“Fabrizio De Andrè. A furia di essere vento”, venerdì a Petrizzi

Si svolgerà, a Petrizzi, venerdì 14 agosto alle ore 21.30, lo spettacolo “Fabrizio De Andrè. A furia di essere vento”. Scritto da Ulderico Nisticò per la regia di Alfredo Battaglia, lo spettacolo sarà interpretato da Antonella Paonessa, Gilda Mirarchi, Vittoria Santoro, Silvia Battaglia, Alfredo Battaglia, Gianluca Celia, Giuseppe Giorl e Pasquale Mosca.

Ulderico Nisticó fa rivivere la figura di Cassiodoro a Expo

Il lavoro teatrale “Vivariense dei pesci e delle anime”, ispirato alla figura di Cassiodoro, è stato rappresentato all’Expo di Milano nell’ambito della manifestazione della Coldiretti e del GAL Serre. Protagonisti sono stati l’autore Ulderico Nisticò e il regista Mario Maruca. Un successo che testimonia la qualità degli uomini di cultura calabresi.

La storia del Mezzogiorno borbonico inizia a Bitonto, intervista a Ulderico Nisticò

Suscita curiosità la commemorazione che si tiene, il 18 luglio, a Bitonto. Ne abbiamo chiesto a chi ne sa non solo come storico, ma come protagonista della manifestazione, Ulderico Nisticò.

 Quest’anno non ci sarò: il 18, programmata da mesi, terrò la presentazione del libro della Fazio e don Galeone. C’ero nel 2004, quando Laricchia s’inventò la celebrazione della battaglia che diede inizio alla nostra storia moderna.

 Non è che i libri di testo si dilunghino molto sull’argomento…

Già. È un episodio della Guerra di successione polacca, in realtà combattuta per togliere all’Austria l’eccessiva potenza in Italia. Un esercito spagnolo, guidato da Josè Carrillo conte di Montemar, sconfisse gli Austriaci, e portò sui troni di Napoli e Sicilia il duca di Parma, Carlo di Borbone. I trattati di pace del 1738 lo riconobbero sovrano indipendente dei sue Regni.

 Chiariamo per i lettori: sono intricate faccende dinastiche?

 Carlo era figlio di Filippo V di Borbone, che, pronipote di Luigi XIV, era stato riconosciuto re di Spagna; e della sua seconda moglie, Elisabetta Farnese duchessa di Parma. La Spagna rivendicava i suoi antichi possessi, ma si dovette contentare di un re sovrano: anzi i trattati sancirono esplicitamente che i troni italiani non dovevano mai più essere uniti a quelli spagnoli. Infatti quando Carlo nel 1759 diverrà re di Spagna, lascerà il figlio Ferdinando IV come re di Napoli e III come re di Sicilia.

 Dunque la storia del Mezzogiorno borbonico inizia a Bitonto.

 Merito di Francesco Laricchia, medico e storico, che volle la commemorazione, e, in vario modo ogni anno la ripete. Ricordiamo – dico le volte in cui mi è possibile esserci – la battaglia e le sue conseguenze storiche e politiche. A Bitonto si celebra anche il miracolo dell’apparizione della Madonna, che ordinò agli Spagnoli di non saccheggiare la città. Gli scettici insinuano che la città pagò un riscatto.

 Venne, molti anni dopo, eretto un solenne monumento con quattro eleganti lapidi in latino. Troppo lungo sarebbe qui il discorso

 Ce ne parlerà ancora in altra occasione?

 Volentieri. Ora basti un cenno a quella che afferma la valenza storica della battaglia, con l’espressione che Carlo affermò con la vittoria “Italicam libertatem”.

 L’indipendenza d’Italia? Accidenti, nel 1734!

 Vero; intanto rivendicando, sia pure nominalmente, Parma e la Toscana; poi quasi riprendendo la funzione di Napoli ai tempi del vicereame, centro dei domini spagnoli. Un’affermazione diciamo oggi virtuale, ma politicamente interessante.

 Fermiamoci, per ora, alla commemorazione dei Caduti austriaci.

 Laricchia la volle nel 2010; prese contatto con la Croce Nera di Vienna, istituto per le onoranze ai Caduti, e, ottenutane la partecipazione, pensò a una lapide e incaricò me di scriverla. È quella che è stata pubblicata qualche numero fa.

 Torneremo a trattare di re Carlo e di Bitonto?

 Sarà un piacere… e un dovere borbonico.

 

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Domani a Catanzaro la presentazione di Muse Ioniche

Approda nel capoluogo di regione “Muse Ioniche – Poeti e prosatori in greco e latino”. Il volume di Uldericò Nisticò verrà presentato domani, 22 maggio, alle ore 18, nella sala consiliare del comune di Catanzaro. A fare gli onori di casa saranno, il presidente del consiglio comunale, Ivan Cardamone e l’assessore alla pubblica istruzione, Antonio Sgromo. La manifestazione, moderata da Domenico Sorrentino, entrerà nel vivo con gli interventi dei presidenti delle associazione “Universo minori”, Rita Tuelli e “Risveglio ideale”, Angela Napoli. A seguire relazioneranno, il professore dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, Albero Scerbo ed il responsabile dell’Osservatorio politiche di genere e pari opportunità, Marco Marchese. Al tavolo dei relatori siederanno, inoltre, don Pino Silvestre, l’avvocato Francesco Procopio, l’imprenditore Pino Cavallaro ed il presidente Csv Mario Cortese. Le conclusioni saranno affidare all’autore che illustrerà il contenuto del volume la cui lettura permette di sfatare uno dei miti più duri a morire, ovvero che la Calabria sia stata solo Magna Grecia. Il libro, concepito come una ricca silloge, abbraccia un ampio periodo storico e raccoglie opere e scritti che vanno dalla Magna Grecia all’età Contemporanea. In particolare, il volume si apre con i “Frammenti” di Stesicoro di Medma e si conclude con il “Professio fidei” di Gioacchino da Fiore.

Dante, la Divina Commedia e la Regione Calabria

Fanno 750 anni dalla nascita di Dante, 1265 sotto il segno dei Gemelli, dunque tra maggio e giugno. Qui e lì si svolgono o si svolgeranno delle iniziative per l’evento. Mica è poco: il Sommo Poeta, e padre della lingua italiana… Sì, ricordare Dante è quanto meno doveroso. Se ci fosse in Calabria un assessore regionale alla cultura, ma non c’è e non nutriamo alcuna speranza che ci sia! Se dunque ci fosse, potrei persino suggerirgli di celebrare in Calabria l’Alighieri, e non solo per il suo valore universale, ma per qualcosa di squisitamente calabrese. No, non vado a spulciare la parola fiumara, o lumera, che forse vennero a Dante dal calabrese; o il pastor di Cosenza di Purg. III, o Catona (altra lezione, Crotona) di Par. V; sarebbero piccole cose: bensì per il legame profondo tra il pensiero teologico di Dante e la stessa ispirazione profonda della Commedia e la speculazione di Gioacchino da Fiore, che egli stesso tiene a definire “calavrese”, quasi a identificare con lui un intero popolo e la sua cultura. Lo dice “di spirito profetico dotato”, nonostante la Chiesa avesse giudicato “errate” le sue dottrine e proibito i libri. Questi tuttavia circolavano, in particolare tra i francescani, e loro tramite giunsero fino a Dante. Era ricchissimo di fascino il pensiero delle tre età: quella severa del Padre nell’Antico Testamento; quella misericordiosa del Figlio nel Nuovo; e la fine dei tempi e della storia, il “sabatizare” dello Spirito Santo. Agevole riconoscere la struttura triadica della Commedia, con le tre Cantiche, i trentatré Canti, le terzine… Altrettanto gioachimita è gran parte della simbologia dantesca, com’è dimostrato dalla scoperta del Liber figurarum. Basti questo assaggio. Insomma, la Calabria avrebbe buon diritto e stretto dovere di celebrare l’Alighieri. Lo farà? Lasciatemene molto dubitare.

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L'enigma Filangieri e la valle dell'Ancinale

L’editore d’Amico ha pubblicato, in anastatica, la biografia “Carlo Filangieri” di Pietro Calà Ulloa, che fu ministro di Francesco II in esilio, e si dedicò agli studi storici. Il volume, per quanto palesemente datato, va letto per cogliere diverse notizie sulle vicende non solo e non tanto del Filangieri, quanto della storia del Reame da Murat al 1860. Troviamo Carlo Filangieri da Austerlitz a Lipsia alla Spagna al Congresso di Vienna, e via via fino alla fine del Regno. Qui io voglio trattare un aspetto che, a dire il vero, nel Calà Ulloa non compare, ed è invece di una certa importanza: Carlo Filangieri e la Valle dell’Ancinale. Nel 1817 egli ottenne, per i buoni uffici di una zia maritata Ravaschieri, i titoli, ormai solo nominali, di principe di Satriano e duca di Cardinale. Nelle cronache dell’Ottocento è conosciuto, secondo l’uso, come Satriano. Nel borgo affacciato sullo Ionio, i Ravaschieri avevano posseduto una fortezza, donde il nome dialettale di “Picocca” (bicocca) per indicare Satriano; e un grande palazzo a stento riconoscibile per abbandono, riuso e superfetazioni. Nel territorio di Cardinale il loro cespite più notevole era la Razzona, azienda in spagnolo, castelletto di caccia con attorno un vastissimo bosco. Vi si trovarono, nei secoli, pietre lavorate del neolitico, e ritenute magiche e cadute dal cielo: “i cugni e tronu”; si conservano in musei di Napoli, Crotone e Catanzaro. L’industria boschiva era esercitata con seghe idrauliche: “a serr’e l’acqua”.  Filangieri, che appare legato più a Cardinale, dove si recava spesso, che a Satriano, diede vita nella Razzona a una ferriera (“magone”). Il ferro era, diciamo così, la plastica dell’Ottocento, materiale solido e duttile. Si vuole che il primo ponte di ferro d’Italia e uno dei primissimi d’Europa, quello di Minturno sul Garigliano, sia stato prefuso a Razzona, e non, come di ripete, nella fabbrica statale di Mongiana. Ma le leggi del Regno, sempre troppo protezioniste, vietavano ai privati l’uso del ferro calabrese (Bivongi, Stilo, dal 1846 anche Agnana… ), riservato allo Stato; Filangieri importava il grezzo dall’Elba. Nel 1849 accettò l’incarico di riconquistare la Sicilia ribelle, e lo portò a termine alternando decise operazioni militari e accortezza politica, mirando ad accattivarsi la potente e superba nobiltà isolana. Urtò contro la grettezza di Ferdinando II e la palese ostilità di un Cassisi, la cui nomina a ministro della Sicilia stando a Napoli era un’offesa e per l’isola e per lo stesso Filangieri. Questi spese del suo, non ricevendo aiuti dal governo. Rinunciò infine, e si ritirò a vita privata. Nel 1851 Razzona aveva subito i danni di un’alluvione. Filangieri la offrì in vendita agli abbienti di Cardinale, e la comprò un Pelagi, i cui numerosi discendenti la posseggono molto parcellizzata. Molto tardivamente, e venendo a morte assai prima che non si aspettasse, Ferdinando affidò a Filangieri il figlio ed erede Francesco II. Qui si apre l’enigma Filangieri: egli assunse il governo, consigliò il ripristino della costituzione “sospesa”, ma anche trattative con il Regno di Sardegna e la Francia. Lasciò infine l’incarico e lo stesso Regno, passando a Marsiglia, da dove tornò solo a Due Sicilie cadute; morì nel 1867. Il titolo di principe di Satriano è estinto; quello di duca di Cardinale è tornato, per matrimonio, nel Ravaschieri. Forse Carlo si era convinto che la soluzione unitaria era non dico la migliore, ma la meno peggio, di fronte al pericolo di una repubblica mazziniana che doveva essere stroncata da interventi stranieri ben più duri. O non credette più alla possibilità che il Regno sopravvivesse. Resta allo storico di immaginare una grande battaglia nella pianura di Salerno tra il guerrigliero Garibaldi e l’uomo di scuola napoleonica Filangieri: e chissà chi avrebbe vinto; Filangieri non era Landi, Lanza, Ghio, e nemmeno il fedele e inetto Ritucci, bensì un grande soldato e uomo di coraggio; ma la storia reale la giocarono Cavour e Napoleone III, e il Regno e Garibaldi erano superati dai fatti. Una lapide, ritrovata da Mario Monteverdi, ricorda l’avventura industriale di Razzona: A Carlo Filangieri / Principe di Satriano / per animo e per ingegno / non dissimile a Gaetano svo padre / e per gli egregi svoi fatti di gverra / gloria e decoro delle napolitane milizie / il cavaliere Saverio Amirante / rettore di queste magone / in testimonio / di grato e devoto animo / l'anno 1856 / Francesco Antonio Stagliano' / esegvi'

 

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Il libro: le "Muse Ioniche" di Ulderico Nisticò

Erano figlie di Zeus e di Mnemosyne, la dea della Memoria. I geni materni erano fondamentali, perché le nove Muse, da Clio a Calliope, si cimentavano in rami del sapere così importanti da dover essere tramandati ai posteri. Le Muse, quindi, intese come metafora della memoria e della trasmissione del sapere. Non è un caso, dunque, che siano proprio loro a dare il titolo all’ultima fatica dello storico e saggista Ulderico Nisticò che, nei due tomi di “Muse Ioniche – Poeti e prosatori in greco e latino” (Città del Sole edizioni) raccoglie opere e scritti che vanno dalla Magna Grecia all’età contemporanea. Il primo volume, si apre con i “Frammenti” di Stesicoro di Medma e si conclude con il “Professio fidei” di Gioacchino da Fiore. Il secondo tomo, invece, abbraccia il lungo periodo storico che va dal medioevo all’età contemporanea. Si tratta di un’opera importante, non solo sotto il profilo letterario, poiché la lettura dei testi aiuta a ripercorre le tappe di una storia della Calabria conosciuta solo a tratti, in maniera superficiale e frammentaria. Grazie al lavoro di Nisticò, è possibile sfatare il mito di chi crede che la Calabria sia stata solo Magna Grecia. E’ vero, “ sulle coste che oggi si chiamano di Calabria, Basilicata, Puglia giunsero, narrano i miti, gli antichissimi Peucezio ed Enotro, e vi trovarono popoli; e i coloni greci incontrarono alti monti e feconde pianure”. Fu in questi territori che “fiorì poesia, scienza, filosofia”. Ma, se non ci fossero stati i devastanti terremoti e le rovinose alluvioni, la Calabria avrebbe potuto, mettere in mostra quelle stratificazioni storiche, frutto di avvicendamenti culturali, che sono percepibili nell’opera di Nisticò. Al periodo magno greco, succede, infatti, quello romano. I discendenti di Romolo vennero in Calabria “ad apprendere quelle arti che le dure vicende del governo dello Stato e della guerra avevano loro vietate, e vi affinarono lingua ed animi”. Il tramonto del periodo romano non coincide con quello delle “Muse ioniche” che, anzi, continuano a far sentire la loro voce, anche, nei lunghi secoli del Medioevo e dell’Età moderna”, quando i “santi monaci scrissero di Dio” ed i “poeti cantarono l’amore in greco e in latino”. Un libro, quindi, che rappresenta un’antologia di testi che offre l’occasione ai lettori ed ai “giovani delle scuole” di conoscere  “un po’ meglio quella Magna Grecia di cui si parla molto senza troppo saperne, e quella cultura ionica più moderna che è affatto ignota”.

Ulderico Nisticò, Muse Ioniche, Città del Sole edizioni, pagine 232, prezzo 14,00 Euro

 

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Ulderico Nisticò presenta "Muse Ioniche"

Sarà presentato, alle 18,30 di oggi, nella sede di vico Caloiro, della Società "Dante Alighieri" di Crotone, il volume "Muse Ioniche - Poeti e Prosatori in greco e latino", dello storico Ulderico Nisticò. Il libro, edito da Città del Sole, è composto da due tomi che raccolgono, opere che vanno dalla Magna Grecia fino all'età contemporanea, passando per il perido latino, romeo, longobardo, normanno, svevo, angioino, etc.

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