione di spazi dedicato allo svago” sono infatti presenti gli ambiti operativi “Avvio del Centro studi per la cultura certosina e la valorizzazione a livello nazionale ed internazionale del complesso monastico bruniano e dei beni artistici e storici ad esso legati”  e “Introduzione nelle scuole dello studio basilare della vita di San Bruno e dei certosini”, quest’ultimo da realizzare “di concerto con le scuole”. “Il nostro obiettivo – ha dichiarato al proposito il presidente del consiglio Giuseppe De Raffele – è quello di trasformare in splendida realtà gli itinerari turistici e religiosi che rappresentano un’occasione unica di sviluppo per il nostro territorio”.

Esce il film “Saint Bruno, Père des Chartreux”: la vita del fondatore dell’ordine certosino

È dal sito certosini.info che viene annunciata l’uscita del film “Saint Bruno, Père des Chartreux” del regista francese Marc Jeanson. Si tratta del primo documentario, della durata di 50 minuti e prodotto dalla Grande Chartreuse, realizzato nella storia e dedicato interamente a San Bruno. “L’origine – viene specificato -  ne è stata la celebrazione nel 2014 del 5° centenario della sua canonizzazione: in quest’occasione una grande esposizione è stata organizzata dai monaci certosini nel museo della Grande Chartreuse. Vi erano esposte 80 opere antiche e moderne, dal 1615 al 2014, con l’intento di scoprire l’anima di San Bruno e di mostrare come la sua paternità rimane straordinariamente presente ancora oggi”. “Il film – viene sottolineato - utilizza molto questa magnifica base iconografica, di cui gran parte non era mai stata prima presentata al pubblico. Nel documentario tutta la vita di San Bruno viene raccontata quasi unicamente attraverso le antiche cronache, illustrate con delle riprese fatte nei luoghi dove Bruno ha vissuto, in Francia e in Calabria. Vi si ascoltano anche importanti testimonianze dei suoi contemporanei, fra i quali Pietro il Venerabile, come anche brani delle Consuetudini di Certosa la primissima regola dei Certosini scritta da Guigo quinto priore di Chartreuse”. Centrale è il percorso spirituale del Santo di Colonia che, dopo essere stato uno dei più eminenti studiosi di teologia del suo tempo, attratto dalla vita eremitica dei primi Padri del deserto, decise di lasciare l’agitazione del mondo e abbandonare “le ombre fugaci del secolo” per mettersi alla ricerca del “Dio vivente”. Giunto nel 1084 nella valle di Chartreuse con sei compagni vi inizia, nell’austerità delle montagne, una forma di vita monastica, interamente votata a Dio, unica in Occidente per il suo equilibrio di solitudine e di comunione. “Il film – viene ancora rilevato - rende molto bene l’itinerario affascinante della vita di quest’uomo che ha attraversato l’Europa (Colonia, Reims, Chartreuse, Roma, Calabria), spinto sempre più dal desiderio di una vita umile e solitaria nascosta in Dio e trascinando con sé una gran moltitudine di monaci e monache nel corso dei secoli: l’Ordine Certosino. Nella seconda parte del documentario viene quindi evocata quella vita monastica che da lui è stata iniziata e che, dopo più di nove secoli, si svolge immutata, ancora oggi in questi monasteri di silenzio. Gustando questo film – è l’anticipazione per i devoti - si comprende come sia possibile cogliere un’analogia tra la bellezza sensibile espressa dalle opere d’arte o dai luoghi in cui Bruno ha vissuto e la bellezza spirituale che irradia dalla sua santità. Segno di contraddizione per la nostra epoca, splendida avventura umana e spirituale di ogni tempo e di oggi in particolare, il silenzio e la sete di contemplazione che hanno preso San Bruno ci parlano ancora e ci attirano”.

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