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Serra. Intervento di messa in sicurezza dei Vigili del Fuoco nei pressi della Certosa

Giornata impegnativa quella dei Vigili del Fuoco del distaccamento di Serra San Bruno, in servizio presso il Comando provinciale di Vibo Valentia. Il team, al comando del caposquadra Biagio Scalzone, ha eseguito un delicato intervento di messa in sicurezza del vialone immediatamente adiacente le mura della Certosa, preservando così l’architettura del monastero stesso, ma, cosa ancor più importante, la viabilità e l’incolumità di chi transita in questo tratto, ormai divenuto meta turistica e punto d’incontro per le passeggiate dei residenti.

Nello specifico, è stato predisposto e messo in atto il taglio di alcuni alberi e rami pericolosi incombenti sul viale Certosa, intervento che ha richiesto tempo, pazienza e grande professionalità.

“È doveroso – è stato rilevato dal portavoce del monastero - un particolare ringraziamento all’Amministrazione comunale e all’ingegner Fabio Pisani, responsabile dell’Ufficio Tecnico Manutentivo, per la loro sensibilità e solerzia”.

La “squadra” dei Vigili del Fuoco è stata ricevuta dal Priore della Certosa, Don Basilio Trivellato, che ha elogiato il lavoro svolto e ribadito la vocazione di chi “uomini dediti al sacrifico” sono sempre presenti come nostri angeli custodi.

 

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Il busto reliquiario di San Bruno ed il mistero della sua apertura

 

Frutto di un argentiere napoletano, o del celebre maestro Laurana, in argento sbalzato, cesellato e butilato, centimetri 65 per centimetri 55, nel 1516 il busto argenteo di san Bruno fece il suo ingresso trionfale nella cittadina della Certosa tra i grandi festeggiamenti del fedeli. Due anni prima, Bruno di Colonia, fondatore dell’Ordine dei certosini veniva proclamato Beato viva vocis oraculo (19 luglio 1514) da Papa Leone X, che concesse ai certosini di celebrarne il culto. A questo atto pontificio seguirono, quindi, le bolle del 17 febbraio 1623 di Gregorio XV e del 1674 di Clemente X, che ne estesero il culto a tutta Chiesa.

La necessità di avere un busto reliquiario fu posta in essere da parte dei monaci certosini di san Martino dopo che qualche anno prima vennero ritrovare le spoglie di Bruno insieme a quelle del beato Lanuino da un signore di Stilo in un muro dietro l’altare dell’attuale Santuario mariano di Santa Maria del Bosco e dopo che vennero traslate ad opera dei monaci Cistercensi presso il Monastero di Santo Stefano che in quel periodo “occupavano” la Certosa. Le ossa del fondatore dell’Ordine vennero quindi spedite a Napoli dove fu fatta una nuova ricognizione e dove i monaci certosini s’incaricarono di far costruire un degno reliquiario che custodisse le rimanenti spoglie di Bruno.

L’attribuzione non è certa anche se sembra che l’influenza di Laurana ci stia tutta e, se non lui, ad eseguire questo finissimo lavoro di alta oreficeria potrebbe essere stato un suo discepolo. Il Busto reliquiario, raro esempio di cone l’arte sia riuscita nella raffigurazione plastica del volto dell’ascesi, una volta giunto a Serra, accolto dal lancio dei confetti, venne custodito nella Monastero bruniano fino al 1783, anno del disastroso terremoto che decretò danni irrimediabili alla struttura certosina. Successivamente venne custodito nella chiesa Matrice fino alla riapertura della Casa certosina avvenuta agli inizi del ‘900.

Il busto viene portato in processione sulla cosiddetta “varia”, un tronetto  realizzato nel 1797 dall'artista napoletano Luca Baccaro. I quattro lati della varia  sono rivestiti di lamine d'argento lavorate a sbalzo con motivi fitomorfi, Al centro di ogni lato vi è un medaglione d'argento incorniciato con rami di palma di bronzo. Il lato A raffigura una scena con i monaci certosini risparmiati dal terremoto del 1783. Nel lato B si vedono i monaci che ringraziano Dio per lo scampato pericolo. Nel lato C è riprodotto lo stemma della famiglia Taccone di Sitizano, donatrice della varia, e nel lato D lo stemma della Certosa. Ma il mistero s’infittisce quando si tratta di comprendere come vengono custodite e di cosa sono composte le reliquie di Bruno di Colonia.

A descriverci come si apre il prezioso reliquario e cosa vi si trova è lo storico dell’arte Domenico Pisani nel volume sul patrimonio storico e artistico della Certosa impreziosite dalle foto di Bruno Tripodi. Dopo aver aperto lo sportelletto sottostante il busto bisogna infilare in maniera particolare la mano in una cavità fino a giungere ai tre bulloni che tengono avvitato il capo al busto, svitandoli la testa del Santo si divide quindi a metà tra volto e cappuccio ed è possibile arrivare alla reliquia. Ma di cosa si stratta? Il complesso meccanismo di apertura con tutta probabilità voleva celare un piccolo segreto. Alla certosa di san Martino tra le reliquie principali fu inviata l’intera calotta cranica di san Bruno ma nel reliquario ne viene custodia solo metà, quella che arriva fino alle orbite. Con tutta probabilità i certosini di san Martino non volevano che si scoprisse questo “piccolo” particolare e avevano fatto si che venisse creato un meccanismo così complesso da vanificare i vari tentativi di apertura per non scoprire che avevano trattenuto “qualcosa” del loro Fondatore.

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Ettore Majorana, Leonardo Sciascia e la Certosa di Serra San Bruno

Un vero giallo non ha soluzione, tutt’al più può avere soluzioni. Un giallo che si rispetti, infatti, è un rompicapo le cui chiavi di lettura non sono né vere, né false, ma solo verosimili. Una regola cui non sfugge il mistero che aleggia sulla figura di Ettore Majoarana, scomparso nel 1938 e ripetutamente associato alla Certosa di Serra San Bruno.

Proprio nel monastero della cittadina calabrese, negli anni Settanta, Leonardo Sciascia cercò per diversi giorni di trovare qualche indizio riconducibile allo scienziato siciliano.

Una ricerca accompagnata da una serie di articoli pubblicati, tra il 31 agosto ed il 7 settembre 1975, sulla “Stampa” e successivamente raccolti in un volume dal titolo “La scomparsa di Majorana”. 

Un “giallo filosofico” in cui viene messa in relazione la “fuga dal mondo” dello scienziato con una crisi etica e religiosa. Per Sciascia, infatti, il fisico avrebbe deciso di sparire, perché tormentato da dubbi e scrupoli morali derivanti dall’aver intuito, con grande anticipo, gli effetti terrificanti delle ricerche sull’atomo.

Secondo la tesi avanzata dallo scrittore siciliano, Majorana avrebbe accuratamente architettato la scomparsa, prima di placare i propri tormenti interiori dietro la porta di un convento, o meglio di una certosa.

Un luogo che Sciascia visita e del quale, nell’ultimo dei sette articoli dal titolo, “Nella Certosa la rivelazione”, scrive: “[…] siamo entrati in questa cittadella dei certosini, per seguire una sottile, inquietante traccia di Ettore Majorana. Una sera, a Palermo, parlavamo della sua misteriosa scomparsa con Vittorio Nisticò, direttore del giornale “L’ora”. Improvvisamente Nisticò ebbe un preciso ricordo: giovanissimo, negli anni della guerra o dell’immediato dopoguerra, insomma intorno al 1945, aveva visitato, in compagnia di un amico, un convento certosino; e ad un certo punto della visita, da un “fratello” […] avevano avuto la confidenza che nel convento, tra i “padri”, si trovava un grande scienziato”.

La certosa di cui parla lo scrittore, ben presto verrà associata a quella di Serra San Bruno. Eppure, Sciascia non ne fa mai menzione. In nessuno dei suoi scritti, infatti, viene esplicitamente indicata la località in cui si sarebbe rifugiato Majorana. Si parla, genericamente, di “una cittadella dei certosini” senza, mai, associarla al luogo in cui San Bruno trascorse gli ultimi anni della propria esistenza terrena.

Come si giunse, quindi, ad identificare il luogo descritto da Sciascia con la Certosa di Serra San Bruno? Il “giallo”, a dire il vero, non durò molto, a rivelarlo, fu un giornalista della “Stampa”, Lorenzo Mondo, in un’intervista del 5 ottobre 1975, nella quale, per la prima volta, Sciascia rivela il luogo in cui ha condotto la sua indagine.

Il titolo: “Parlando con Sciascia del fisico e di altre cose”, è corredato da un catenaccio quanto mai esaustivo: “Lo scrittore fa per la prima volta il nome del convento dove sarebbe fuggito lo scienziato: la certosa di Serra San Bruno”.

Secondo l’estensore del pezzo: “A Sciascia venne in mente d'occuparsi di Majorana, di fargli posto tra le sue storie siciliane, quattro o cinque anni fa, sulla base di un'intervista rilasciata da Erasmo Recami. […]. Recami lo mise in rapporto con Maria Majorana, la sorella superstite dello scienziato: i documenti - lettere, appunti, testimonianze di amici - sui quali la singolare scomparsa gettava una forte luce di ambiguità, furono un grosso regalo per la disposizione investigatrice e raziocinante di Sciascia. Nei lettori del suo racconto resta però insoddisfatta la curiosità sulle conclusioni. Si sospetta che, dopo avere smontato la tesi del suicidio. Sciascia abbia imboccato, come dire, una « scorciatoia » poetica. « No - dice - sono convinto che sia andata così come ho scritto, che Majorana si sia ritirato in un convento». E’ disposto anche, per la prima volta, a fare il nome della certosa in cui Majorana avrebbe sepolto la sua angoscia per il terrificante potere, appena intravisto, di «una manciata di atomi». Si tratta della certosa di Serra San Bruno, in Calabria, provincia dì Catanzaro. Sciascia c'è stato davvero: ha visto i boschi verdissimi che la circondano e i resti del portico secentesco scampato al terremoto del 1783, ha indugiato nel piccolo cimitero con i trenta tumuli e le trenta croci nere senza nome. Lo ha accompagnato proprio un vecchio, enigmatico frate straniero dallo « sguardo chiaro in cui trascorrono diffidenza e ironia».  […] a Serra San Bruno era passato, inseguito dalle sue furie, il colonnello Paul W. Tibbets, l'uomo che il 6 agosto 1945 guidò la missione dell'Eriola Gay su Hiroshima. Quest'ultima storia i certosini, e particolarmente il nuovo priore Dom Anquez, l'hanno smentita più volte, ma continua a sedurre, a muovere visitatori anche da lontano. Per Sciascia questo strano accostamento, preparato dal destino o forse dalla leggenda, tra il primo uomo che diede la « morte per atomo » e un altro che se ne ritrasse inorridito, ebbe il valore di una folgorazione. « Anche se la storia non fosse vera e la certosa di Serra San Bruno non c'entrasse - spiega - l'identificazione da me proposta avrebbe una sua verità”.

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Serre: le ferriere itineranti in età moderna

Ricca di acqua e legno, con discrete risorse di minerale di ferro, la Calabria vanta un vecchio legame con l’estrazione e la lavorazione dei metalli. Nell’area delle Serre l’attività fusoria affonda le radici in un passato piuttosto remoto. Quanto le operazioni fossero diffuse lo si può intuire, ancora oggi, da una serie di toponimi che hanno conservato traccia dell’attività che vi si svolgeva. In ogni caso, a dare conferma di ciò che altrimenti potrebbe essere solamente una valutazione di carattere indiziario è Benedetto Tromby, il quale nella “Storia critico-cronologica-diplomatica del Patriarca San Brunone e del suo ordine cartesiano”, riporta l’atto di donazione con il quale, nel 1094, Bruno di Colonia riceve, da Ruggero il Normanno, le miniere ed i forni presenti nel circondario di Stilo ed Arena. La donazione si accresce nel 1173, quando Guglielmo re di Sicilia, aggiunge “[…] et liberartibus minerae aeris ed ferri […]”,  concedendo alla Certosa alcuni contadini ed un mulino “in pertiunentiis Stili”. La lavorazione del minerale si sviluppa con svevi, angioni ed aragonesi che fiutano il vantaggio economico ed iniziano ad istituire “fondachi” e dazi. Le miniere di Pazzano crescono d’importanza durante il periodo angioino, tanto che un documento nel 1333, nel citare il lavoro nelle gallerie di Monte Stella, fa riferimento ad una fonderia di proprietà della Certosa attiva nel territorio di Pazzano. Sia le miniere che le ferriere, non vengono gestite direttamente. A mandarle avanti ci pena l’ “arrendario” , un concessionario che le sfrutta, pagando una rendita in manufatti e in denaro, al re ed al convento. Il periodo d’oro della metallurgia itinerante vive il suo primo declino intorno al 1450, quando gli Aragonesi per favorire i più importanti finanziatori del loro debito, ovvero i ricchi mercanti fiorentini che risiedono a Napoli, favoriscono l’importazione di ferro toscano imponendo dazi proibitivi all’estrazione, lavorazione e commercio del ferro grezzo. “Nel 1520 la ferriera di Stilo risulta inattiva”, mentre le semi abbandonate miniere di Pazzano forniscono il poco materiale necessario ad alimentare le ferriere di Campoli, Trentatarì, Castel Vetere, Spadola e Furno. Quasi sicuramente, a Spadola la lavorazione del ferro avveniva in un luogo, ancora oggi chiamato località “Firrera”, situato lì dove oggi sorge il cimitero. Nel 1523, quale riconoscimento dei servigi ricevuti l’imperatore Carlo V dona a Cesare Fieramosca le miniere e successivamente i forni fusori ed i boschi.  Il fratello del celebre Ettore, più votato alle armi che agli affari non s’interessa granché delle sue nuove proprietà. Tuttavia, l’importanza dell’attivata estrattiva e della lavorazione del ferro è testimoniata da un documento redatto nel XVI secolo, nel quale incaricato dalla Serenissima di tracciare un “Descrizione di tutta l’Italia e isole pertinenti” il frate domenicano Leando Alberti, riferendosi alla vallata dello Stilaro scrive: “dalla marina, lontano quattro miglia, sopra un alto colle si dimostra Stilo, nobile Castello, dietro al quale a man sinistra son le miniere di ferro ove se ne cava assai”. Dopo una annosa vertenza tra gli eredi Fieramosca e Ravascheri che gestiscono per due anni la ferriera di Stilo, la “Regia Camera” al fine di non interrompere l’attività, incarica un ufficiale d’artiglieria, tale capitano Castiello, di dirigerle “in nome e per conto della corte”. Non deve risultare strano la scelta di affidare la gestione delle ferriere ad un uomo d’arme. Quella è l'epoca in cui l’arte di eliminare il prossimo si serve sempre più di un’arma potente e temibile, il cannone. Nonostante ciò, anche in ragione delle fiorenti miniere del Nuovo Mondo, durante il periodo dei vicereami spagnoli, l’industria estrattiva “subisce una lenta contrazione”. Sono gli anni in cui lo stato cede la proprietà delle ferriere, tenendo per se solamente quella di Stilo. Nuovo impulso all’ “industria” siderurgica viene dato dopo il 1734, in seguito alla rinascita del Regno di Napoli guidato da Carlo di Borbone. “La produzione nazionale di ferro si attesta intorno alle 10.000 cantaia, quella dell’acciaio intorno a 1.300. In Calabria se ne producono 2.400, di cui la metà a Stilo. […] tuttavia, l’antiquata tecnica di fusione  detta alla “catalana” non è più sostenibile dal momento che comporta un insostenibile dispendio di carbone. E’ la fine delle ferriere itinerante e l’inizio di una lunga incubazione che, nel 1771, porterà alla nascita del primo nucleo dello stabilimento proto-industriale di Mongiana.

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Serra. Spostamenti di maleodoranti cassoni in zona Certosa: l’inopportunità di una scelta

Il concetto di turismo religioso nella zona delle Serre? È tutto racchiuso in quanto avvenuto nel pomeriggio – fotografato e ripreso da diversi curiosi – nel parcheggio della Certosa, nei pressi, per intenderci, del Museo del monastero. Movimenti di cassoni, dai quali proviene un poco desiderabile odore, avvengono con una semplicità quasi naturale. Cassoni sganciati e riagganciati sotto gli occhi di residenti e visitatori: tutto procede senza fretta. Cassoni pieni e coperti da un manto verde: è ipotizzabile che dentro ci siano dei rifiuti che vengono presi e portati da qualche altra parte. Teoria plausibile, anche perché ciò è già avvenuto in passato. Ad ogni modo, è possibile con tutto lo spazio che c’è, che queste operazioni debbano avvenire nelle immediate vicinanze del luogo più prezioso e sacro del comprensorio montano e forse dell’intera Calabria? Di certo, non è un buon biglietto da visita per i turisti che osservano increduli gli strani spostamenti e magari riferiscono una volta tornati nelle proprie città. Un rapido provvedimento sarebbe auspicabile: se questi lavori devono essere proprio fatti, almeno si scelgano luoghi dalla diversa valenza storica, religiosa e culturale.

L’essenza della vita certosina: discussione scientifica sul significato di una scelta

Con la relazione di Filippo Burgarella, “Lanuino e il mondo normanno”, si è concluso, il convegno di studi “In morte quoque non sunt divisi. Da Bruno a Lanuino: l’esperienza monastica dell’eremo di Santa Maria della Torre”, organizzato dalla Certosa di Serra San Bruno con il contributo di diversi enti e istituzioni, tra i quali la Regione Calabria, il Parco Naturale delle Serre Calabrese, la Deputazione di Storia Patria della Calabria e l’editore Rubbettino. Un convegno importante perché, tramite una pluralità di “voci”, ha aperto nuove piste di discussione scientifica intorno a un argomento ancora non compiutamente esplorato dagli studiosi. In particolare, le relazioni di Rinaldo Comba, Tonino Ceravolo, Giovanni Leoncini, Silvio Chiaberto, Don Leonardo Calabretta, Roberto Bisio e Francesco Cuteri, hanno utilizzato le lenti dello storico per focalizzare temi e problemi fondamentali dell’attuale dibattito: il rapporto tra eremo e cenobio nella fondazione monastica serrese, il ruolo di Lanuino nell’evoluzione dell’eremo della Torre, le modalità di trasmissione della sua memoria, lo stato della documentazione relativa all’insediamento calabrese, il passaggio della casa religiosa ai cistercensi alla fine del XII secolo, l’analisi della figura di Landuino. Di “taglio” orientato alla disamina delle coordinate spirituali del monachesimo certosino, a partire dal suo iniziatore Bruno di Colonia e anche in rapporto ad altre esperienze come quella di Camaldoli, gli interventi di Cecilia Falchini, Dom Ubaldo Cortoni e Giuseppe Gioia. Altrettanto importante l’apporto degli studiosi, appartenenti a diverse università italiane, che hanno presieduto le tre sessioni del convegno, da Giuseppe Caridi (presidente della I sessione), al già richiamato Rinaldo Comba e a Vito Teti, che ha coordinato la sessione conclusiva. Di grande suggestione, infine, l’intervento del Padre Priore della Certosa, Dom Basilio Trivellato, che, subito dopo i saluti delle autorità civili e religiose, ha proposto una densa e penetrante riflessione sul significato della vita certosina.

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Visita Canonica nella Certosa in rinnovamento

Dal 12 al 19 aprile si è svolta nella Certosa di Serra San Bruno la Visita Canonica, la prima dopo la riapertura del noviziato e il rilancio della comunità. Come avviene regolarmente ogni due anni l’Ordine Certosino ha inviato due Priori per verificare i progressi fatti e dare suggerimenti alla Comunità al fine di preservare l’osservanza monastica, il silenzio e la clausura che caratterizzano la vocazione certosina. Fra le altre cose i Padri Visitatori hanno disposto: "Nella Cappella esterna della Certosa si svolgano esclusivamente le celebrazioni delle Messe la domenica e i giorni di precetto e le confessioni nei giorni e negli orari stabiliti dal P. Priore. Per preservare il carattere monastico-eremitico della Certosa sono quindi da evitare tutte le attività del ministero di liberazione o guarigione (benedizioni a persone o cose, preghiere speciali di liberazione o guarigione ecc.) In particolare si ricorda che nella Cappella esterna della Certosa non si fa alcun tipo di esorcismo o di attività pastorale assimilabile ad esso per i quali c’è già l’incaricato diocesano competente. Le benedizioni fuori dalla Messa saranno ammesse solo in occasione delle due feste di S. Bruno. Invitiamo quindi tutti i fedeli ad attenersi a questi principi, nel comune desiderio della rinascita della Certosa e della custodia della sua vita monastica".

 

Serre: il turismo può attendere, nessun sito storico alle Giornate internazionali della guida turistica

Ancora una dimenticanza? Una distrazione? Una mancata segnalazione? O più semplicemente disconoscimento? Già nel recente passato ciò è accaduto, quando nell’ottobre dello scorso anno il FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) con l’iniziativa “Ricordiamoci di salvare l’Italia” andò a visitare diversi siti di gran pregio storico – artistico – paesaggistico presenti in Calabria. Ma non Serra San Bruno! Il fenomeno si ripete. Come se non bastassero le continue spoliazioni di uffici e presidi di grande utilità per il territorio. Ieri ed oggi si è celebrata la 27^ Giornata internazionale della guida turistica, istituita dalla World Federation of Tourist Guide Associations e promossa dall’Associazione delle guide turistiche nazionale e calabrese. Una due giorni dedicata alle visite guidate per scoprire i vari siti della nostra regione e  volta alla formazione delle guide turistiche. Orbene, i partecipanti hanno visitato: il castello di Vibo Valentia e l’annesso Museo “Vito Capialbi”;  le chiese di Rossano e il Codex Purpureus;  il castello e la concattedrale di Santa Severina; l’area archeologica di Capo Colonna; la chiesa del Rosario e la casa-museo di Bernardino Grimaldi a Catanzaro; la biblioteca De Nava a Reggio Calabria; il palazzo Sanseverino a Marcellinara. Insomma ce n’è stato per tutti i gusti nei cinque territori provinciali. Di Serra San Bruno, Mongiana e Soriano neanche a pensarci! Amministratori che ne dite? O non siete propositivi o siete inascoltati! Attendiamo gradito riscontro!

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