L'abbazia italo-greca di san Filippo d'Argirò

Ben pochi ruderi ma imponenti rimangono ancora oggi dell’antica e gloriosa abbazia italo-greca di San Filippo d’Argirò sita in diocesi di Gerace tra Anoja e Cinquefrondi (RC) sul declivio di una collina a nord del torrente Sciarapotamo, a circa 350 m s.l.m. e a 3 km ad est del centro abitato di quest’ultimo paese.

La gran parte degli studiosi la ritiene fondata da Ruggero II durante gli anni del suo governo (1128-1154), probabilmente nel 1130, sotto il pontificato di Innocenzo II. Non conosciamo di certo quando il monastero di San Filippo venne abbandonato dalla comunità italo-greca, anche se poi venne utilizzato da altri ordini religiosi, come attesta P. Giovanni Fiore da Cropani nella sua opera Della Calabria illustrata – scritta prima del suo decesso avvenuto nel 1683 – nella quale testualmente si legge: «oggidì dei Minori Osservanti». Le fabbriche, invece, furono abbandonate definitivamente nel 1774, e già logorate dal tempo, vennero poi completamente distrutte dal terremoto del 1783.

Per fortuna il ricco patrimonio archivistico e librario del cenobio, ricordato da Atanasio Calceopulo nel Liber Visitationis, non andò completamente disperso. Nei rendiconti della sua visita al monastero nel 1457 egli scriveva infatti che al San Filippo si conservava una cassea cum privilegiis monasteri.

Nella platea del 1507, compilata a distanza di cinquant’anni dalla visita del Calceopulo –  conservata nell’archivio vescovile di Locri-Gerace –, vengono ricordati innumerevoli libri e privilegi latini e greci; fonti in parte utilizzate da Ottaviano Pasqua nella compilazione della sua

I documenti del San Basilio durante il decennio francese, vennero trasferiti a Parigi, per essere poi parzialmente restituiti all’Archivio Vaticano dopo il congresso di Vienna, dove costituiscono attualmente l’intero corpus del Fondo Basiliani.

La platea ms. conservata presso l’archivio della diocesi di Locri-Gerace, sulla quale è riportato il titolo “Platea dell’Abbadia di S. Filippo d’Argirò” è stata ora pubblicata nel l’ultimo numero della prestigiosa rivista “Bollettino dell’Abbazia di Grottaferrata “ a12(2015), pp. 237-290, a cura di chi scrive.

In essa si legge l’inventario dei beni mobili, stabili e dei censi dell’abbazia del 1507 compilato da don Francesco de Domenico, cancelliere della curia episcopale geracese, con gli aggiornamenti del 1565 e del 1697.

Nella platea dell’archivio diocesano di Gerace il monastero di San Filippo d’Argirò appare molto vitale e fiorente dal punto di vista economico, ma anche nella sua struttura, solida e rinnovata (intavolato di novo), e possiede una ricchissima suppellettile, della quale viene fornita una minuziosa ed accurata descrizione.

Tra i beni e mobili il monastero possedeva infatti numerose tele, drappi pregiati in lino e seta, tovaglie, calici. Tra gli affreschi sulle mura anche uno che raffigura lo stesso San Filippo. Nella chiesa vi era inoltre un fonte battesimale in marmo. Nel campanile si trovava una grande campana.

Dettagliato è anche l’elenco di piccoli oggetti di uso quotidiano, per i quali la platea si rivela molto interessante dal punto di vista glottologico e dialettale.

Il complesso monastico, pur lontano dal centro abitato di Gerace, non appare completamente isolato. Era infatti tutto circondato da una serie di piccoli edifici, come alcune case ed altre chiese o luoghi di culto, tra cui anche l’antica chiesa di San Filippo, probabilmente la precedente chiesa del monastero preesistente al monastero ricostruito poco distante per intervento di Ruggero il Granconte.

Poco lontano si trovavano le due grandi grancie del monastero, Santa Maria de Pristarona quella della Mantinea, sita proprio nel Borghetto di Gerace,  che possedeva o antichi libri ecclesiastici in greco e numerosi privilegi e contratti in greco e latino.

Questa  grancia si trovava attaccata alle mura di cinta della cortina della terra di Gerace, nei pressi di una delle porte d’accesso. Vi era ancora una saletta ed una casina con il forno, il cellaro dove si conservava il vino, una stalla ed il granaio, tutti circondati da alberi di mele, melograni e fichi. Insomma una piccola corte monastica gestita secondo modelli di un’economia di base autarchica, a carattere agricolo, sul modello del sistema curtense feudale.

Nella descrizione dei confini dei possedimenti, il testo si rivela molto interessante per la presenza di numerosi agiotoponimi, che darebbero adito alla presenza di luoghi di culto nel territorio dell’entro- terra geracese. Ma ancor più importante è l’ideale linea di confine dei beni che coincide con le principali vie di comunicazione del territorio, aspro ed impervio, che nella maggior parte dei casi si limitano ad essere piccoli sentieri, le creste delle montagne ed in particolar modo le fiumare. Non mancano tuttavia vie di collegamento tra Gerace ed i piccoli centri abitati circostanti.

In questo vasto territorio, costituito da immensi pascoli, era consuetudine locale che vi si potesse da parte dei cittadini esercitare l’uso civico del pascolo, dell’erbatico, della semina, della raccolta dei frutti e del glandatico, previa autorizzazione dell’abbate e pagamento della relativa gabella.

 La platea dell’abbazia di San Filippo d’Argirò costituisce, perciò un prezioso tassello per la storia della Locride in cui coesistevano modelli multietnici e interculturali propri di popolazioni provenienti sia da Oriente che da Occidente, diverse per tradizioni, per aspetti sociali ed economici, per lingue e liturgie: connotazioni tutte che rendevano la Calabria, ed ancor oggi per molti versi la rendono particolare e certamente non omologabile, alle stesse province dell’Italia meridionale continentale e insulare.

 

 

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Le meraviglie della Calabria, dallo Jonio al Tirreno, passando per le Serre

Tra i meravigliosi sentieri della Terra "di paradiso", salendo da Soverato sita nello stupendo Golfo di Squillace, dove il grande Cassiodoro Senatore eresse nel sec.VI presso il "Vivarium ", lo scrittorio più raffinato d' Europa, dopo aver superato Gagliato ed Argusto, approdiamo a Torre di Ruggiero, borgo titolato al Granconte normanno che passando da queste contrade alla fine del sec. XII confermò la sua protezione ai monaci calabro- greci come san Basilio Scamardi e donò vaste contrade tra Stilo e Arena a Bruno di Colonia, fondatore dei Certosini, che pose la propria dimora in S. Maria della Torre, che raggiungiamo passando da Simbario, adiacente al fiume Ancinale e da Spadola, dove sorgono le belle chiese di S. Maria sopra Minerva e dell' Addolorataa, la prima Certosa d'Italia, rinnovata nel corso dei secoli e tuttora in funzione e intitolata ai santi Stefano e Bruno a Serra S. Bruno, dove si trovano bellissime chiese, ripristinate dopo il terremoto del 1783 che rase al suolo tutti gli edifici di quel territorio insieme con quelli siti in particolare della Calabria meridionale.

Aggregato alla Certosa il Museo che conserva importanti manufatti e opere d'arte in un contesto che riproduce in scala i locali dell'eremo.

Da qui si scende a Soriano Calabro, strettamente legato alla costruzione del convento e della chiesa di S. Domenico dei Predicatori nel 1510. Distrutto nel 1659 dal terremoto e presto ricostruito sul modello dell'Escorial di Madrid dal domenicano bolognese Bonaventura Presti, fu raso al suolo dal sisma del 1783. La miracolosa statua di S. Domenico e' custodita nella nuova chiesa adiacente ai resti dell'antico convento.

Attraversato Sorianello  dove sorge la Chiesa di S. Maria del Soccorso, che conserva interessanti opere d'arte provenienti da S. Domenico di Soriano,  si scende a S. Gregorio d' Ippona sito sulle colline occidentali del Mesima e quindi a Mesiano, frazione di Filadari per giungere a Tropea meravigliosa città sul Tirreno a Capo Vaticano, custode di splendidi tesori d'arte, tra i quali la cattedrale edificata dai Normanni nel sec. XII e S. Maria dell'Isola, che Sikelgaita, vedova di Roberto il Guiscardo donò al Monastero di Montecassino. 

 

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