Serra, i particolari della festa dell’Addolorata “di marzu”

Le comunità parrocchiali di Serra si apprestano a vivere quella che un tempo, presso i confratelli dell’Addolorata, era nota come “festa di la Titulari di marzu”. Ossia una seconda festa in onore di Maria SS. dei Sette Dolori. Questa festa, molto cara ai confratelli e ai serresi nei tempi passati, si differenzia notevolmente dal solenne apparato liturgico che viene allestito in occasione della festa della terza domenica di settembre. È infatti una festa celebrata a ridosso della Settimana Santa, di conseguenza contrassegnata da austerità e penitenza più che da sfarzo e solennità. La “festa di marzu” non è però peculiarità di Serra, bensì della Chiesa Universale, e affonda le sue radici nelle origini del culto alla Mater Dolorosa. La festa liturgica in onore della Madre di Dio Addolorata ha subito, nel corso dei secoli, molti cambiamenti di data. Dopo aver avuto un incremento di culto notevolissimo a partire dal XII secolo, la Vergine Addolorata fu onorata con una festa che il sinodo di Colonia, nel 1423, fissò al III venerdì dopo Pasqua. Nel 1600, su interessamento dei Servi di Maria, la festa fu spostata nella III domenica di settembre. Ma nel 1714 ecco che la festa dell’Addolorata viene nuovamente spostata nel calendario liturgico, al venerdì che precede la Domenica delle Palme: la festa che, appunto, l’omonima congrega di Serra si appresta a celebrare il prossimo 18 marzo. L’ultimo, decisivo, cambiamento di data la festa lo subisce nel 1913: si decise di festeggiare la Vergine Addolorata il 15 settembre, il giorno successivo alla festa dell’Esaltazione della SS. Croce, per evidenziare lo stretto legame intercorrente tra il mistero della Redenzione operato da Gesù in croce e i dolori patiti dalla sua Madre Santissima. A Serra, dunque, sopravvive ancora il ricordo della festa come stabilita nel 1714. Il venerdì che precede le Palme è noto come “Vennari di l’aliva”. Le solenni Quarantore di adorazione al Santissimo Sacramento precedono i vespri solenni del giovedì e i riti che nel Venerdì si svolgono in onore della Madre dei Dolori, che i fedeli contempleranno, la settimana successiva, sotto il Legno della Croce dalla quale pende il Figlio di Dio. Un tempo, era questo un giorno di digiuno; le donne o le ragazze, in segno di devozione o per ringraziamento, indossavano abiti neri con il cuore trapassato da una spada. Le Tre Congreghe si riuniscono nella Chiesa Addolorata per il tradizionale canto dell’Ufficio; alla sera, si svolge la Via Matris Dolorosae, in cui vengono meditati i Sette Dolori che Maria ebbe a subire a cominciare dall’infanzia di Gesù, fino alla sua sepoltura. 

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Serra: come nasce una tradizione, il sigaro della festa dell'Addolorata. PARTE SECONDA

 L’articolo che segue è la prosecuzione di un pezzo pubblicato sabato scorso ed al quale è possibile accedere cliccando qui

 Secondo alcune fonti, ad introdurre in Europa i semi del tabacco sarebbe stato un monaco, André Thevet, il quale, durante la permanenza in Brasile, aveva osservato l’uso che gli indigeni facevano di quell’erba chiamata “petum” la quale, una volta essiccata, veniva avvolta in una “foglia di palma, della forma e grandezza di una candela” per poi essere fumata. Dal Portogallo, la pianta si diffuse in Europa. In Francia arrivò grazie all’ambasciatore Jean Nicot, da cui il nome scientifico “nicotiana”. Anche in Italia arrivò attraverso canali diplomatici, grazie al cardinale Prospero di Santa Croce, nunzio del papa. Il pontefice affidò i semi ai monaci dei conventi laziali che furono i primi a coltivarli nel Belpaese. Ad agevolarne la diffusione, le presunte virtù mediche che spingevano i nobili a farne un crescente consumo. Così, come accadeva tra i nativi, il tabacco veniva fumato, fiutato, masticato o bevuto come infuso. La moda di fumarlo prese il sopravvento. Intorno al Seicento le foglie venivano sminuzzate in pipe d’argilla. Successivamente si diffuse l’uso di altri materiali come il gesso, la ceramica, la schiuma di mare ed a partire dalle seconda metà dell’Ottocento, la radica. Inizialmente si trattava di un “vizio” riservato ai nobili, gli unici che potevano permettersi un prodotto di lusso come il tabacco. Come capita, anche oggi, quello status symbol subì un progressivo processo di massificazione. Così, nel volgere di qualche decennio il tabacco si diffuse tra le classi popolari che lo fumavano nelle pipe di terracotta. A diffondere l’uso della pipa in giro per l’Europa era stata la Guerra dei Trent’anni. A favorire la diffusione del sigaro, saranno, invece, le campagne napoleoniche. I soldati francesi, infatti, solcando le strade del Vecchio Continente portavano nei loro tascapane un  massiccia dose di tabacco. Nei primi anni dell’Ottocento, fumare il sigaro equivaleva, infatti, ad una dichiarazione di appartenenza agli ideali che avevano ispirato la rivoluzione. A partire dal 1830, da metafora della rivoluzione, il sigaro divenne oggetto di moda nelle buona società. Se la pipa all’inizio era stata il simbolo dell’aristocrazia, il sigaro lo divenne della borghesia. La nuova classe, in piena ascesa, attraverso quell’oggetto portato dalle Americhe faceva sfoggio dell’agio e della propria elevazione sociale. Quanto, il sigaro, fosse poco accessibile ai ceti popolari lo testimonia la presenza nella grandi città dei cosiddetti “ciccatori”, ovvero uomini poverissimi che andavano in giro a raccogliere i mozziconi che poi rivendevano per pochi spiccioli. E’ plausibili, quindi, che i componenti della confraternita dei Sette Dolori, appartenendo al mondo delle “maestranze” e delle “professioni”, abbiano voluto con il sigaro, marcare ulteriormente la distanza dai confratelli appartenenti alle altre congreghe, ancora legati alla povera pipa di terracotta. E’ probabile, dunque, che l’usanza si sia diffusa a partire dal 1853, quando la festa venne elevata di rango e alla Vergine Addolorata venne attribuito il titolo di protettrice di Serra. Un’ipotesi suffragata da un ulteriore elemento. L’abitudine di fumare in pubblico si diffuse intorno agli anni Quaranta del XIX secolo. Prima di tale data, fumare fuori dalle mura domestiche era considerato sconveniente, a tal punto che a farlo era solamente il popolino. Il sigaro sdoganò, quindi, l’abitudine di fumare passeggiando. Un’abitudine che si estenderà ulteriormente con la diffusione della Spagnoletta, chiamata così perché prodotta nella penisola Iberica. La spagnoletta diventerà oggetto di consumo di massa dopo la Prima Guerra Mondiale, con il nome di sigaretta, ma questa è un’altra storia.

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