Trump e l'abolizone dello ius soli

Trump intende abolire lo ius soli, che concede la cittadinanza a chiunque sia nato negli Usa, quale che sia la condizione dei genitori. A ben vedere, si tratta di impedire di avere effetti a una norma che è stata concepita nella costituzione del 1776, ormai 350 anni fa, e in tutt’altre situazioni.

I coloni che in quell’anno si ribellarono alla Gran Bretagna erano in massima parte inglesi, ma, dopo un momento di incertezza, decisero la guerra per l’indipendenza. Non tutti, a dire il vero, e alcuni, dettisi loyalist, rimasero fedeli al re; come è sorprendente che lo sia rimasto il Canada, incluso il Québec di lingua francese.

Una curiosità: il generale Stuart, quello che nel 1806 sconfisse a Maida i Francesi di Reynier, era un loyalist di nascita americana.

Come si vede, la situazione non era poi chiarissima. E non mancavano i monarchici, che avrebbero voluto un regno, anche se indipendente da Londra; e c’era l’evidenza, sottintesa ma ben nota, che molti dei “padri fondatori”, tra cui lo stesso Washington, erano in qualche modo parenti, sia pure illegittimi, della Casa reale britannica di Hannover.

C’era sempre il pericolo che qualche principe britannico varcasse l’Atlantico con rivendicazioni del trono. Da queste circostanze derivò una norma tuttora ferrea e in vigore: per essere eletti presidenti, bisogna essere nati nel territorio degli Stati Uniti. Tutti ricorderete che Arnold Schwarzenegger fu per anni apprezzato governatore della California, ma non poté candidarsi alla presidenza, perché nato in Austria. E qualcuno affacciò sospetti su dove davvero Obama avesse visto la luce.

Appena formatisi, gli Usa si posero il problema dell’immigrazione e di come utilizzarla a vantaggio della Nazione. Decisero di aprire il Middle West, poi il West, solo ai “wasp”: bianchi, anglosassoni, protestanti, con qualche larghezza per scandinavi e tedeschi, ma non per i cattolici di origine spagnola o italiana, che vennero destinati alle città della costa orientale, in particolare a N. York. Non trovereste un italiano ad ovest degli Allegheny!

Gli immigrati di tutte le razze ebbero sempre difficoltà ad ottenere la cittadinanza Usa; ma i loro figli, se nati in Usa, ottennero lo ius soli.

Ovvio che un simile meccanismo funzioni solo con numeri piccoli o comunque sopportabile; e non certo a milioni di stranieri.

Nel 1776, i costituenti non avevano la minima idea che esistesse al mondo una terra chiamata Guatemala o una Honduras, se non come curiosità etnografica; e nessuno poteva immaginare che da lì arrivassero stranieri a milioni.
Ecco che lo ius soli del 1776, nel 2018 non ha più funzione, anzi è pericoloso.

Anche i padri costituenti nordamericani, pur così accorti e giuridicamente bene attrezzati, poterono commettere, nella Carta, un piccolo errore.

L'unilateralismo di Trump e l'inanità dell'Onu

Non so cosa succederà in Terra Santa, dopo la decisione di Trump circa Gerusalemme; quello che so per certo è che finora non è successo un bel niente per mano di Europa e Onu, e nemmeno di quella diplomazia vaticana che in tante altre occasioni è stata all’altezza del compito. Ma lì no, nessuno ha mai cavato un ragno dal buco, e tanto meno l’Onu.

 Ma cos’è, quest’Onu, da quando nacque, come Società delle Nazioni, quando, secondo il suo ideatore Wilson, doveva salvare il mondo? È stata ed è un immane e costosissimo apparato burocratico che ottiene molto di meno di quanto spende; e che non ha mai impedito o rinviato alcun conflitto; e che, con spregio del ridicolo, riserva dal 1945 il diritto di veto a Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna; e a una Cina che era tutt’altra; e a un’Unione Sovietica che non c’è più, e il veto lo ha la Russia.

 Nel caso in parola, l’Onu, e in buona compagnia l’Europa e lo stesso Vaticano, hanno totalizzato infiniti fallimenti dal 1947 a oggi, senza sapere né proporre saggiamente né imporre con autorevolezza e forza. Il motivo è che a comandare, oggi, è sempre il politicamente corretto, il che produce questa paradossale situazione: quasi tutti sono contro lo Stato d’Israele, ma tutti, proprio tutti, sono dalla parte degli Ebrei; e nessuno ha il benché minimo coraggio di chiarire che gli Ebrei sono un popolo sparso nel mondo e con molte e varie cittadinanze, e manco tutti di religione israelitica, o, più esattamente, giudaistica; e lo Stato d’Israele è uno Stato come la Danimarca e come la Nuova Zelanda e il Perù, e dovrebbe avere gli stessi doveri e diritti, e venire trattato come gli altri.

 E quando in chiesa ci fanno recitare o cantare qualcosa con la parola Israele, ciò non ha un bel niente a che vedere con lo Stato d’Israele, anzi con gli Ebrei, ed è una purissima omonimia con ben diversi significati.

 Ma l’Onu deve, nella stessa seduta, parlare bene di Israele e male dello Stato d’Israele; e volere bene ai Palestinesi, però senza toccare lo Stato d’Israele.

 Ed è solo un esempio di come quest’Onu non serva a niente. Se Trump riduce i soldi americani, sarà solo la riduzione di qualche sperpero di denaro.

 Ma se le sedicenti istituzioni sovranazionali non valgono, non è che al loro posto ci sia una qualche diplomazia che agisca meglio. E tutti giocano a rimpiattino: per prima l’Italia, che dalla mattina alla sera inneggia ad Europa e Onu, e poi – ed è un’ottima idea – manda per conto suo soldati nel Niger, come li ha mandati, sempre per conto suo, in Libano. Certo che ha chiesto il permesso all’Onu, e l’Onu paga; ma anche le guerre in Iraq e Serbia e Libia eccetera sono state decise altrove… con il permesso del “Palazzo di vetro”.

 Ma se per fare cose serie bisogna gabbare l’Onu, l’Onu, che ci sta a fare?

 E ripeto che, se non possiamo sapere che risultato otterrà, se l’otterrà, Trump, diciamo che finora Onu, Europa e gli stessi Stati Uniti ne hanno ottenuti zero.

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Trump bombarda la Siria

Alle 4,40 della notte scorsa (3,40 in Italia), gli Stati Uniti hanno bombardato con 59 missili 'Tomahawk' la base aerea siriana di Shayrat, nella provincia di Idlib. I missili sono stati lanciati da due navi che incrociano nel Mediterraneo.

L'aggressione è stata motivata dal presidente Trump con l'uso, tutto da dimostrare, di armi chimiche da parte dell'aviazione di Damasco.

Il bombardamento avrebbe causato cinque i morti, tra cui tre soldati e due civili. Lo ha detto Talal Barazi, il governatore della provincia di Homs, aggiungendo che altre 7 persone sono rimaste ferite.

Il Comitato di Difesa della Duma di Stato (la Camera bassa) russa ha espresso preoccupazione per l'attacco missilistico che potrebbe peggiorare i rapporti tra Mosca e Washington, nonché portare a un ampliamento dei conflitti armati in Medio Oriente. 

"La Russia prima di tutto chiederà una riunione urgente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questo può essere consideratocome un atto di aggressione da parte degli Stati Uniti contro uno Stato dell'Onu", ha detto ai media russi Viktor Ozerov, presidente del comitato di Difesa e sicurezza del Consiglio federale (Parlamento) russo.

L'attacco americano sulla base militare siriana "viola la legge internazionale. Washington ha compiuto un atto di aggressione contro uno Stato sovrano", ha sottolineato il presidente russo Vladimir Putin, citato dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, secondo i media russi. 

 

Trump e la dittatura dell'oligarchia

Sono tre le forme di governo storicamente più comuni. Senza scomodare i classici e praticando una semplificazione, le si può distinguere in: dittatura, oligarchia e democrazia. Fin dalle elementari  insegnano che la dittatura è il potere di un solo uomo, l’oligarchia il potere di una minoranza, la democrazia il potere di tutti.

Se ne deduce, quindi, che la democrazia dovrebbe rispecchiare la volontà della maggioranza.

Nelle democrazie moderne, le scelte si esprimono attraverso libere elezioni. Lo schema è piuttosto noto, ma di questi tempi molti sembrano averlo dimenticato. Il leader di un partito si candida e sottopone agli elettori un programma, ovvero un elenco di cose da fare.

I cittadini scelgono, quindi, chi propone ciò che vorrebbero fosse realizzato. Capita spesso, però, che dimentico del programma, il politico, una volta eletto, faccia tutt’altro. In Italia, di esempi del genere se ne potrebbero citare a iosa. Quanto la pratica sia diffusa lo dimostra il ricorso, sempre più frequente, al cosiddetto fact checking. L’analisi della corrispondenza tra ciò che si è detto e ciò che si è realizzato restituisce l’indice di affidabilità di un uomo politico.

Va da sé che chi non mantiene la parola data, in politica, come nella vita, dovrebbe veder scemare rapidamente la propria credibilità.

Tuttavia, può capitare esattamente l’opposto

È il caso, ad esempio, di Barack Obama la cui popolarità, a livello mediatico, è rimasta sempre immutata.

A suo beneficio, infatti, nonostante le tante promesse non mantenute, la fanfara del pensiero unico ha continuato ad intonare inni di giubilo.

All’estremo opposto, c’è invece Trump. Il neo presidente Usa è entrato stabilmente nel mirino dei cecchini del politicamente corretto. Ogniqualvolta firma un provvedimento, la consorteria radical chic lancia un peana.

Eppure, essere democratici dovrebbe voler dire rispettare il responso delle urne ed accettare, pur non condividendolo, il pensiero degli altri.

Ma, per i fautori della democrazia ad intermittenza, non sembra avere alcuna importanza il fatto che Trump abbia vinto le elezioni, non nel Medioevo, ma due mesi fa. Ancora meno importante, sembra essere la circostanza che stia mettendo in pratica le misure per cui è stato votato.

Ancorché in disaccordo con lui, gli epigoni della democrazia liberale dovrebbero rallegrarsi. Per costoro, un presidente che rispetta il sacro patto sottoscritto con gli elettori dovrebbe essere un esempio da citare.

Al contrario, si assiste alle quotidiane levate di scudi di un’oligarchia che, in nome della democrazia, vorrebbe imporre la dittatura della minoranza.

Articolo pubblicato su: mirkotassone.it

Obama - Trump e i poli estremi del pregiudizio

 Quando Obama fu eletto, gli diedero subito il Nobel per la pace, senza aspettare che facesse qualcosa per meritarselo. Poi ha fatto, sì, ma un mare di guerre, e anche maldestramente; ed ha oggettivamente favorito califfi e terroristi islamici.

 Ripeto ancora che il sedicente Premio Nobel per la pace NON ha niente a che vedere con i Nobel assegnati dall’Accademia di Svezia; ma è un’operazione di politicanti del parlamento della Norvegia. Lo ripeto perché la gente, se no, pensa sia un Nobel sul serio.

 Obama è la dimostrazione che “Non chi grida Signore Signore entrerà nel Regno dei cieli”: a sentire lui e compagni, sono un’inesauribile antologia di sante intenzioni, quasi tutte contraddette dai fatti. Solo che c’è una cultura parolaia che dà, appunto, importanza alle parole; e se uno parla di pace pensa che faccia la pace. Chiedetelo a Libia, Iraq, Siria, cosa ne pensino della pace di Obama… e ai tentativi di Obama di provocare alla guerra la Russia. Il primo atto di Trump sarà incontrarsi con Putin: chi dei due cerca la pace?

 Le donne? Trump ha poco rispetto per la castità delle donne? Beh, almeno non lo fa alla Casa Bianca, e nel ben noto modo preferito da Clinton marito sotto gli occhi compiacenti della Clinton moglie. O vogliamo ricordare gli amori dei Kennedy?

Gli immigrati? Ma secondo voi c’è davvero qualcuno, in tutti gli Stati Uniti, che desidera un’inondazione di messicani? O, in Italia, di “profughi” e “minori non accompagnati” e ampiamente diciottenni?

 O qualcuno al mondo pensa che se un cantante è bravo a cantare (ammesso, e “de gustibus…”), io prenda in alcuna considerazione il suo parere sulla letteratura greca o sulla presidenza degli Stati Uniti? Canti, si paghi, poi stia zitto.

 Ciò premesso, non è che io straveda per Trump: ma vogliamo concedergli i cento giorni canonici che non si negano a nessuno? Aspettiamo dunque almeno Pasqua, per giudicare. Giudicare dai fatti, non dalle chiacchiere.

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"Trump non conosce il mondo", Juncker nemmeno il suo paese

Secondo Juncker, attuale capo dell’Europa, Trump non conosce il mondo. Per carità, Trump non sarà un’aquila di cultura e, almeno per il momento, potrebbe essere poco esperto… Giusto, giustissimo.

 Ma se Juncker rimprovera così pesantemente Trump, allora dobbiamo dedurre che Juncker, e con lui i suoi colleghi della commissione, e, in genere, la classe dirigente europea siano legittimati a criticare, ovvero siano e si siano dimostrati finora dei geni della politica. Consentitemi alquanto di eccepire:

-          L’Europa entrò nella crisi del 2008; dal 2008 la commissione e la burocrazia e la classe dirigente europea non sono riuscite nemmeno ad immaginare la benché minima soluzione; l’Europa era e resta in crisi;

-          L’attuale capo, Juncker, non sta facendo nulla di nulla, a parte operazioni da ragioniere per vedere se il tale bilancio ha lo 0,1 o lo 0,2, eccetera;

-          La commissione europea si segnala solo, di tanto in tanto, con draconiane disposizioni sull’involucro delle mozzarelle: per tutto il resto, muta;

-          L‘Europa non ha nemmeno l’ombra di una politica estera; qualche rara volta, qualche raro Stato finge di fare qualcosa, in genere con i piedi come la Francia: ma la politica estera dell’Europa è zero;

-          Juncker predica accoglienza di migranti: ebbene, a Calais c’è un muro, a Ventimiglia la polizia francese impedisce gli accessi; la Germania, dopo le bastonate elettorali della Merkel, non accoglie più tanto… Il guaio è tutto e solo dell’Italia. Insomma, Juncker predica e noi “accogliamo”.

 Insomma, Trump non sarà Bismarck, ma Juncker mi pare nemmeno buono per consigliere comunale di paese.

 Ma perché tanta acrimonia? Beh, tra le righe delle juncheriane dichiarazioni traspare: l’Europa dei burocrati è terrorizzata di una politica isolazionista di Trump: pensate, se Trump dovesse sul serio diminuire l’impegno militare e politico americano, quei grigi passacarte, Juncker e soci, dovrebbero mettersi a fare davvero politica, e, orrore, persino una politica militare. Ve li figurate, Juncker e Prodi, con quelle facce, in divisa da generale?

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Trump, Berlusconi e i sondaggi sbagliati

Come si fa a sbagliare così clamorosamente i sondaggi elettorali? E mica nel Buthan e nel Ghana, ma in Gran Bretagna e USA. O, detto in un altro modo, se le grandi catene di distribuzione commerciale facessero i sondaggi come li fanno i sondaggisti politici, sarebbero fallite già da un bel pezzo.

 Come mai? Beh, è semplice. Se io mando un emissario a stare davanti a un supermercato e a chiedermi come mai abbia comprato, che so, il caffè marca X a 0,65 come ho fatto stamani, la risposta sarebbe semplice e senza dubbi: è un prodotto discreto a prezzo allettante. L’emissario registra e ringrazia; e trasmette i risultati alla ditta committente l’indagine. Qual è il segreto professionale del sondaggista commerciale? Che a lui del caffè X o di quello Y non importa un bel nulla, fa solo il suo lavoro; e se io rispondessi che X fa schifo e costa assai, perciò non lo compro, lui che fa? Registra e ringrazia; e trasmette i risultati alla ditta committente l’indagine.

 I sondaggisti politici, invece, non sono mai veramente professionali; e le loro domande sono, magari inconsciamente, tendenziose; e sperano comunque di ricevere la risposta che, magari inconsapevolmente, desiderano; o che desidera il committente. Ecco da dove spunta che la Clinton viene data “leggermente in vantaggio”, e poi busca una legnata di proporzioni epocali. Se io fossi un politico, mi risparmierei i soldi dei sondaggi; oppure, travestito, frequenterei di persona le bettole e i mercatini.

 Veniamo alle cosette dell’Italia. È fuor di dubbio che Silvio Berlusconi è stato ed è un imprenditore di grandissima abilità; e perciò un raffinato conoscitore delle esigenze e dei gusti della clientela. Se così non fosse, sarebbe in miseria. Vero quindi che Berlusconi si serve anche di sondaggisti professionali e affidabili per i suoi affari di ogni genere.

 Invece i suoi sondaggisti politici sono, dal 1994, come quelli della Clinton nel 2016: tendenziosi e incapaci. Dal 1994 hanno malissimo informato il loro committente, facendogli credere che la gente voglia una cosa strana che chiamano “il centro”, cioè l’asino di Buridano eternamente indeciso; e così Silvio ha pensato di accontentare tutti, perciò non ha accontentato seriamente nessuno. Andato tre volte al potere, non ha mai riformato nemmeno il colore delle tendine della sala riunioni.

 La gente, al contrario, vuole la coppia sì / no, la coppia splengeriana amico / nemico: vuole essere posta di fronte a scelte precise e inequivoche. Per “tendere al centro”, cioè al nulla, Berlusconi si è ridotto al lumicino.

 Un corollario. Non è nemmeno vero che un supermercato debba accontentare tutti, ma esattamente il contrario: sceglie una tipologia di clienti, non tutti i clienti del mondo; il supermercato dozzinale dove ho comprato il caffè X a 0,65 non avrà certo una bancarella con classici greci senza traduzione, o rarissime orchidee in via di estinzione. Viceversa, una gioielleria non venderà panini e mortadella. Un partito politico per definizione (partito, da “pars”), rappresenta qualcuno ed è avversario di qualcun altro.

 Riepilogando: i sondaggisti politici sono soldi gettati al vento. Se io fossi in campagna elettorale, non ne assumerei nemmeno uno. Berlusconi sì, e Forza Italia è ridotta al lumicino.

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