Reggio C., sull'aborto il Centro di aiuto alla vita dice "No alla censura e alla dittatura del pensiero unico"

Riceviamo e pubblichiamo

"Il Centro di Aiuto alla Vita di Reggio Calabria, viste le dichiarazioni pubblicate sui social in merito all’affissione dei manifesti dell’Associazione Pro Vita e Famiglia dal Sindaco Giuseppe Falcomatà, sente il dovere di far sentire la sua voce accanto alla verità sulla vita nascente. Vogliamo esprimere il nostro disappunto sulla decisione del Sindaco di rimuovere i manifesti in questione: in considerazione dell'articolo 21 della Costituzione italiana, che sancisce prima fra tutte la libertà di manifestazione del pensiero, in particolare su temi così delicati che riguardano la coscienza individuale, la rimozione dello stesso non doveva essere nemmeno pensata. Riteniamo potesse essere accettabile un pensiero diverso da quello espresso dal movimento, ma non un’azione di censura da parte del Primo Cittadino. Il Centro di Aiuto alla Vita presente nella città di Reggio Calabriadal 2014 con la sua attività di sostegno alle future madri, crede nell'autodeterminazione della donna sull'aborto, rispettandone la sua libertà. Dall’esperienza dei volontari, attraverso i colloqui con le donne abbiamo tuttavia spesso riscontrato che la scelta dell'aborto non è sempre un atto di libertà ma obbligato da diversi motivi: sociali, familiari ed economici. Triste quella società che non aiuta la vita perché non ne garantisce il sostentamento. È in questo avremmo voluto che il nostro Sindaco ci fosse a fianco per rimuovere tali ostacoli, che portano le donne ad una scelta che sa di costrizione più che di atto libero. Nel ricordare ancora come un embrione è uno di noi e tale va considerato perché sarà l'uomo di domani, auspichiamo un dibattito in città soprattutto con i giovani sul valore della vita, anche per aiutare i nostri ragazzi a capire che le idee degli altri possono non essere condivise ma vanno rispettate!".

Gli operatori del Centro di aiuto alla vita di Reggio Calabria.

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A Reggio C. un camion vela con il manifesto: "I diritti umani iniziano nel grembo materno #StopAborto"

«I diritti umani iniziano nel grembo materno #StopAborto».

Torna a Reggio Calabria con questo messaggio, la campagna in difesa della vita nascente promossa da ProVita&Famiglia e sostenuta dall’associazione Stanza101.

L’iniziativa parte oggi (lunedì 25 gennaio) con diversi camion vela che girano in contemporanea in tutte le città d’Italia per portare un messaggio chiaro: "non esiste il diritto di uccidere una persona umana!".

Così continua l’azione culturale prolife, già promotrice della campagna #DallaParteDelleDonne contro la pillola abortiva Ru486 .

"Ogni anno - si legge in una nota dei promotori della campagna- vengono praticati in Italia circa 80mila aborti. Ma l’aborto danneggia le donne. Il danno può essere a livello mentale, emotivo, psichico, ma anche gravemente fisico con infezioni ed emorragie e persino la morte. Il tutto avviene in un quadro dove cresce la percentuale di medici che aderiscono allo strumento dell’obiezione di coscienza, oggetto di ricorrenti attacchi. Come ha dichiarato l’ex presidente della Sigo, Nicola Surico, «far abortire una donna è un lavoro che non piace a nessuno e si tratta pur sempre di interrompere una vita, e questo pesa». Una questione che mai è stata affrontata seriamente e che è ora di rendere nota e pubblica poiché, come dichiarato da Jacopo Coghe (vice presidente di PV&F), «L’aborto è l’uccisione di un bambino. Sia pur piccolo, allo stato embrionale, fin dal momento del concepimento c’è un essere umano unico e irripetibile, nel grembo della madre»".

Stanza101 e ProVita lanciano la campagna contro l’aborto

In occasione del 40esimo dalla approvazione della legge 194 che liberalizza l’aborto in Italia, l’associazione ProVita ha lanciato una nuova campagna nazionale per sensibilizzare ed informare la gente sull’argomento e per promuovere il diritto alla vita e la sua sacralità.

A Reggio Calabria l'iniziativa è stata accolta e sostenuta dall’associazione impertinente “Stanza101” e consiste nel far girare per le strade di Reggio e provincia un camion-vela con un grande manifesto.

Sul manifesto è riportata la scritta “Tu sei qui perché mamma e papà non ti hanno abortito”, ma soprattutto il banner riporta la gigantografia di un feto all’undicesima settimana di gestazione. A parlare, dunque, è la forza delle immagini che rappresentano unicamente la realtà, ovvero che a 11 settimane noi siamo già completamente formati, i nostri organi sono tutti presenti, il cuore addirittura batte dalla terza settimana e già ci succhiamo il pollice. 

Stanza101 e ProVita, dunque, vogliano ribadire il proprio Sì alla vita con le parole di Pasolini il quale scriveva: “Non c’è nessuna buona ragione pratica che giustifichi la soppressione di un essere umano, sia pure nei primi stadi della sua evoluzione. Io so che in nessun altro fenomeno dell’esistenza c’è un altrettanto furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto. La sua ansia di attuare la propria potenzialità, ripercorrendo fulmineamente la storia del genere umano, ha qualcosa di irresistibile e perciò di assoluto e di gioioso. Anche se poi nasce un imbecille”.

 

Per i legali di monsignor Nunnari, nel servizio delle Iene sull'aborto sarebbe stata usata un'attrice

“Come tutti ormai saprete – scrivono in una nota Enzo Paolini e Giuseppe Farina, legali dell'arcivescovo emerito di Cosenza monsignor Salvatore Nunnari – il servizio delle Iene del 14 febbraio scorso raccontava la storia di una ragazza, Francesca, la cui 'colpa' sarebbe stata quella di avere una relazione con un prete, ed il cui rimpianto sarebbe quello di aver dovuto rinunciare ad un figlio perché indotta ad abortire.

La ragazza indicava come responsabili dell’induzione all’aborto il prete stesso, ma anche Monsignor Nunnari, al quale si era rivolta per chiedere conforto.

Se fosse vero, non avremmo potuto obiettare; l’esercizio del diritto di cronaca è sacrosanto, purchè esercitato in modo oggettivo e asettico, scevro da ogni risentimento ideologico o personale.

Ma così non è stato.

Ciò che ci ha colpito, infatti, nell’assumere la difesa di Mons. Nunnari non sono state tanto le dichiarazioni di una persona mortificata e sofferente (che, in ogni caso, e una volta per tutte, destituiamo di ogni fondatezza. È bene ribadirlo per fugare definitivamente ogni dubbio: Monsignore Nunnari non ha mai invitato, consigliato, suggerito, e comunque indotto alcuno, né tantomeno la signora in questione, a sottoporsi alla pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza), quanto la strumentalizzazione che ne è stata fatta da parte degli inviati de Le iene.

Dopo aver parlato con la sedicente Francesca, (il nome usato è di fantasia per celare la vera identità) le inviate si recavano dapprima da un prete definito parroco di una parrocchia vicina, e poi da Monsignore Nunnari. In nessuno di questi due incontri emergevano conferme di alcun tipo in merito alle dichiarazioni della signora, eppure le giornaliste Mediaset prendevano apertamente posizione contro Monsignor Nunnari senza alcuna verifica sulla sua effettiva condotta, disvelando un sentimento di avversione e un pregiudizio tale da mettere in seria discussione la loro buona fede, peraltro venendo, con ciò, meno alla regole del buon giornalismo.

Le Iene hanno messo in scena una spettacolarizzazione del dolore di una madre che ha perduto suo figlio, per indurre il pubblico a condannare senza processo Monsignor Nunnari, esposto come un non degno rappresentante della Chiesa nell’ambito di una narrazione condotta al solo scopo di creare scalpore mediatico intorno ad una figura notissima e rispettata in tutto l’ambiente clericale e civile.

Per questo abbiamo consigliato Monsignor Nunnari a dar corso alla denuncia per diffamazione.

La giustizia, come si dice, farà il suo corso e stabilirà se le condotte delle inviate della nota trasmissione siano state corrette e se siano incorse nel reato di diffamazione o altro.

Non è questo, dunque, il motivo di questa dichiarazione per la stampa.

Il fatto è che nel corso dell’esecuzione dell’incarico ricevuto siamo giunti ad alcune certezze oggettive delle quali daremo conto alla magistratura da noi adita, ma anche all’opinione pubblica attraverso gli organi di informazione cui ci rivolgiamo con questo comunicato.

E ciò non per ritornare su una vicenda che andrebbe trattata con la delicatezza, il rigore e la riservatezza dovuti in casi siffatti, ma perché pensiamo che sia giusto fornire nei modi e con il rilievo che ci è consentito e che gli organi di informazione vorranno, alcuni pezzi di verità omessi, o manomessi, dalla improvvida iniziativa con cui Le Iene hanno tentato – peraltro vanamente – di ledere la dignità, il prestigio e la cifra morale di Mons. Nunnari.

Abbiamo motivo di ritenere, in seguito a recenti sviluppi investigativi, che siano state le stesse inviate da Le Iene a contattare la signora Francesca – tramite la sua psichiatra – per indurla a prestarsi al servizio. Riteniamo che la ragazza del video de Le Iene non sia, in realtà, la protagonista della sfortunata vicenda, ma un’attrice chiamata ad hoc per realizzare il servizio.

Così come pensiamo che anche il “prete della parrocchia vicina” sia stato interpretato da altro figurante.

E ciò senza che i telespettatori fossero avvertiti dell’impiego di attori per la ricostruzione televisiva, come deve avvenire in tali casi.

Abbiamo infine la prova che gli accadimenti non sono andati nel modo rappresentato nella trasmissione perché la stessa Francesca, profondamente contrita e rammaricata dalla piega presa dalla vicenda, oltre che per la pessima gestione mediatica da parte de Le Iene, in una lettera scritta di suo pugno, ed in nostro possesso, dichiara, tra le altre cose, di aver incontrato Monsignor Nunnari solamente dopo aver interrotto la gravidanza, smentendo così categoricamente le illazioni  e le dichiarazioni fatte anche da lei in seguito alle suggestive ed incalzanti domande delle inviate.  

Tale comportamento sottende un intento diffamatorio chiaramente reprensibile sia in sede penale che civile verso cui – come detto - abbiamo già adottato gli opportuni provvedimenti presentando per il momento formale denuncia-querela nei confronti de Le Iene e degli altri soggetti eventualmente di ciò responsabili. Teniamo a precisare, invece, che nessuna querela è stata mossa contro Francesca, alla quale va invece la profonda compassione e sincera vicinanza di Monsignor Nunnari e nostra, in quanto vittima di una vicenda penosa e miserabilmente strumentalizzata".

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Donna morta dopo l'aborto: indagati 25 medici

Venticinque medici sono stati iscritti nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta avviata dopo il decesso di una trentanovenne spirata all'ospedale di Lamezia Terme nel dicembre di quattro anni fa, qualche settimana dopo essere stata sottoposta ad un intervento effettuato per consentirle di abortire volontariamente. Due gli incidenti probatori eseguiti per chiarire i contorni della vicenda dipanatasi nel tempo attraverso cinque differenti esami diagnostici. All'inizio fu erroneamente ipotizzato che la morte fosse stata causata da una broncopolmonite fulminante. I parenti, quando denunciarono  l'accaduto, sostennero la tesi che all'origine della disgrazia sia stata un'infezione originata dall'operazione chirurgica. Le indagini sono volte ad accertare se la morte sia eventualmente addebitabile all'aborto o meno.  

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