Senza montagna la Calabria non ha storia nè futuro

Fino agli anni passati ed ancora oggi fare turismo in Calabria significava e significa solo mare. Sulle coste ioniche e tirreniche sono venuti a formarsi diversi poli urbani a forte concentrazione, prevalentemente balneare, fino a costituire conurbazione lineare: insomma la Calabria è diventata sinonimo di mare.

Si è trascurato il fatto che la nostra regione, al suo interno, è caratterizzata dalla montagna.

Ecco alcuni dati: la superficie totale è di km 15080 e ben il 42 per cento è occupata da territorio montano, il 49 per cento è collinare e solo il 9 per cento è costituito da pianura.

Inoltre ben 387 comuni, dei complessivi 409, hanno fatto la loro storia sugli altipiani collinari e montuosi.

È evidente che la Calabria è una regione montuosa, da sempre “gran bosco d’Italia”.

I Greci conoscevano la Sila e i Romani la chiamarono “silva” per non confonderla col “nemus” il sacro bosco delle divinità. Per Virgilio fu “magna” nelle Georgiche ed addirittura “ingens” nell’Eneide.

Fu menzionata dai più illustri geografi come Stradone, Plinio e Cicerone nel “Brutus” parla di “silva sila”.

Oggi le carte la distinguono in: greca, grande e piccola.

La Sila greca prende nome dagli insediamenti albanesi dei secoli XV e XVI, bastibpensare ai centri abitati di Rota Greca, Vaccarizzo Albanese, Spezzano Albanese, Lungo ed altri.

La Sila grande, che poi è il cuore di tutta la regione calabrese, è detta anche “badiale” dalle donazioni operate da Enrico VI a Gioacchino da Celico e soprattutto al suo Ordine Florense; è nomata anche “demaniale” grazie all’editto di Roberto d’Angiò che ne fissò i limiti con quella badiale.

E poi la Sila Piccola, ma piccola solo per altitudine, che comprende i territori ricadenti nella provincia madre di Catanzaro con i comuni di Taverna, Zagarise, Belcastro, Serrastretta e le località turistiche di Villaggio Mancuso e Villaggio Recise, e altri territori che appartengono oggi alla nuova provincia di Crotone come Savelli, Cotronei, e Villaggio Palumbo con Trepidò entrambi terre cotronellare.

Percorriamo insieme questo itinerario storico – naturalistico- culturale e turistico dal mare verso l’alta montagna. Oggi vi è la superstrada a scorrimento veloce che ci porta già a Camigliatello in poco meno di un’ora. È una strada – scrive A. Delfino – che “scorre superba sulle cime degli alberi, in arditi viadotti cancellando la tormentata orografia. Le strade costruite dai Borboni e poi imbellettate dal nuovo stato unitario, disegnate fra le groppe delle colline dirute, sembrano nastri sottili buttati alla rinfusa da un dispettoso folletto.”

Certo i disagi non erano pochi, fino a qualche anno fa, se si pensa che per raggiungere Cosenza dalla città di Pitagora si attraversava una miriade di paesi come San Mauro Marchesato, Scandale, Santa Severina, Cotronei ed altri ancora più all’interno. Insomma ci volevano ben due giorni di cammino e su vecchie corriere e traini. Arriviamo a San Giovanni in Fiore che deve la sua esistenza all’Abate Gioacchino nativo della vicina Celico, detto poi “da Fiore” fondatore dell’Ordine monastico florenze e dell’Abazia in località “Fiora” del capoluogo silano.

Più avanti continuando a salire tra fitte abetaie e pinete raggiungiamo Camigliatello Silano, tra le più importanti e attrezzate stazioni turistiche soprattutto per gli sport invernali e sede del Parco Letterario “Old Calabria” nella vecchia torre di Camigliati. Tra questa località, Silvana Manzio, Lorica, Moccone, il Gariglione, i grandi laghi Cecita, Arvo e Ampollino ed oltre ancora ci troviamo nel bel mezzo del grande Parco Nazionale della Calabria. Ci inoltriamo fino al bosco del Filastro, regno indiscusso del “re pino”.

Qui, infatti, c’è ancora un bel gruppo di pini, “i giganti della Sila” che si fanno risalire addirittura al 1430. Qui regna il famoso “pino laricio” o “loricato” che è un po’ quello che rimane della foresta primigenia. Il pino silano è una delle quattro razze che appartengono alla grande famiglia del pino nero, “pinus nigra” ed ha una vecchia storia che risale al terziario, insomma prima dell’uomo.
Il suo legno è servito agli indigeni bruzi per difendersi dalle intemperie e dal nemico; i colonizzatori magnogreci lo portavano fino a Crotone utilizzando la corrente del Neto e sul Tirreno attraverso la breve strada dell’istmo di Marcellinara; i Romani lo utilizzarono in abbondanza per costruirvi le galee; ed ancora è servito per le volte delle austere basiliche romane e per la Cappella Sistina e non ultimo fu utile per ricavare la resina.

Esemplari affini ai nostri pini li troviamo sull’Etna, in Corsica e nelle foreste iberiche.

E la Sila non è solo alberi e pini. È una sorta di pianeta ancora incontaminato: gigli rossi, bucaneve, giunchiglie, viole mammole, orchidee nane, narcisi, semi di anice e la belladonna e la genziana ed altre piante medicinali e le innumerevoli specie di funghi e poi quel verdeggiante ed odoroso muschio tanto caro a bambini ed adulti che lo apprezzano per abbellire i presepi fatti in casa.
E la Sila è anche il regno dell’acqua, data l’alta piovosità e l’innevamento. Qui nel 1927 si sono creati i tre citati bacini di Cecita, Arvo e Ampollino che fanno produrre tanta energia idroelettrica nelle grandi centrali in territorio di Cotronei e sono di grande richiamo per la pesca sportiva e per gli sport nautici.

E scendendo più a sud della regione, dopo aver attraversato il citato istmo di Marcellinara, ci inoltriamo nel gruppo montuoso delle Serre, oggi Parco regionale, dalle connotazioni ambientali non dissimili dalla Sila e coi tantissimi centri ricchi di storia quali Squillace, Torre Ruggiero, Soriano col famoso monastero domenicano, Vallelonga, la Mongiana delle Ferriere borboniche, Mangiatorella, Ferdinandea e Stilo. Di sicuro, però, il polo storico di questa parte della montagna calabrese è Serra San Bruno, terra della Certosa, quella detta nei secoli di Santo Stefano del Bosco, fondata san Brunone di Colonia nel 1084, come primo nucleo a Santa Maria, e nel 1091 dove oggi la possiamo ammirare nella sua austera solitudine. Questa Abbazia, la prima e unica fondata dal Santo in Italia e che custodisce le sue sacre spoglie, nel ‘500 assunse la forma rinascimentale con grandezze di forme artistiche ed architettoniche che, però, dopo secolari vicissitudini legate alla storia feudale, religiosa e artistica, è stata distrutta dal disastroso terremoto del 1783. Ci restano pochi ruderi: parte della facciata palladiana e del chiostro.

Dopo due secoli di abbandono dovuto anche alle conseguenze della famigerata Cassa Sacra, il nostro monastero bruniano è stato ricostruito nei primi anni del secolo scorso, così come oggi lo vediamo. Da ogni parte del mondo poeti, storici, scrittori, scienziati, teologi si sono avvicendati attorno alla storia di questo preziosissimo bene culturale che Serra custodisce gelosamente.
Ma Serra San Bruno non è solo Certosa: è la città dell’arte nel verde. È la città delle chiese: la Matrice, detta anche di San Biagio, del 1785; il tempietto dell’Addolorata di fine architettura barocca del 1721; la chiesa dell’Assunta di Terravecchia di origine ducentesca ma ricostruita nei primi anni dell’800 e quella dell’Assunta di Spinetto edificata nel nuovo rione dopo il citato terremoto. Serra è la terra anche dei nobiliari palazzi con portali artistici e soffitti riccamente lavorati, obelischi e tantissime altre opere d’arte e tutto, bisogna sottolinearlo, frutto di artisti locali figli di quella che per secoli fu detta “ la Maestranza di la Serra”.

Negli ultimi tempi, poi, e soprattutto dopo il boom economico degli anni ’60, è stata riscoperta la sua grande vocazione turistica e pertanto un pò tutta la montagna calabrese, compreso l’Aspromonte di Corrado Alvaro e del Santuario di Polsi della Madonna della montagna, ha bisogno di una giusta valorizzazione. Insomma è ora che la montagna calabra sia vista come risorsa primaria per l’economia e lo sviluppo dell’intera regione. La valorizzazione della nostra montagna, dopo anni di indifferenza, certamente comporta un processo da programmazione sapiente e non abbandonata ad improvvisazioni occasionali.

Oggi la sola natura, pur vergine ed incontaminata, non basta più ai turisti provenienti dai più qualificati villaggi residenziali delle coste ioniche e tirreniche, da Soverato a Tropea, da Capo Rizzuto a Diamante passando per Le Castella, Pizzo, Cirò Marina, Caulonia, Sibari, Capo Colonna ed altre belle località balneari. La montagna calabrese necessita di infrastrutture e di servizi moderni come risposta ad una richiesta d’utenza sempre più esigente e soprattutto abbisogna di professionalità tra gli operatori turistici. È urgente la funzionalità e l’efficienza di tutti i servizi di comunicazione per non rimanere isolati dal resto d’Italia e dell’Europa.

In Sila non si entra soltanto dalla superstrada Crotone – Cosenza –Paola, si entra anche dall’autostrada seppur questa rattoppata e da più svincoli e da questi in tutta la montagna, ma per raggiungere gli angoli più suggestivi e a più forte richiamo turistico si è costretti a fare autentiche gimkane su percorsi stradali per nulla modernizzati e mancanti di continue segnalazioni ed informazioni. Il servizio pubblico tra i singoli centri è inesistente. Roba da non provarci e chi ci tenta non lo ripeterà una seconda volta.

Altro che Mediterraneo da scoprire o Calabria in Europa. Così anche storia, cultura, costumi, arte e tradizioni che si sono consolidati per secoli, oggi rischiano di rimanere lontani.

 

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Polsi: il cammino ed il cambiamento

Riceviamo e pubblichiamo

"Un passo dopo l'altro. Così ci hanno insegnato a superare i sentieri difficili e la stanchezza, le prime guide aspromontane, abitanti di paesi che qualcuno definisce con appellativi altisonanti: San Luca, Platì, Africo, Roghudi, Cardeto, per citarne alcuni. Erano e sono il genius loci, di quei luoghi.

L'Aspromonte, piaccia o no, sta camminando un passo per volta verso il cambiamento, tra mille difficoltà. Se dovessimo trovare una metafora, sta in un cammino storico della nostra montagna: il sentiero che dal Montalto conduce a Polsi.

Il primo passo vede la Calabria succinta tra Ionio e Tirreno, al cospetto del camminatore. Una prospettiva grande e luminosa. Il percorso poco dopo cambia, una gran discesa porta all'ombra delle faggete, il cielo quasi non si vede, ma la strada è ancora ampia e facile. Poi cambia ancora fino a farti rimpiangere il bosco fitto, ma lo sguardo che si allarga sul vallone della Madonna ripaga il caldo ed il dolore alle ginocchia. La vegetazione avvolge, non sempre con gentilezza, ma siamo noi ad essere di troppo. In vista del Santuario, sulla testa di una frana non si prova tanto paura quanto affidamento, alla montagna o alla Madonna, in base alle sensibilità di ognuno. L'ultimo contrafforte accompagna il camminatore fino a Polsi. La meta è stata raggiunta e non suggeriamo risposte.

Sarà una delle più significative uscite del PARKBUS 2018 - che si svolgerà sabato 18 agosto -  promosso dall'Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte in collaborazione col Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e l’Associazione Guide del Parco Nazionale dell’Aspromonte, che rappresenta la voglia che sentiamo di camminare con la prospettiva corretta, consci di stanchezze, paure e difficoltà.

Non temiamo la strada, noi guide del parco, perché seguiamo gli insegnamenti dei nostri maestri, perché Polsi ci rifocillerà e ripagherà.

 Molti vanno a Polsi per se stessi, noi andremo per Polsi: un santuario, un luogo dell'anima. Punto".

 Associazione Guide ufficiali del Parco nazionale dell'Aspromonte

Pietra Cappa, il monolite che affascinerà il mondo

Riceviamo e pubblichiamo

"Il cappuccio protegge la testa, un mantello copre quasi tutta la sua figura, ma le braccia e le mani no, quelle devono restare libere.

Vogliamo raccontarla così la 'nostra' Pietra Cappa, perché tra i molti significati veri o leggendari, noi abbiamo scelto di separare ed astrarre il significato della cappa come indumento, decontestualizzandolo per esprimere ciò che noi sentiamo, al suo cospetto.

Pietra per condizione, cappa per vocazione, ma non quella che oscura e nasconde, ma bensì quella che protegge ed adorna.

Protegge la verità. La verità dell'Aspromonte che richiede una battaglia per essere riconquistata ed è quella che vogliamo intraprendere, riportandola al suo significato greco - per noi più importante - di “alétheia”, ovvero di non nascondimento. Il potere di questa pietra è principalmente questo: svelare. Che sia la vana bellezza o il sostanzioso valore scientifico. Eppure non tutto è vero, di ciò che abbiamo letto o sentito su questo monolite imponente che è stato raccontato per filo e per segno da chi lo ha visto, ma non lo ha osservato. Molti hanno voluto nascondere, consapevolmente o meno, qualcosa. Di quei racconti non vi è traccia nell'accoglienza e nella dignità degli abitanti di Natile, Platì o di San Luca e nella loro voglia di verità.

Lo hanno osservato, invece, gli ispettori Unesco, che hanno valutato la corsa del Parco dell'Aspromonte, il nostro parco, alle rete globale dei Geoparchi. Un percorso giudicato da molti incredibile ed osteggiato, ma la verità di Pietra Cappa è troppo grande per essere confutata.

L'abbiamo scelta, come meta dell’escursione tematica che si svolgerà giovedi 16 agosto del progetto Parkbus 2018, tutto esaurito da giorni, promosso dall'Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte in collaborazione col Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria e l’Associazione Guide del Parco nazionale dell’Aspromonte, per contribuire, seppur lievemente, a questo svelamento.

Se vorrete dare una mano anche voi ad alzare questo velo, visitate Pietra Cappa e la Vallata delle Grandi Pietre. Gli uomini e le donne di quella terra vi tenderanno la mano, accettatela.  

Il monolite è il mantello, la figura è quella dell'Aspromonte, le braccia e le mani siamo noi, con la speranza che le nostre azioni, rispecchino alla lontana il loro valore".

Associazione Guide ufficiali del Parco nazionale dell'Aspromonte

Tutto pronto per l'edizione 2018 di Parkbus, l'escursione alla scoperta dell'Aspromonte

Riceviamo e pubblichiamo 

"Sono molti, oggi, quelli che partono. Alcuni scappano, altri vanno via lentamente e col cuore spezzato. Noi restiamo. Per fortuna, per condizione, per testardaggine o forse perché abbiamo saputo cogliere delle opportunità. Noi siamo aspromontani e quest’appartenenza la sentiamo forte. Esiste una continuità tra l’Aspromonte e le sue genti sana e forte, ma non sempre, che forma un legame visibile nel bene e nel male. Esiste un luogo, in Aspromonte, ove legami e continuità sono l’evidenza stessa ed il senso di quel territorio. Stiamo parlando di Samo e vogliamo presentarlo così, con le parole di Vito Teti: 'Il nuovo abitato di Samo e gli antichi ruderi di Precacore sono contigui. Si osservano come per controllarsi, per non separarsi. Dall’abitato di Samo i ruderi di Precacore appaiono come una sorta d rimorso, di memento mori, come il luogo di fondazione e della memoria. Dalla collina con i ruderi le case di Samo appaiono una sorta di continuità della vita'.

“Samo e l’antico abitato di Precacore, un legame che forse non sarà mai sopito, al quale noi, da guide, dobbiamo aggiungerne almeno un altro, cercando di rimanere umilmente ed immeritatamente sul solco tracciato dal Professor Teti. Si tratta del legame tra Samo e la montagna, protagonista della prossima escursione tematica del Parkbus 2018, iniziativa promossa dall’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte in collaborazione col Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e l’Associazione Guide del Parco Nazionale dell’Aspromonte, in programma per sabato 11 agosto. Giunti nelle splendide vette di Samo con gli ecobus dell’Ente Parco, cammineremo a piedi verso Monte Perre ove il paesaggio si allarga e ti avvolge, grandi rapaci volteggeranno sulle nostre teste e la fiumara risplenderà ai nostri piedi. Querce secolari ci saluteranno, appena arrivi in vista di Puntone Galera, da dove potremo iniziare a vedere il selvaggio Aspromonte, arroccato su se stesso, per difendersi chissà da cosa o da chi. Proprio lì potremo comprendere come Samo, e il borgo antico di Precacore, siano uno dei simboli più evidenti delle continuità tra uomo e natura, antico e moderno, antropizzato e selvaggio. Un’unica “strada” collega tutto questo.  Non siamo la perfezione ed oggi abbiamo la presunzione di dire che neanche la desideriamo, perché vogliamo raccontare una storia che sia la nostra, semplicemente autentica. Per poterla raccontare siamo dovuti restare, insieme ai ragazzi di Samo che ci accompagneranno durante tutta la giornata, facendoci degustare i prodotti tipici del loro territorio, che resistono con la stanchezza e l’amore negli occhi, resilienti preziosi. I luoghi, questi si, sono perfetti, senza colpe e ricolmi di una purezza che dobbiamo sempre ambire a raggiungere, anche se mai riusciremo a farlo. Sarà questa la storia che racconteremo ai visitatori che hanno scelto di camminare in Aspromonte con noi, recente e passata, con la continuità che merita. Abbiamo voluto scrivere molte parole per darne senso a poche altre: grazie Samo, grazie Aspromonte, per le opportunità che ci hai dato e che abbiamo saputo cogliere; scusa Samo, scusa Aspromonte, per quelle invece che ci hai dato e non abbiamo saputo ancora vedere. Noi ce la stiamo mettendo  comunque tutta!”.

Associazione Guide Ufficiali del Parco Nazionale dell'Aspromonte

Tre piantagioni di cannabis scoperte sull'Aspromonte

I finanzieri del Gruppo di Locri e della Sezione navale di Roccella Jonica hanno scoperto, grazie all’avvistamento effettuato da un elicottero del Reparto operativo aeronavale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, 3 piantagioni di cannabis in un area dell’Aspromonte, ricadente nel comune di Gioiosa Ionica.

Le piantagioni, occultate tra la fitta vegetazione su un costone di roccia difficile da raggiungere, erano composte da oltre 800 arbusti di “cannabis indica“, regolarmente irrigati tramite appositi impianti.

Una volta prelevati i campioni da sottoporre ad analisi, le fiamme gialle hanno proceduto alla distruzione delle coltivazioni.

Contestualmente hanno avviato le indagini, finalizzate all’individuazione dei responsabili.

Dalle piante, di varie dimensioni, sarebbe stato ottenuto un quantitativo pari a circa 925 chili di stupefacente che, una volta immesso sul mercato, avrebbe potuto fruttare oltre 7 milioni di euro.

 

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Escursionista ferita messa in salvo grazie ad un elicottero della Polizia di Stato

Una donna che aveva riportato la frattura di tibia e perone durante un’escursione su Pietra Cappa, nel Parco nazionale dell’Aspromonte è stata soccorsa da un elicottero del V° Reparto Volo della Polizia di Stato di Reggio Calabria.

In un primo momento, l’escursionista era stata raggiunta da un elicottero del 118 che, a causa della zona impervia, non è riuscito ad atterrare.

E’ stato, quindi, chiesto l’intervento dell’aeromobile della Polizia di Stato che ha trasportato sul luogo i soccorritori del Centro nazionale soccorso alpino e speleologico, che hanno potuto recuperare la donna.

Dopo essere stata issata a bordo del velivolo insieme al personale sanitario, l’escursionista è stata trasportata all’ospedale di Locri, dove è stata sottoposta alle cure del caso.

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Giuseppe Musolino, il fascino misterioso di un brigante – L’antefatto

Quello che segue è il primo di una serie di articoli, nei quali verrà ripercorsa la vita avventurosa del brigante Giuseppe Musolino.

Gl’infami debbono morire; io uccido per ira; uccido perché mi rovinarono mentre io ero innocente [….]. I briganti sono uomini coraggiosi che vendicano le ingiustizie! I briganti debbono essere omicidi sì, ma onorati”.

In queste brevi, ma lapidarie parole, pronunciate da Giuseppe Musolino nel corso di un’intervista pubblicata sull’Avanti!, il 19 novembre 1900, potrebbe essere racchiusa l’intera parabola criminale di uno dei più celebri banditi della storia Italia. Una parabola iniziata per caso, ma seguita con calabrese pervicacia, fino alle estreme conseguenze.

Nato nel 1876 a Santo Stefano d’Aspomonte, Musolino sembra essere destinato a vivere un’esistenza anonima. Ma, una delle misteriose rotte tracciate dal fato, incrocia il cammino del giovane taglialegna aspromontano.

La fatale freccia del destino scocca il 28 ottobre del 1897 quando, nell’osteria paterna, Musolino incrocia il mulattiere Vincenzo Zoccali. Dall’incontro scaturisce una rissa le cui conseguenze, in un arco temporale compreso tra il 1899 ed 1901, si tradurranno in sette omicidi, nove tentati omicidi ed un’incredibile caccia all’uomo che si concluderà a poco meno di mille chilometri dalla Calabria.

La contesa che contrappone Zoccali a Musolino, non è una delle tante, banali, liti da osteria. Si tratta, al contrario, di una vicenda nella quale entra in gioco un universo valoriale d’altri tempi. Onore, lealtà, amicizia, rispetto della parola data. Sono questi, alcuni degli elementi, che hanno fatto di Musolino “l’ultimo brigante”. Non un semplice criminale, quindi, ma un uomo in lotta per affermare la giustizia naturale su quella legale.

Per comprendere appieno i sentimenti che hanno armato la mano di Musolino, bisogna fare un passo indietro.

Colui che è destinato ad assurgere alle cronache europee, all’epoca dei fatti non ha ancora vent’anni e vive con il padre, don Giuseppe il quale, dopo una vita trascorsa a lavorare da boscaiolo, una volta rimasto vedovo, nel 1893 ha deciso di aprire un’osteria a Santo Stefano d’Aspomonte, dove abita insieme ai figli: Vincenza, Anna, Ippolita, Giuseppe e Antonio.

In paese Giuseppe junior è conosciuto con lo stesso nomignolo del padre, “peddicchia”.

Nel 1896, tra Rocco Versace e Vincenzo Zoccoli, cugino ed omonimo dell’avversario di Musolino, sorge una contesa originata dal commercio delle castagne.

Il contenzioso tra i due ex soci finisce davanti al conciliatore del Comune. Zoccoli riceve soddisfazione dal giudice e per indurre Versace a saldare il debito si rivolge al cugino. Dal canto, suo Versace si fa spalleggiare dal cognato Rocco Romeo, il quale chiede aiuto a Musolino.

Nel tardo pomeriggio del 27 settembre 1897, Vincenzo Zoccoli s’imbatte casualmente in Antonio Romeo e Giuseppe Musolino.

Il mulattiere si ferma e con modi piuttosto spicci, intima a Romeo d’invitare il cognato a saldare il debito. Intervenuto a difesa dell’amico, Musolino deve rintuzzare l’ira di Zoccali che lo diffida dal prendere parte alla contesa. L’episodio sembra rimanere senza conseguenze, fino alla fatale serata del 28 ottobre 1897. Come d’abitudine, anche quella sera, Musolino entra nell’osteria gestita dal padre e dalla sorella. Seduti attorno ad un tavolo ci sono: Vincenzo Zoccali, il carbonaio Luigi Prioli ed i commercianti di legname Pietro Sofi e Antonio Surace. Secondo alcune versioni, Zoccali avrebbe offerto da bere a Musolino. Quest’ultimo avrebbe declinato l’invito, provocando la reazione del primo. Rimandare al mittente il vino, nel codice delle bettole, rappresentava una manifestazione di sommo disprezzo.

Zoccali, quindi, avrebbe invitato Musolino a seguirlo all’aperto per un chiarimento. Una volta fuori, dalle parole si passa ai fatti e saltano fuori i coltelli.

Al processo Musolino racconterà: “A un cento e più passi, vi era la casa dello Zoccali; quivi, Zoccali estratto un peccia-parde (una specie di ago dalla grossezza poco meno del mignolo e lungo una trentina di centimetri, munito di manico) mi aggredì; a lui si unì; sopraggiungendo, il fidanzato di sua sorella il quale si fece sotto con un rasoio. Io cercai di parare i colpi con la mano sinistra e ricevetti parecchi colpi in quella mano tanto che mi fu gravemente ferita; atri colpi riportai sul corpo, e un altro mi bucò l’orecchio. In questo punto sopraggiunse mio cugino Nino, […]; egli, per liberarmi, tirò due colpi in aria che andarono a vuoto e che furono causa della sua condanna a otto anni di reclusione”.

L’intervento del cugino, Antonio Filastò (Nino), che per aver sparato i due colpi di pistola verrà arrestato e successivamente condannato ad otto anni di reclusione, permette a Musolino di conquistare la strada di casa.

Il 29 ottobre, verso le 4 del mattino, mentre sta per entrare nella stalla, Zoccali viene bersagliato a colpi  di fucile. A quel punto qualcuno avrebbe detto: “Mannaia, neanche questa volta sei morto”; poi un’altra voce, accompagnata da quattro colpi di pistola, “eccoti anche questa”.

La mattina successiva Zoccali va in caserma a denunciare Musolino ed il cugino, Francesco Filastò, accusandoli di aver premuto il grilletto contro di lui.                                                                                                                                                                                                                                                        (1 – Continua)

 

Articolo pubblicasto su: www.mirkotassone.it

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La criminalità in Calabria e i delinquenti di Foggia

Se in un qualsiasi paesino dell’Aspromonte capita che un forestiero dimentichi il portafogli al bar, lo ritrova se torna due settimane dopo, e anche coperto di polvere. Fermi tutti, i soliti scemi del villaggio: io non sto negando che sull’Aspromonte ci sia la ndrangheta, ma proprio affermo il contrario: siccome c’è la ndrangheta, che è una faccenda terribilmente seria e manovra milioni, nessuno si sporca le mani a rubare i quattro soldi di un disgraziato di passaggio.

 Ora attenti qui. Qualche anno fa io vado a San Severo (provincia di Foggia) per un convegno che doveva svolgersi di domenica mattina. Arrivo sabato tardi, e mi sistemo in albergo. La mattina dopo chiedo come fare a raggiungere il luogo del convegno, e ricevo questa sconcertante risposta diciamo così ufficiosa: “Sono tot metri, però ci vada a piedi, che qui rubano le auto”.

 Precisazione: San Severo non è un villaggio sperduto tra i monti, ma un grosso centro di 50.000 abitanti e oltre; sede vescovile; punto di riferimento di una ricca area agricola; e il convegno si svolgeva in pieno giorno, e non in un casolare tra le forre, ma a pochi passi dalla cattedrale. Ebbene, era normale, per il mio albergatore, informarmi che mi avrebbero rubato la macchina.  Chi ruba le macchine non è un “mafioso”, è un delinquentello, ma sicurissimo dell’impunità. Evidente fu, infatti, il sottinteso: “Le ruberanno la macchina, e nessuno farà niente per impedirlo”.

 Sono trascorsi tre lustri, e la situazione è la stessa, in quella provincia. Nessuno ha fatto niente, né prefetti e questori né carabinieri né giudici, e da quelle parti non ci sono nemmeno gli antimafia segue cena.

 Prima di fare qualsiasi cosa concreta, e spero che Minniti la faccia subito, è urgente che tutti smettano questo atteggiamento omertoso: da quelle parti rubano le macchine; figuratevi il resto! E sono mariuoli, facili da sgominare. Così, la prossima volta che mi chiamano da San Severo, posso arrivarci e restarci più tranquillo.

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