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Fusione, concluso lo studio del ministero dell’Interno: ecco i vantaggi

Il Ministero dell’Interno ha pubblicato gli esiti di uno studio, ultimato alla fine dello scorso febbraio dagli esperti Roberto Pacella, Giorgio Milanetti e Giancarlo Verde, dal titolo eloquente: “Fusioni: quali vantaggi? – Risparmi teorici derivanti da un’ipotesi di accorpamento di comuni di minore dimensione demografica”. Si tratta di un lavoro puntuale che non solo svela le potenzialità che potrebbero derivare da un’operazione di aggregazione di più centri, ma sembra focalizzare le perplessità che sono concretamente emerse in queste ultime settimane nel dibattito nelle Serre. “Sarà utile – è infatti la conclusione dell’elaborato – cercare soluzioni che possano convincere le comunità locali a superare le logiche ‘di campanile’ ed a comprendere l’ineludibilità di tali misure, specialmente in considerazione dei vantaggi in termini di efficienza dei servizi e di minore pressione fiscale che ne deriverebbero a favore delle stesse”. Partiamo da un dato: le fusioni dal 1995 al 2013 sono state eventi rari (9 in tutto). Tutto cambia nel 2014 quando si sono contati 26 progetti realizzati in tal senso (10 in Lombardia con 25 comuni coinvolti, 7 in Toscana con 14 comuni coinvolti, 4 in Emilia Romagna con 12 comuni coinvolti, 2 nelle Marche con 5 comuni coinvolti, 2 nel Veneto con 4 comuni coinvolti e 1 in Campania con 2 comuni coinvolti - il contributo straordinario annuo complessivamente attribuito è stato pari a 9,53 milioni di euro). Il motivo è da rintracciare nelle disposizioni della legge di stabilità 2015 che hanno cercato di favorire i processi di fusione e unione di comuni con l’intento di promuovere la razionalizzazione e il contenimento della spesa degli enti locali attraverso processi di aggregazione e gestione associata. Sovente la fusione avviene fra 2 comuni, ma ci sono casi, come la fusione di Valsamoggia, in provincia di Bologna, in cui gli enti interessati sono 5. Ma veniamo alle opportunità: come riportato dallo studio, “per i comuni istituiti a seguito di fusione, che abbiano un rapporto tra spesa di personale e spesa corrente inferiore al 30%, fermi restando i limiti previsti dalla legislazione vigente e la salvaguardia degli equilibri di bilancio, non si applicano, nei primi 5 anni dalla fusione, i vincoli e le limitazioni relative alle facoltà assunzionali e ai rapporti di lavoro a tempo determinato”. Ciò significa che si avrebbe una sorta di sblocco e si potrebbe usufruire di personale aggiuntivo da utilizzare per innalzare la qualità dei servizi e, di conseguenza, quella della vita. Lavoratori per i quali non ci sarebbe il problema della copertura finanziaria perché con il decreto del ministero dell’Interno del 21 gennaio 2015 sono state definite, a partire dall’anno 2014, le modalità ed i termini di riparto e l’attribuzione dei contributi spettanti ai comuni nati nel 2014 proprio a seguito di progetti di fusione di comuni o fusione per incorporazione. Nello specifico, a questi nuovi enti per un decennio spetta “un contributo straordinario pari al 20% dei trasferimenti erariali attribuiti ai medesimi enti per l’anno 2010”. Dunque, risorse finanziarie maggiori che arrivano sul territorio e che possono essere usate per creare lavoro anche se il contributo viene erogato “entro il limite previsto degli stanziamenti finanziari previsti ed in misura non superiore, per ciascuna fusione, a 1,5 milioni di euro”. Appare, ad ogni modo, evidente che in un periodo storico condizionato da una grave crisi economica e sociale e da continui provvedimenti di riduzione della spesa pubblica, è indispensabile razionalizzare la spesa e compiere scelte lungimiranti in grado di far liberare risorse da destinare allo sviluppo.

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Fusione Rossano-Corigliano, gli imprenditori chiedono di accelerare

Di seguito, la nota del “Comitato 100 Associazioni per la Fusione Corigliano-Rossano” dell'Area Urbana-Zona Industriale Corigliano Calabro.

Gli imprenditori lanciano un appello al Sindaco e al Consiglio comunale di Corigliano affinché, dopo la ''pausa di riflessione'', avviino il processo di fusione con il Comune di Rossano la cui Amministrazione ha già deliberato il suo assenso. È la conclusione di un articolato documento, approvato da un'assemblea largamente partecipata degli imprenditori del territorio di Corigliano e Rossano, svoltasi nella sede dell'impresa Metalprofil, in Zona Industriale di Corigliano, coordinata  dall’ospitanti Franco De Pasquale e Antonio Monaco, da Amerigo Minnicelli e dagli altri referenti del ''Comitato 100 Associazioni per la Fusione di Corigliano e Rossano'', promotore dell’iniziativa e del progetto riguardante i due Comuni. Secondo gli imprenditori, due i criteri che dovrebbero essere alla base della fusione, condizione necessaria per la realizzazione partecipata e consensuale dell'Ente di '''Area Vasta'' che comprenda il Basso e l'Alto Ionio: demografico e sviluppo economico.  La razionalizzazione della macchina amministrativa, ovvero le ''economie'' che deriverebbero dall'integrazione degli organici legati a funzioni e servizi comuni, si accompagnano alla ''contribuzione''  decennale, prevista dalle norme vigenti, nazionali e regionali,  ''liberando'', dunque, risorse per gli investimenti, lo sviluppo, la crescita e l'occupazione.  Ma se questo e' il traguardo, a giudizio degli imprenditori, vanno date indicazioni precise circa le varie tappe attraverso le quali il ''processo di fusione'' si realizza. Il ''quadro completo” di finanza pubblica (ivi compreso il valore del patrimonio demaniale), va accompagnato da un vero e proprio ''piano industriale'' che partendo dalle ''risorse esistenti'', con riferimento particolare alla ''natura'' delle imprese e alle infrastrutture, individui  come  far ''crescere'' le prime implementando le seconde.  Energia, trasporti ed innovazione con particolare riferimento a quella digitale e della banda larga, sono il ''combinato disposto'' per fare uscire dalla crisi le imprese, alzare il tasso di sviluppo del territorio e concorrere ad alleviare la ''piaga sociale'' dell'alta disoccupazione, in particolare giovanile. Di qui la necessità, secondo quanto affermano gli imprenditori,  dell'implementazione delle infrastrutture esistenti, con riferimento particolare al riuso ecocompatibile della Centrale Enel Rossano, ad una ''accentuata proiezione Mediterranea'' dell'area portuale di Corigliano con le relative ''ricadute positive'' per quella turistica dell'area di Sibari ed in prospettiva di quella di Rossano e dal potenziamento della marineria di Schiavonea. L’implementazione in metropolitana di superficie, dell'attuale rete ferroviaria che da Crotone (e Catanzaro) porta a Sibari ed oltre,  ''affacciata'' su chilometri di spiagge che, se attrezzate, diventerebbero ''fonte'' di crescita per le imprese turistiche, si potrebbe avvalere anche della realizzazione di un’area aeroportuale adeguata che serva la domanda turistica diretta verso il cosentino, la Basilicata e la bassa Campania oggi tagliate fuori nonostante grandi e valide offerte nel campo. Un ''piano industriale'', sostengono gli imprenditori, dovrà avere una prospettiva ''glocal'', concorrere alla crescita locale ma in un quadro che sia ''globale'': il nuovo Ente, risultato della fusione, nonché  la propensione all’Area Vasta',  sarà una realtà locale di dimensioni territoriali e di potenzialità economico-infrastruttutali tali da  chiedere ed ottenere di far parte, nelle forme istituzionali attribuite alla Regione Calabria, della Macroregione Adriatico-Ionica, di cui la Commissione Europa ha già approvato la strategia con il relativo Piano d'azione e di lavoro  che sarà ''coperto'' dalla nuova programmazione dei fondi strutturali 2014-2020. La partecipazione alla Macroregione significa ''fruire'' delle opportunità che riguardano la strategia dell'economia marittima messa in atto: ''crescita blu'', connettività terra-mare, protezione dell'ambiente e turismo sostenibile, tutti settori funzionali al nostro territorio. Significa anche  fruire delle opportunità che derivano dall'innovazione, in particolare dalla banda larga che permette servizi strategici per il tessuto imprenditoriale nella zona ma anche per cittadini, utilizzando sinergie e risorse di un contesto più ampio, in particolare europeo. Per questo le iniziative fin qui portate avanti hanno trovato un riscontro positivo con l’azione di Governo messa in campo in tema di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione, dei suoi servizi, in primo luogo di quelli finanziari.

 

 

 

Fusione/Unione nelle Serre, partono gli incontri con i cittadini

SERRA SAN BRUNO - Mancava solo il delegato del Comune di Simbario all’incontro svoltosi ieri presso il palazzo municipale di piazza Carmelo Tucci per discutere della possibilità di “fondere” o “unire” i centri delle Serre. I rappresentanti di Serra San Bruno (Bruno Rosi), Mongiana (Bruno Iorfida), Spadola (Nicola Valelà) e Brognaturo (Giuseppe Iennarella), secondo quanto riferito dagli stessi a margine della riunione, hanno deciso di programmare una serie di iniziative – promosse dalla Pro loco serrese che ha preso parte alla discussione e che avrà anche il compito di coinvolgere le diverse associazioni del territorio - aperti alla cittadinanza e agli esperti in materia al fine di approfondire la questione e di comprendere gli orientamenti della popolazione. Sostanzialmente, non è stata ancora scelta una strada precisa, ma si è voluto fare il punto della situazione sondando le disponibilità. Resta comunque probabile che gli amministratori puntino sull’Unione (ed in questo caso dovrebbe essere allargato il perimetro territoriale) poiché l’assenza di Ovidio Romano e la posizione di Giuseppe Barbara, che contattato telefonicamente ha categoricamente escluso l’ipotesi Fusione, sembrano indicare un pensiero abbastanza chiaro. Resta ottimista Rosi che ha valutato “positivamente l’esito dell’incontro” e che è convinto di portare avanti un progetto che possa ottimizzare l’impiego delle risorse e migliorare l’efficienza dei servizi.

Serre, l’Unione è lo scenario più praticabile

Il dibattito è stato ampio e continuerà ancora. Alcuni dati, però, sono già emersi e bisogna prenderne atto. Occorre ammetterlo, capirlo e andare avanti sui cammini che sono realmente percorribili, rinviando al futuro i progetti più ambiziosi. Innanzitutto, gli “steccati” che sembrano ostacolare la Fusione fra i Comuni di Serra San Bruno, Spadola, Brognaturo, Simbario e Mongiana non sono di carattere politico in senso stretto, sono di carattere culturale. Anzi, sono un fatto di mentalità. La classe dirigente che governa questi centri non è pronta a costituire un unico Comune: forse si ha timore di perdere spazi di manovra o forse si ha paura che le popolazioni non gradiscano un piano che è comunque allo stato embrionale. Eppure sarebbe semplice superare questa perplessità; basterebbe approfondire pubblicamente la questione, informare le imprese, i lavoratori e  le loro famiglie, chiedere a quei cittadini che spesso dimostrano una maturità superiore rispetto a chi li guida. Nessun “dietro le quinte”, tutto con la massima trasparenza. Soprattutto si deve guardare oltre, comprendendo che nella società moderna non si può rimanere attaccati a vecchie idee e non si può essere “concorrenziali”  cristallizzandosi  in ambiti che – pur con altre problematiche e in un contesto diverso - in  una metropoli corrispondono ad un singolo condominio. L’idea di Bruno Rosi di convocare i sindaci non è da gettare alle ortiche, piuttosto serve a rompere il ghiaccio e ad avviare un confronto ravvicinato. Probabilmente sarà utile a chiarire anche vecchie incomprensioni e ad aprire un vero dialogo istituzionale di cui, francamente, si fa fatica a trovare le tracce negli ultimi anni. E questo è stato uno sbaglio dei vertici politici ed amministrativi delle Serre. I capi degli esecutivi devono ora mettere da parte le contorte strategie solitamente presenti nel comprensorio montano e trovare punti condivisi. L’Unione può essere una soluzione, si può partire dall’organizzazione dei servizi e verificare sul campo i primi benefici.

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Fusione nelle Serre, Rosi coinvolge Mongiana e convoca i sindaci

Primo passo formale per l’avvio della fusione nelle Serre. E con un elemento di notevole novità: Bruno Rosi ha deciso di sentire anche il suo collega di Mongiana Bruno Iorfida per controllare la fattibilità di un percorso ancora più ampio. Il dibattito si trasferisce dunque dalle colonne del nostro giornale alle sedi istituzionali, dove i vertici dei diversi centri montani potranno chiarire i rispettivi intendimenti. Nella missiva indirizzata ai sindaci di Spadola, Brognaturo e Simbario, rispettivamente Giuseppe Barbara, Giuseppe Iennarella e Ovidio Romano – oltre che a Iorfida – Rosi espone le motivazioni per le quali vorrebbe “approfondire una tematica che potrebbe presentare considerevoli vantaggi per il territorio delle Serre”. Ad avviso del capo dell’esecutivo della cittadina della Certosa, è utile dare vita ad “un franco confronto fra i rappresentanti dei Comuni interessati al fine di valutare le eventuali implicazioni. Indubbiamente, l’argomento richiede il diretto coinvolgimento delle comunità, ma ancor prima è necessario avviare una discussione preliminare fra sindaci per studiare tutti i possibili effetti di carattere sociale, culturale ed economico, per analizzare i dettagli della normativa vigente e per verificare gli orientamenti dei Consigli comunali”. Non manca un esplicito invito a vagliare le potenzialità dell’ipotetico disco verde all’iniziativa nel passaggio in cui viene rimarcato che “l’attuale frangente temporale, caratterizzato da un’acuta crisi finanziaria e produttiva, induce ad intraprendere percorsi innovativi capaci di innalzare la competitività dei nostri territori e a tradurre in realtà la vicinanza delle Istituzioni alla popolazione” e in cui viene segnalato che “un aumento dei trasferimenti erariali abbinato ad un piano organico di sviluppo potrebbe consentire di dare risposte concrete alle famiglie”. L’appuntamento è per le ore 11 di giovedì 26 marzo presso il municipio serrese, resta da vedere se tutti risponderanno presente.

Uncem Calabria: “Fusioni e Unioni di Comuni sono percorsi non più rinviabili”

C’è una voce autorevole che si leva per suggerire un cammino ambizioso, per invitare la classe dirigente a guardare al futuro, per spiegare tecnicamente che esiste un’opportunità che non va sprecata. È quella del presidente dell’Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) Calabria e sindaco di Petronà Vincenzo Mazzei che ritiene essenziale una mentalità lungimirante per garantire migliori condizioni di vita alle generazioni del domani. “Comunemente – afferma - si pensa che l’eccesso di frammentazione sia un problema dei piccoli Comuni, dei cosiddetti Comuni ‘polvere’, che non raggiungono la dimensione sufficiente per lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo, scontando dunque un peso eccessivo dei costi fissi di funzionamento sui loro bilanci. Sicuramente ciò rappresenta una parte importante del problema – aggiunge - ma non l’unica sua manifestazione”. Nello specifico, “nel caso dei Comuni di piccola taglia demografica i costi derivano sicuramente da un deficit di dimensione che impedisce la minimizzazione dei costi di funzionamento (costi espliciti), ma indebolisce anche la capacità di rispondere al fabbisogno di famiglie e imprese data la povertà di risorse finanziarie e competenze professionali disponibili (costi impliciti)”. Ad avviso di Mazzei, dunque, “il principale problema dei piccoli Comuni è dato dal fatto che impongono costi di gestione elevati a fronte di ambiti di decisione politica estremamente ristretti e di una possibilità di risposta al fabbisogno molto bassa; di fatto gli amministratori dei piccoli Comuni sono semplici gestori del poco esistente, mentre gli operatori comunali sono dipendenti ‘tuttofare’ a bassa specializzazione. Non di rado, pertanto, gli Enti sono costretti a cercare all’esterno le competenze di cui hanno bisogno per la gestione delle funzioni di cui sono titolari, imponendo alla collettività un ulteriore aggravio di costi”. È una descrizione lucida quella del presidente dell’Uncem Calabria che sostiene la sua tesi con cognizione di causa e che precisa che “le difficoltà gestionali degli Enti sottodimensionati sono ben note a studiosi, legislatori e amministratori, tanto è vero che nel corso del tempo sono stati adottati numerosi strumenti correttivi per avvicinare la dimensione degli ambiti produttivi a quella minima efficiente: basti pensare alla creazione di società ad hoc per la gestione dei servizi a rilevanza industriale in cui sono necessari grandi investimenti infrastrutturali, alla crescente separazione tra responsabilità di gestione e di produzione con l’affidamento esterno di quest’ultima, come pure alla promozione di varie forme di cooperazione interistituzionale (consorzi, convenzioni, unioni)”. Elementi concreti sono portati a sostegno di un’idea che si fa strada e che mette in luce ciò che è all’origine dei disagi attuali. Ed è partendo dalla “numerosità dei correttivi adottati” che Mazzei arriva ad una riflessione: “un aspetto meno noto della frammentazione istituzionale è che essa impone costi rilevanti anche alle aree urbane, tipicamente territori molto popolosi, ma funzionalmente integrati, in cui i confini amministrativi vanno a ‘tagliare’ realtà economiche e sociali unitarie. In questo caso non esiste un problema di mancato sfruttamento di economie di scala e di scopo, quanto piuttosto problemi di inutile duplicazione della spesa per il funzionamento degli apparati politici e burocratici (costi espliciti), di mancata corrispondenza tra finanziatori ed utilizzatori dei servizi e dunque di esternalità che creano un problema di equità nella distribuzione di costi e benefici, come pure nell’accesso ai servizi (costi espliciti), ma soprattutto un problema di mancato salto di scala delle funzioni svolte (costi impliciti). Quest’ultimo – puntualizza - è certamente l’aspetto più deleterio da considerare, perché implica una rinuncia a livelli più elevati di sviluppo socio-economico, per il semplice motivo che la somma di più Comuni non fa una città con lo stesso numero di abitanti in termini di investimenti in infrastrutture di comunicazione e trasporto, dotazione di servizi a contenuto scientifico e culturale, visibilità sul piano nazionale e internazionale. In questo caso, la frammentazione istituzionale non impedisce lo sfruttamento delle economie di scala per i servizi tradizionali, ma tiene artificialmente basso il numero dei cittadini e degli operatori economici serviti, impedendo di fatto l’attivazione dei servizi più innovativi, a più elevata specializzazione o che richiedono grossi investimenti infrastrutturali, imponendo agli utenti, da un lato, inutili costi di duplicazione degli stessi servizi di base e, dall’altro, il costo della mancata innovazione”. Conseguente è la deduzione secondo cui “il difetto maggiore dell’assenza di un governo unitario consiste in questo caso nella rinuncia a sviluppare i servizi tipici delle grandi aree urbane, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta sullo sviluppo economico dei sistemi regionali e nazionali di appartenenza e sul posizionamento nella competizione nazionale e internazionale”. Mazzei chiarisce quindi che le criticità sono diverse nelle due fattispecie e specifica che “nel caso dei piccoli Comuni si ha un problema di sottodimensionamento assoluto e di diseconomie di scala, in quello dei Comuni di medie dimensioni un problema di sottodimensionamento relativo, di equità e di scelte strategiche. Se i Comuni eccessivamente piccoli – completa il discorso Mazzei - uniscono elevati costi fissi a bassa offerta di servizi, povertà delle risorse umane e delle competenze e scarso potere decisionale degli amministratori locali, determinando una perdita di benessere per la popolazione insediata ben visibile e dunque misurabile, la frammentazione istituzionale delle grandi aree urbane rischia di produrre danni più rilevanti per la competitività dell’intero sistema economico calabrese e per la sua capacità di rinnovarsi nel tempo”. Rilevato che “non c’è più tempo da perdere”, il presidente dell’Uncem Calabria asserisce che “occorre un immediato confronto fra la Regione e le rappresentanze del mondo delle Autonomie locali, per la definizione di un percorso condiviso, che incentivi la Fusione dei Comuni e la nascita di Unioni. Tutto ciò – conclude - non per mortificare nessuno, ma semplicemente per adeguare il nostro sistema di governo locale, alle nuove sfide che ci attendono”.

Fusione, Rosi: “Via gli steccati politici, ideologici e campanilistici”

Che non fosse facile era fin troppo evidente, che sorgessero controdeduzioni di carattere certamente non tecnico poteva essere immaginabile. E, d’altronde, “avevamo messo in preventivo le difficoltà e le obiezioni che potevano nascere”. Bruno Rosi sembra deciso ad andare avanti nel progetto di fusione anche dopo gli stop degli ultimi due giorni e si dice “contento di aver stimolato il dibattito” e di riscontrare “la consapevolezza dell’importanza, dell’attualità e dell’ineludibilità dell’argomento”. Ringrazia “i sindaci che hanno preso posizione” e spiega che “il traguardo non è utopistico e se si concretizzasse avrebbe una valenza storica e aprirebbe grandi prospettive”. E’ un’introduzione soft, forse utile a mettere in chiaro che non è il caso di creare scontri fra paesi e idonea ad agevolare il passaggio nel quale il primo cittadino di Serra San Bruno ostenta sicurezza sul fatto che se gli abitanti dell’area interessata “fossero chiamati ad esprimersi in merito mostrerebbero uno spirito positivo”. Gradualmente emerge la volontà di illustrare le proprie ragioni replicando alle schiette dichiarazioni degli omologhi. Rosi sottolinea, infatti, che “non si vedono reali motivazioni circa la perplessità sulla selezione dei futuri attori politici” e specifica che “il progetto è talmente ampio ed ambizioso da consentire la formazione di una classe dirigente innovativa e rappresentativa dell’intero territorio”. Tradotto vuol dire che i timori di una sostanziale predominanza dei politici di origini serresi nelle ipotetiche competizioni elettorali amministrative sono infondati. Più marcata è poi la successiva considerazione: “trovo alquanto strana – asserisce il capo dell’esecutivo della cittadina della Certosa – la presa di posizione di Barbara poiché in precedenza si era detto disponibile ed entusiasta su questo progetto, rammaricandosi, nel corso di una trasmissione radiofonica in cui eravamo presenti entrambi, della sua scelta sul dimensionamento scolastico”. Non manca, infine, un invito rivolto ai sindaci di Brognaturo, Spadola e Simbario “ad approfondire questo tema andando oltre gli steccati politici, ideologici e campanilistici”.

Fusione, Barbara: “Spadola non si farà fagocitare da Serra”

Si fanno strada nuove sensazioni circa l’idea di costituire un unico comune nelle Serre. Prende corpo una sorta di “fronte del no” che non si oppone tanto al progetto quanto ad un partecipante in particolare: la cittadina della Certosa. E dopo Ovidio Romano, è Giuseppe Barbara a dire la sua mettendo ordine sul da farsi. “In linea generale – sostiene il sindaco del paese della Minerva – sono favorevole. Spadola, Brognaturo e Simbario sono già associati e stanno cercando di darsi un’organizzazione condivisa degli uffici. Meno opportuno è il coinvolgimento di Serra San Bruno. Di solito, il pesce grande mangia il pesce piccolo”. Emergono, dunque, delle perplessità dovute al pericolo di essere semplicemente “accorpati”. Per il primo cittadino dell’antico centro montano “c’è il rischio di essere trascurati, di essere considerati delle frazioni. E noi non abbiamo voglia di essere fagocitati”. Ad influenzare il giudizio è anche il “precedente relativo al dimensionamento scolastico” che ha lasciato scottato Barbara, il quale non vuole soccombere daccapo al cospetto delle azioni serresi. “E’ realistico – spiega il capo dell’esecutivo spadolese – pensare ad una perdita di servizi perché in un Comune con quasi 10 mila abitanti il buon funzionamento e la vicinanza al cittadino possono essere intaccati. Preferisco una realtà a dimensione più umana”. Anche la possibilità di intervenire sui problemi sarebbe, a suo avviso, in qualche modo compromessa e su questo aspetto Barbara cita l’esempio del distacco da Sorical che, nell’ipotesi di un grande Comune, sarebbe stata un’operazione “più complessa”. “Oggi – afferma con orgoglio a tal proposito – Spadola usufruisce di acqua cristallina e i disagi sono minimi. Qualche lieve difficoltà si riscontra solo nel periodo estivo quando la siccità si fa sentire”. Parole con le quali lascia intendere che questa mossa, come altre, non sarebbe stata realizzabile se fosse intervenuta una qualche rinuncia all’autonomia. Il vero nodo sembra essere questo: va fatta valere “la nostra dignità di paese” e va salvaguardata “la nostra identità”. È un alt perentorio che non concede spazio ad alcuna trattativa.

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